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Settimane SRI

Valutazione ESG: perché serve uno standard condiviso

Per rendere più solido il settore degli investimenti sostenibili e contrastare il fenomeno del greenwashing è necessario aumentare il dettaglio degli strumenti di valutazione ESG. L’accessibilità a dati puntuali e rigorosi e la disponibilità di metodologie di quantificazione dei rischi ESG sono infatti due condizioni fondamentali affinché gli investimenti ESG possano trovare la collocazione che meritano nel contesto di mercato. Condizioni che oggi sono pressocché assenti principalmente per una ragione: la mancanza di un framework condiviso e di un approccio sistemico.

In questo contesto, realtà come la banca francese Société Générale, la società di investimenti che opera nel settore delle infrastrutture Arpinge e Sace, gruppo assicurativo-finanziario controllato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, si stanno dotando di strumenti sempre più avanzati, da una parte per valutare meglio le aziende investite e dall’altra per aiutare le stesse imprese a identificare le sfide legate al cambiamento climatico. 

Durante il webinar “Finanza sostenibile e strumenti di valutazione ESG” organizzato dal Forum per la Finanza Sostenibile nell’ambito delle Settimane SRIChiara Maruccio, Chief Risk Officer di Sace, Marco Mosca, Head of CMS e Head of Business Development di Société Générale Securities Services e Francesco Tomaiuolo, ESG Manager di Arpinge, hanno spiegato quali sono le ultime metodologie che hanno sviluppato nell’ambito della sostenibilità e quali sfide e opportunità vedono nel settore.

Come viene svolta la valutazione ESG 

La valutazione ESG è oggi sempre più importante, sostenuta con forza dagli enti normativi, ma è dotata ancora di pochi strumenti quantitativi standardizzati che sarebbero invece necessari per un’analisi accurata. Consapevole di questa falla del sistema, Société Générale ha destinato recentemente 3,5 miliardi di euro al settore della finanza sostenibile. “Un investimento importante”, sottolinea Marco Mosca, “che le ha permesso di adottare un approccio di due diligence sull’attività ESG dei clienti più rigoroso e severo, con un’analisi volta a verificare che le promesse in ambito di sostenibilità vengano mantenute dalle società con cui interloquisce”. 

Anche Arpinge pone particolare attenzione all’analisi del profilo ESG delle aziende in cui investe. “Per noi il monitoraggio delle performance di sostenibilità delle società investite è soprattutto un tema di risk management perché operiamo in un’ottica di lungo periodo per mitigare i rischi ESG attuali e anticipare quelli futuri”, spiega Francesco Tomaiuolo. Per farlo, Arpinge, analizza i portafogli che gestisce per verificare la loro carbon footprint, che contribuiscano alla tassonomia, che siano allineati agli SDGs, e come rispondono ai rischi climatici. “È fondamentale, tuttavia, che questa analisi sia approfondita e che punti realmente a verificare la conformità delle aziende in portafoglio, prendendo spunto da quanto previsto dalla Direttiva europea sulla due diligence. Uno degli obiettivi della norma è infatti definire misure adeguate affinché le imprese siano in grado di affrontare efficacemente i propri impatti”, evidenzia Tomaiuolo. 

La natura del rischio climatico 

Una valutazione ESG approfondita implica anche la chiara definizione dei rischi ESG, in particolare dei rischi climatici, cui le aziende possono essere più o meno esposte. Per rispondere a questa esigenza, Sace sta implementando delle strategie di metriche ESG con un focus particolare sui rischi climatici. “Il rischio climatico è al centro della stratega di Sace perché ha una caratteristica specifica molto importante: è un rischio strettamente interconnesso con le altre categoria di rischio”, afferma Chiara Maruccio. Ciò significa che è un rischio che si riflette nelle categorie di rischi più tradizionali, come ad esempio quello di credito o quello di fallimento di un’attività. “Nel definire una metodologia per identificare e quantificare i rischi climatici, l’obiettivo principale di Sace è sviluppare un sistema a supporto delle aziende che consenta, soprattutto alle PMI, di avere maggiore consapevolezza rispetto al proprio rischio climatico, per poi accompagnarle in scelte che le portino ad essere più resilienti rispetto a questa categoria di rischio”, aggiunge Maruccio. 

L’assenza di informazioni sufficienti, soprattutto per valutare la vulnerabilità delle imprese al rischio climatico, ha spinto Sace a creare una metodologia proprietaria che analizza il rapporto tra pericolosità (probabilità di accadimento), esposizione (presenza di infrastrutture che possono subire un danno) e vulnerabilità (propensione di un’azienda o un asset a subire effetti negativi in caso di evento climatico). “Questa metodologia interna è in fase di definizione e verrà accompagnata da un ulteriore strumento che consentirà di stimare la propagazione del rischio climatico sul rischio di credito. Ciò è molto importante dato che gli enti normativi chiedono sempre di più che i fattori ESG siano integrati nei prestiti creditizi”, spiega l’esperta.  

Come affrontare la carenza di dati di qualità

Quali sono le strategie da mettere in atto per colmare la carenza di dati di qualità nel settore della finanza sostenibile? Si tratta di una sfida molto complessa, ma che va affrontata e che, secondo Francesco Tomaiuolo di Arpinge, potrà essere superata soprattutto grazie all’evoluzione tecnologica. “Per fronteggiare la sfida nel presente e cercare di possedere dati il più accurati possibile, Arpinge diversifica le fonti dei dati e si dota di soluzioni ad hoc, provando a superare l’assenza di dati strutturati con progettualità specifiche”, afferma Tomaiuolo. Nel suo intervento, l’esperto racconta anche l’esperienza di collaborazione con il Politecnico di Milano per sviluppare metriche quantitative di valutazione dei rischi climatici, focalizzate su asset infrastrutturali di diverso tipo, e che incrociano sia elementi di scienza climatica, sia analisi econometriche. “Stiamo ancora lavorando per perfezionare il modello e trasformarlo in uno strumento operativo per i nostri clienti, affinché diventi prassi quotidiana valutare questo tipo di rischi”, conclude Tomaiuolo. 

Un problema, quello dei dati, che interessa anche Société Générale che, soprattutto nel caso delle non quotate, si trova spesso di fronte a dati instabili o addirittura inesistenti. La banca si è quindi impegnata a fornire ai clienti analisi ESG, “in alcuni casi sviluppate dai team di ricerca interni e in altri coinvolgendo startup con cui collabora, come la francese Riskope”, afferma Mosca. 

Anche Sace cerca di affrontare con serietà l’assenza di set informativi sui rischi ESG, proprio intervenendo in particolare sulla consapevolezza, ancora molto limitata, delle aziende (PMI in primis) rispetto a questa categoria di rischi. “Sace sta lavorando a uno strumento, nell’ambito dell’education, per dare la possibilità alle imprese di effettuare degli assessment e comprendere questa categoria di rischi. Ciò serve alle aziende sia per migliorare la propria solidità, sia per rispondere all’introduzione sempre più frequente di metriche climate adjusted nei processi di prestiti creidtizi”, sottolinea Maruccio. Secondo l’esperta di Sace, l’aumento di consapevolezza da parte delle imprese avrà un impatto diretto sulla disponbilità dei dati perché questi dati saranno noti in primis alle aziende, mentre oggi ancora in molti casi non è così.