La responsabilità sociale d’impresa (RSI), in inglese Corporate Social Responsability (CSR), è un modello di autoregolamentazione aziendale che aiuta un’impresa a essere responsabile da un punto di vista ambientale e sociale, nei confronti di sé stessa, dei suoi stakeholder e della comunità. Praticando la responsabilità sociale d’impresa, le aziende arrivano ad essere consapevoli del tipo di impatto che hanno su tutti gli aspetti della società, compresi quelli economici, sociali e ambientali.
In un momento in cui la normativa diventa sempre più stringente e richiede a un numero maggiore di aziende di rispettare determinati criteri legati all’ESG (environmental, social e governance), per le società è diventato sempre più importante prestare attenzione alla responsabilità sociale d’impresa.
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Il termine responsabilità sociale d’impresa nasce nel 1953, quando l’economista americano Howard Bowen lo inserì nella sua pubblicazione “Social Responsibilities of the Businessman”. Tuttavia, nei decenni successivi il dibattito sulla tematica si attenua. Bisogna aspettare l’inizio degli anni ’90, infatti, per assistere al ritorno sulla ribalta di questo modello di organizzazione aziendale, di nuovo al centro delle analisi di diversi economisti. Nel 1991 Donna J. Wood, dell’Università di Pittsburgh, pubblica “Corporate Social Performance Revisited”, dove approfondisce e amplia i modelli di RSI antecedenti fornendo al contempo un quadro di riferimento per valutare gli impatti dei programmi di responsabilità sociale d’impresa fin lì adottati.
A partire da questo periodo, il termine assume una rilevanza crescente per molte aziende, tanto che nel 2001 la Commissione Europea ne include una definizione nel suo Libro Verde. Secondo l’Unione Europea, per responsabilità sociale d’impresa si intende “l’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali e ambientali nelle loro operazioni interessate”.
Tale definizione è stata poi ampliata dalla Commissione UE prima nell’ambito della “Strategia rinnovata dell’UE per il periodo 2011-14 in materia di responsabilità sociale delle imprese” e poi nel “Piano D’Azione Imprenditorialità 2020” pubblicato nel 2013. In questi documenti l’UE ribadisce il suo impegno per favorire uno sviluppo sostenibile, un comportamento eticamente responsabile delle aziende e un’occupazione durevole nel lungo periodo attraverso una nuova modalità di governance delle imprese che riponga particolare attenzione al capitale umano, sociale e alle comunità in cui operano. Nei documenti, l’UE fa riferimento anche ai principi internazionali, ovvero le linee guida dell’ONU e dell’OCSE e le Convenzioni ILO.
Nel contesto italiano, è il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali a svolgere un’attività di promozione e formazione in tal senso, curando i rapporti con le regioni e gli enti locali, ma anche con le ONG e il terzo settore.
A livello globale, nel 2010 l’Organizzazione internazionale per la standardizzazione (ISO) ha pubblicato la norma ISO 26000, che contiene una serie di standard volontari che hanno lo scopo di sostenere le aziende nell’adozione del modello della responsabilità sociale d’impresa. L’ISO 26000 fornisce una definizione chiara di responsabilità sociale e sostiene le imprese nella traduzione dei principi della RSI in azioni pratiche. Lo standard è rivolto a tutti i tipi di organizzazioni, a prescindere dalla loro attività, dimensioni o posizione geografica.
Per quanto riguarda le classifiche delle aziende con un’attività di responsabilità sociale d’impresa più avanzata, sebbene non ne esista una ufficiale e riconosciuta a livello internazionale, vi sono però alcune analisi e ricerche a riguardo. Ne è un esempio quella di Refinitiv, fornitrice di dati finanziari a livello globale, che redige una graduatoria delle aziende “social top 100”, prendendo in considerazione più la dimensione sociale della RSI. Tra le prime dieci del 2021 ci sono colossi come Microsoft, Johnson & Johnson e Nestlé, ma entro le prime 50 spicca al 46° posto anche l’italiana Saipem. Altre italiane che rientrano nella classifica, sebbene siano oltre le prime 50, sono Eni (70° posto), Intesa Sanpaolo (76° posto) e Enel, che occupa proprio l’ultima posizione (100°).
La responsabilità sociale d’impresa viene in genere suddivisa in quattro macrocategorie principali: l’impatto ambientale, la responsabilità etica, l’impegno filantropico e la responsabilità finanziaria.
Infatti, questo modello aziendale può assumere diverse forme a seconda della società e del settore in cui essa opera.
Ridurre la carbon footprint
Nell’ambito della responsabilità ambientale, uno degli indicatori più utilizzati per misurare il livello dell’azienda è la carbon footprint. Si tratta di un indicatoreil cui calcolo permette di stimare la quantità di emissioni di gas climalteranti, cioè con un effetto sul riscaldamento climatico, generate in modo diretto o indirettoda un individuo, un’azienda, un evento, un prodotto o una nazione. La misura utilizzata per la carbon footprint viene espressa generalmente in termini di tonnellate di CO2. Ma può essere misurata anche in termini di CO2 equivalente se nella stima vengono considerate solo le emissioni di biossido di carbonio (CO2) o anche di altri gas climalteranti, come stabilito dal Protocollo di Kyoto, accordo internazionale firmato nel 1997 per contrastare il cambiamento climatico.
Per calcolare la carbon footprint delle aziende esistono due metodologie diffuse: il GHG Protocol prodotto dal World Resource Institute (WRI) e dal World Business Council for Sustainable Development (WBCSD) e lo standard dell’Organizzazione Internazionale per la standardizzazione (ISO), in particolare l’ISO 14064.
Questi strumenti permettono alle aziende di predisporre una reportistica affidabile delle proprie emissioni. Una volta quantificate le emissioni, le società possono stabilire dei piani di riduzione lungo la catena del valoreoppure possono compensare le emissioni. Tra le tecniche più diffuse di compensazione delle emissioni vi è la piantumazione di alberi che durante la crescita assorbono CO2 oppure finanziando progetti di efficientamento delle risorse.
In Italia, tra le società più note che supportano le aziende nella misurazione e riduzione delle emissioni di cui sono responsabili ci sono Carbonsink e AzzeroCO2. A fornire, invece, una soluzione pratica di compensazione tramite piantumazione c’è Treedom, società che permette alle imprese (e a singoli individui) di piantare un albero a distanza e di seguirne poi la crescita online.
Offrire buone condizioni di lavoro
Un luogo di lavoro che promuova i diritti dei dipendenti e consenta loro di operare in un ambiente di rispetto reciproco è una condizione da cui ormai nessuna azienda può prescindere. A maggior ragione in un contesto in cui la disaffezione per la propria azienda per il mancata considerazione, per esempio, dell’equilibrio tra vita professionale e tempo libero, è sempre più diffusa. I lavoratori di oggi, infatti, sono molto più sensibili di quelli passati alla tematica della giustizia sociale.
Le aziende, dunque, pongono oggi un’attenzione maggiore a questo aspetto. E lo fanno, ad esempio, seguendo i Principi guida su imprese e diritti umani delle Nazioni Unite, pubblicati nel 2011, o la Dichiarazione sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro dell’ILO (International Labour Organization, Organizzazione Internazionale del Lavoro), adottata nel 1998. Tali linee guida e dichiarazioni vanno dalla tutela di diritti di base, come la libertà di associazione e l’eliminazione di tutte le forme di lavoro forzato o del lavoro minorile, alla garanzia di tematiche più recenti come la libera espressione sul luogo di lavoro, un ambiente di lavoro sano e sicuro e l’eliminazione di discriminazioni sul posto di lavoro.
Secondo Great Place to Work Italia, società di consulenza specializzata nell’analisi di clima aziendale, nel suo miglioramento e nell’employer branding, le aziende con oltre 500 dipendenti considerate con un ambiente di lavoro migliore (“Best Workplaces”) nel 2022 sono Micron Semiconductor Italia, American Express Italia, AbbVie Italia, ConTe.it assicurazioni, Teleperformance Italia, MSD Italia, Bristol-Myers Squibb, Hilton, Esprinet Italia, Kiabi, illimity, Danone Nutricia Società Benefit, DHL Express, Santander Consumer Bank e Lilly Italia.
Partecipare a progetti di volontariato
Per quanto riguarda l’impegno filantropico, la partecipazione delle aziende a progetti di volontariato come pratica di RSI è sempre più diffusa. Tale attività nasce negli Stati Uniti e si afferma soprattutto negli anni ’90, quando sempre più aziende vi hanno fatto ricorso per impegnarsi con le comunità. Da lì, il volontariato delle imprese si è diffuso anche in Europa.
In Italia, Fondazione Sodalitas fornisce una definizione interessante di questa attività: “Il volontariato d’impresa è inteso come il progetto in cui l’impresa incoraggia, supporta o organizza la partecipazione attiva e concreta del proprio personale alla vita della comunità locale o a sostegno di organizzazioni non profit, durante l’orario di lavoro”. Stando alla definizione della fondazione, dunque, emerge che il volontariato d’impresa coniuga due stakeholder principali: la comunità di riferimento e le risorse umane.
Esempi di volontariato d’impresa includono il trasferimento di conoscenze dalle aziende alle associazioni, il coinvolgimento del personale a supporto di progetti delle ONG, la partecipazione a eventi locali (come la raccolta fondi) o il sostegno a programmi educativi nelle scuole.
Adottare politiche aziendali etiche
La responsabilità etica è uno dei pilastri della responsabilità sociale d’impresa che si fonda sull’agire in modo etico. Il più delle volte sono le aziende a determinare dei propri standard, ma nel farlo sono comunque influenzate dalle esigenze dei clienti rispetto a questa tematica. Per farlo le società si muniscono del cosiddetto Codice Etico, che è consigliabile da adottare per tutte le imprese ad eccezione di quelle di piccolissime dimensioni, in cui sono contenuti l’insieme dei diritti, doveri e responsabilità dell’ente nei confronti di tutti gli stakeholder (dipendenti, fornitori, clienti, pubblica amministrazione, azionisti, mercato finanziario e altro).
La dimensione etica è strettamente connessa alle policy di Diversity & Inclusion, per cui delle azioni concrete per attuarla possono essere, ad esempio, il trattamento equo dei clienti a prescindere da età, genere, razza, cultura o orientamento sessuale. Ma anche una giusta considerazione del lavoro di tutti i dipendenti, magari incentivando sistemi di benefit e salari più alti di quelli minimi.
A valutare l’eticità delle aziende, ad esempio, è l’Ethisphere Institute, società statunitense che misura gli standard etici aziendali. Tra le “World’s Most Ethical Companies” del 2023, la società inserisce AECOM, il ramo assicurativo di Allianz, Apple, CBRE, FedEx, Iberdrola, JLL, Schneider Electric e l’italiana illy Caffè.
Utilizzare fonti energetiche rinnovabili
Sempre nell’ambito della responsabilità ambientale, ma con particolare riferimento al settore energetico, le aziende da decenni ormai hanno concentrato i loro sforzi nel processo di transizione alle energie rinnovabili. La crisi energetica del 2022, sebbene nel breve periodo abbia costretto diversi Paesi a un ritorno al carbone per motivi di sicurezza energetica, in realtà non ha fatto altro che sottolineare la necessità di governi e aziende di avanzare nel processo di transizione all’energia pulita. È opinione comune, infatti, che questa sia la strada da percorrere nel lungo periodo, pensiero che si regge sui dati allarmanti riportati da fonti scientifiche e autorevoli come l’IPCC e l’IEA relativamente all’aggravarsi del cambiamento climatico come conseguenza delle emissioni di CO2 globali.
Alla luce di ciò, in particolare le aziende leader nel settore energetico, stanno destinando sempre più finanziamenti per trasformare il proprio modello energetico verso le rinnovabili. Secondo l’Energy Digital Magazine, le 10 maggiori aziende del settore delle energie rinnovabili sono, nell’ordine, NextEra Energy, Iberdrola, Orsted, Vestas Wind Systems, Siemens Gamesa Renewables Energy, Plug Power, Algonquin Power, Brookfield Renewable, Daqo New Energy e Canadian Solar.
Per spingere sempre più aziende verso modelli energetici sostenibili, The Climate Group e Carbon Disclosure Project hanno lanciato nel 2014 un’interessante iniziativa, RE100. Con oltre 390 membri, l’iniziativa riunisce alcune tra le aziende più influenti al mondo per spingerle verso la transizione energetica grazie all’uso di energia rinnovabile al 100%.
Se da un lato la responsabilità sociale d’impresa tutela i diritti e il benessere della comunità, dall’altro è nell’interesse dell’azienda stessa adottare un modello aziendale sostenibile. L’RSI, infatti, contribuisce sul lato interno a creare un legame più forte tra i dipendenti e la società, sul lato esterno, invece, favorisce la reputazione aziendale e l’accesso dell’organizzazione ai finanziamenti degli investitori.
Rende l’azienda più desiderabile per i lavoratori
Un’azienda che si mostra attenta alle questioni sociali ha più facilità nel fidelizzare i dipendenti. I lavoratori, infatti, sempre più attenti a questi aspetti non solo nella vita privata ma anche in quella professionale, si sentono maggiormente coinvolti da un datore di lavoro che condivide i loro principi e si percepisce così portatore di quello che gli inglesi definiscono “employer branding” (ovvero le caratteristiche di un’organizzazione). Tutto questo va a vantaggio dell’azienda, che è così meno esposta ad un eccessivo turnover dei dipendenti, ad un clima di sfiducia e malcontento dei lavoratori e, inoltre, al costo che comporta per una società l’assunzione di nuovi dipendenti.
Una miglior reputazione aziendale
Secondo diversi studi, i consumatori sono più propensi ad essere favorevoli verso un’azienda che persegue attività positive per le persone e per l’ambiente, o che almeno è attenta al proprio impatto su di essi. Per questo motivo, la responsabilità sociale d’impresa contribuisce al miglioramento della reputazione dell’azienda, che trae dei vantaggi anche economici dalla propria buona nomea.
Tra le 100 aziende incluse nella classifica del 2023 di RepTrak, società statunitense che pubblica rapporti sulla reputazione delle aziende basandosi su sondaggi sui consumatori e copertura mediatica, rientrano le italiane Ferrari (13°), Pirelli (15°), Ferrero (30°), Barilla (33°), Lavazza (44°), Armani (47°) e Prada (99°).
Accesso facilitato a investimenti
Anche l’accesso al credito è più semplice per le aziende che perseguono modelli di responsabilità sociale. Gli investitori, infatti, sono attenti oggi più che mai a destinare i loro fondi in società che rispettano i criteri della sostenibilità.
Per individuarle, i finanziatori si affidano anche al lavoro delle agenzie di rating, che assegnano un punteggio complessivo alle aziende sulla base delle loro azioni nelle diverse dimensioni ESG (Environmental, Social e Governance).
A conferma dell’importanza crescente di avere buoni rating ESG per le aziende vi sono numerose ricerche. Ad esempio, lo studio “ESG Connect” pubblicato nell’ottobre 2022 dall’agenzia di rating italiana Cerved Rating Agency, sottolinea che le imprese più performanti dal punto di vista della sostenibilità sono quelle più solide, che hanno una probabilità di default minore, quindi un minor rischio di credito. La ricerca evidenzia, infatti, che le società con valutazione ESG bassa hanno in media una probabilità di default dalle 2 alle 5 volte superiore a quella delle più virtuose.