Le rinnovate preoccupazioni legate alle banche regionali statunitensi hanno fatto sì che i risky asset siano stati scambiati in modo più debole la scorsa settimana, segnando una sottoperformance dei titoli finanziari. La stagione degli utili societari è stata relativamente robusta. I deflussi di depositi presso First Republic hanno rinnovato le preoccupazioni sulla redditività del prestatore, con un deflusso di depositi pari a 100 miliardi di dollari.
Rimane difficile per le banche terze intervenire per acquisire il franchising, in quanto ciò richiederebbe perdite di capitale nell’immediato, sulla base di un possibile deficit dell’ordine di 20 miliardi di dollari. Questo anche prima di considerare gli imprevisti relativi ai potenziali costi futuri legati a eventuali cause legali e simili.
Tuttavia, i costi ipotizzati per le banche potrebbero essere più vicini ai 50 miliardi di dollari, se il prestatore venisse improvvisamente liquidato e le perdite distribuite attraverso la FDIC (Federal Deposit Insurance Corporation). Alla luce di ciò, attendiamo notizie sulle modalità di risoluzione del problema, che probabilmente verranno stabilite nel fine settimana.

Fondamentalmente, sembra che al centro del problema che First Republic si trova ad affrontare ci sia un semplicistico disallineamento tra le scadenze delle attività e delle passività, con alcuni echi di base della crisi Saving and Loan della fine degli anni Ottanta. Dall’analisi di SVB emerge che l’istituto aveva fatto ipotesi troppo ottimistiche sulla vita media dei depositi bancari, prevista a 12 anni.
Ciò ha spinto l’istituto a investire in obbligazioni a lunga scadenza senza preoccuparsi di un mismatch di duration. Questa ipotesi sulla durata dei depositi supera di 4-5 volte le proiezioni fatte da altre banche più grandi. Il fatto che sia stato permesso che ciò avvenisse dimostra la relativa leggerezza della vigilanza regolamentare applicata alle banche più piccole, nonché il totale fallimento della funzione di gestione del rischio nel mettere in discussione tali ipotesi.
In effetti, se abbiamo imparato qualcosa negli ultimi tempi, è la velocità dei depositi. Nell’era digitale, con le informazioni che si diffondono sui social media, abbiamo visto come le corse agli sportelli bancari, che potevano svilupparsi nel corso di giorni o settimane, possono ora verificarsi nel giro di poche ore.
Nonostante ciò, notiamo che, in generale, le banche si trovano in una posizione sana e sono sostenute da solidi margini di interesse e da un contesto relativamente favorevole per la qualità del credito. Da questo punto di vista, è possibile che debbano essere risolti problemi relativi a un numero limitato di istituti, ma non condividiamo l’idea che si stia assistendo a sviluppi più ampiamente sistemici, come abbiamo osservato con la Grande Crisi Finanziaria del 2008.
Detto questo, ci sembra chiaro che la direzione di marcia sarà quella di una maggiore regolamentazione e di un inasprimento degli standard di prestito per le banche regionali più piccole, che confluirà nell’inasprimento generalizzato delle condizioni finanziarie. In questo caso, prevediamo un rallentamento dell’attività economica e continuiamo ad aspettarci una lieve recessione verso la fine dell’anno.
Notiamo inoltre che, poiché i mutuatari statunitensi hanno bloccato i tassi ultra-bassi al momento del rifinanziamento dei mutui nel 2021, l’impatto della stretta monetaria sui consumatori potrebbe manifestarsi appieno solo nei prossimi anni, quando i proprietari di case si sposteranno e i bassi tassi ipotecari si rialzeranno.
Questa struttura ipotecaria, isolando i consumatori, può far sì che i tassi aumentino di più nel breve termine e siano destinati a superare il limite, rendendo più probabile una traiettoria boom/bust. Riteniamo che i tassi possano diminuire nel 2024, se si riuscirà a ripristinare la stabilità dei prezzi. Alla luce di ciò, riteniamo che i tassi statunitensi non siano troppo lontani dal fair value.
Incontrando questa settimana i policymaker canadesi, il quadro a nord del confine statunitense sembra molto più positivo. Il Canada sembra essere l’economia sviluppata meglio posizionata per ottenere un atterraggio morbido nel 2023, con un’inflazione che probabilmente scenderà al 3% durante l’estate.
Quella canadese è stata la prima grande banca centrale a intraprendere una politica di contenimento nel 2021 e quindi ha compiuto maggiori progressi nel ridurre l’inflazione. La banca centrale parla del suo impegno a ridurre i rialzi dei prezzi al 2% per mantenere la stabilità dei prezzi.
Tuttavia, indipendentemente dalle banche centrali, notiamo che i policymaker di altri Paesi sono propensi a credere che le pressioni sui prezzi possano rimanere un po’ più elevate rispetto all’esperienza passata, a causa della tensione del mercato del lavoro e delle tendenze alla deglobalizzazione.
Nel Regno Unito, nell’ultima settimana, i messaggi della Bank of England hanno sottolineato come i cittadini debbano accettare di essere più poveri di un tempo. Riteniamo che la crisi del costo della vita continuerà a colpire con l’aumento dei tassi ipotecari e con la BoE costretta a rialzare i tassi verso il 5% nel tentativo di riportare l’inflazione sotto controllo. Sembra che la Bank of England si accontenti di dare la colpa a tutti, tranne che a sé stessa, della situazione in cui ci troviamo.
In Giappone, il governatore entrante Ueda ha mantenuto la politica di controllo della curva dei rendimenti (YCC) durante la sua prima riunione di policy. Tuttavia, continuiamo a prevedere un cambiamento di policy a giugno, dato che le pressioni inflazionistiche continuano a crescere in tutto il Paese. Il CPI di Tokyo di questa settimana, tipicamente indicativo per l’intera nazione, ha sorpreso al rialzo per il mese di aprile, con un’inflazione core ora ai massimi da 40 anni.
Riteniamo che la Bank of Japan possa rimpiangere di non aver colto l’opportunità di abbandonare lo YCC questa settimana, in un momento in cui la pressione speculativa è relativamente bassa. Riteniamo che le aspettative di un cambiamento possano essere molto più radicate entro giugno, e che questo potrebbe creare un contesto politico più impegnativo. Le rispettive tendenze nel Regno Unito e in Giappone continuano a farcipropendere per lo yen come valuta, rispetto alla sterlina britannica.
I problemi finanziari degli Stati Uniti hanno pesato sugli spread creditizi nell’ultima settimana. Le banche europee si sono indebolite, nonostante i solidi risultati. In parte, tutto ciò che compromette la fiducia è potenzialmente negativo e, con gli eventi di marzo ancora freschi nella memoria, il timore è che gli eventi abbiano preso l’abitudine di svolgersi molto rapidamente negli ultimi tempi.
Il dollaro si è tendenzialmente indebolito, nonostante i risky asset si siano mossi in senso inverso. Nei mercati emergenti, continuiamo a vedere performance divergenti tra i vari Paesi, con quelli che beneficiano delle esportazioni di cibo ed energia, come il Brasile, che si avvantaggiano di uno spostamento positivo delle ragioni di scambio, anche se ciò danneggia altri Paesi.
Lo stress in alcuni mercati di frontiera ha continuato a crescere e continuiamo a prevedere ulteriori ristrutturazioni del debito, dato che i crediti più deboli devono fare i conti con un mix tossico di livelli di debito elevati, tassi statunitensi più alti e crescita economica più lenta.
Guardando al futuro
L’incertezza è aumentata, ma ci aspettiamo ancora un rialzo da parte del FOMC la prossima settimana. Riteniamo che il presidente Powell potrebbe dare indicazioni di una pausa dai rialzi durante il Q&A e pensiamo che i tassi possano rimanere a un livello appena superiore al 5% per i prossimi sei mesi, in quanto i policymaker si aspettano un calo dell’inflazione.
La rigidità del mercato del lavoro potrebbe far sì che le pressioni salariali persistano nei prossimi mesi. Ne è un esempio la Germania, dove questa settimana i lavoratori del settore pubblico hanno ottenuto un aumento salariale del 6%, ben al di sopra dei livelli che la Bce considererebbe coerenti con l’adempimento del proprio mandato in materia di inflazione.
Nel frattempo, è da notare che a Ottawa i lavoratori pubblici erano impegnati in picchetti, in una vertenza sindacale in un Paese con tassi d’inflazione notevolmente inferiori a quelli che si registrano altrove. In questo caso, l’attuale offerta salariale per tre anni si aggira intorno al 3% annuo e, parlando con gli scioperanti, è stato interessante sentire molti di loro esprimere preoccupazioni sulla possibilità di lavorare da casa, oltre che sulle rivendicazioni salariali.
In effetti, si è creata una situazione curiosa, in cui i lavoratori si recavano in ufficio per fare un picchetto al fine di ottenere di poter lavorare da casa, mentre coloro che volevano lavorare in ufficio erano costretti a lavorare da casa per non attraversare il picchetto “virtuale”. Questo è lo strano mondo in cui viviamo oggi!
È stato culturalmente rassicurante essere coinvolti in uno sciopero in cui tutti sono stati educati, in modo molto canadese, e hanno persino ripulito tutta la loro spazzatura alla fine della giornata. Mi pare che qualche altro movimento di protesta potrebbe imparare qualcosa da tutto ciò.