Le aziende, finanziarie e non, con rating ESG sono quelle che generano maggiore valore aggiunto che però non viene distribuito in modo omogeneo tra gli stakeholder. A beneficiare dei risultati positivi sono per lo più Stato e azionisti e non dipendenti o investitori. È quanto emerge dal webinar “L’impegno dell’Accademia Italiana per la finanza sostenibile: focus sul rating ESG” nella cornice delle Settimane SRI organizzate dal Forum per la Finanza Sostenibile durante il quale sono state presentate tre ricerche universitarie riguardanti il livello di allineamento del settore bancario italiano alla Tassonomia UE, la relazione tra performance ESG e grado di eterogeneità dei portafogli e quella tra rating ESG e distribuzione del valore aggiunto.
Dal 2015 il Forum per la Finanza Sostenibile promuove e coordina infatti l’Accademia Italiana per la Finanza Sostenibile, una rete di docenti universitari e ricercatori attivi sui temi degli investimenti sostenibili. Il tradizionale evento organizzato in collaborazione con la rete dell’Accademia, quest’anno è stata l’occasione perfetta per presentare al pubblico il “Manifesto dell’Accademia Italiana per la Finanza Sostenibile”, pubblicato a giugno e sottoscritto da più di 50 docenti.
Il crescente bisogno di investitori retail e dell’intera società di informazioni puntuali sugli investimenti ESG ha reso il ruolo del mondo accademico in qualità di educatore ancora più importante. L’attività di formazione è però importante tanto quanto quella di ricerca, alla quale è strettamente legata. Entrambe, tra le altre cose, puntano a rendere sempre più efficaci le metodologie utilizzate per fare le valutazioni ESG.
Indice
L’allineamento del settore bancario italiano alla Tassonomia UE
I portafogli bancari italiani sono allineati alla Tassonomia europea? E qual è il grado di coerenza tra score ESG delle banche e il livello di adesione ai criteri della Tassonomia? È da queste due domande che è partito lo studio di Mavie Cardi, professoressa associata di Economia degli Intermediari Finanziari, Università degli Studi – Link Roma e Riccardo Santamaria, dottore di ricerca in Banking and Finance, “Sapienza” Università di Roma.
Come sottolineato da Cardi, la qualità e la disponibilità di informazioni relative alla sostenibilità assumono sempre più rilevanza nell’agenda della finanza sostenibile europea e nel processo decisionale degli investitori. Questa tendenza ha spinto gli enti normatori a intervenire con proposte legislative come la Tassonomia UE, che crea un nuovo sistema di classificazione delle attività economiche che possono essere considerate sostenibili. Tale regolamento interesserà ancora più imprese da gennaio 2024, quando entrerà in vigore la CSRD, che rafforza gli standard di rendicontazione e amplia il novero delle aziende interessate. “Il quadro regolatorio è arricchito da obblighi di comunicazione basati su una serie di KPI, per le imprese finanziarie e non”, spiega Cardi, “KPI che da gennaio 2024 diverranno più numerosi”.
Partendo da un’analisi di 35 banche incluse nell’elenco Consob che avevano pubblicato una DNF nel 2021, “abbiamo raccolto manualmente i dati sulle informazioni riportate. Abbiamo così notato un approccio eterogeneo alla disclosure da parte degli istituti di credito, nonché una loro difficoltà nel reperire i dati di cui avevano bisogno per la divulgazione,c he quindi si sono affidate a diverse strategie”, afferma Santamaria.
Dai risultati della ricerca è emerso che le attività delle banche italiane sono ammissibili alla Tassonomia nel 19% dei casi, dato che sale a circa il 22% tra le banche “significant”, ovvero quelle di maggiori dimensioni. C’è quindi spazio per miglioramenti. “La Tassonomia sembra svolgere ancora un ruolo marginale nello ESG Score bancario, mentre dovrebbe essere cruciale alla luce del ruolo che le banche svolgono nel percorso di transizione”, osserva Santamaria.
La similarità dei portafogli: come impatta sulle performance ESG
Cosa succede alla performance ESG quando i portafogli sono simili (o dissimili) tra loro? La seconda ricerca presentata durante il webinar da Rocco Ciciretti, professore Associato di Economia Politica, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, si pone questa domanda rispetto alla performance legata alle emissioni di CO2. “Nel corso dell’analisi ci siamo accorti che i fondi e i portafogli sotto esame avevano una forte eterogeneità. È stato possibile osservarlo definendo il grado di assess similarity di fondi e portafogli, che indica il livello con cui le partecipazioni (holding) dei fondi non si sovrappongono con le partecipazioni di altri fondi”, spiega Ciciretti. Tale eterogeneità, come sottolineato dallo studioso, ha un effetto positivo sulle performance di sostenibilità dei fondi e dei portafogli, soprattutto in termini di emissioni. “Più i fondi erano dissimili, infatti, più le emissioni erano meno intense”, conclude Ciciretti.
Rating ESG e distribuzione del valore aggiunto agli stakeholder
La relazione tra la performance e i rating ESG e la distribuzione del valore aggiunto agli stakeholder è il tema che ha spinto Silvana Signori, professoressa ordinaria di Economia Aziendale, Università degli Studi di Bergamo e altri colleghi, a intraprendere un’indagine dedicata ai rating.
“Ci siamo chiesti innanzitutto se i rating ESG siano in grado di catturare una dimensione di valore multidimensionale e di rappresentare la distribuzione di valore tra gli stakeholder. La risposta che ci siamo dati è sì, perché i rating ESG includono, insieme a quelle finanziarie, le dimensioni ESG che arricchiscono ed elevano il concetto di valore”, spiega Signori.
Vi sono però alcuni limiti dei rating ESG che i ricercatori hanno riscontrato. “In primis, i rating di sostenibilità usano metodologie e approcci diversi. In secondo luogo, c’è un’eccessiva discrezionalità nella valutazione e un conseguente potenziale rischio di manipolazione dei dati. Inoltre, ciò comporta anche un rischio di greenwashing”, afferma la docente. Ma è un altro il limite cui gli studiosi hanno dato maggior peso: il fatto che i rating ESG non considerano come il valore aggiunto creato viene distribuito tra i diversi stakeholder.
In generale, le aziende con rating ESG hanno manifestato un valore aggiunto più elevato rispetto a quelle prive di rating di sostenibilità, ma non lo distribuiscono in modo omogeneo. “Gli stakeholder che ricevono maggiore valore aggiunto sono lo Stato e gli azionisti, mentre i dipendenti e i finanziatori sono penalizzati”, conclude Signori.