Dieci anni è il lasso di tempo che abbiamo per ridurre le emissioni di gas serra e affrontare la crisi climatica prima di raggiungere il punto di non ritorno. Servono strategie efficaci a livello globale e, in questo contesto emergenziale, le aziende sono chiamate a fare la propria parte. Per accelerare il raggiungimento del net zero entro la metà del secolo, la compensazione delle emissioni attraverso i crediti di carbonio appare essere uno dei principali strumenti a disposizione delle aziende. Dal 2019 il mercato volontario dei crediti di carbonio (VCM -Voluntary Carbon Market) è cresciuto del 600% e tra il 2005 e il 2021 ha permesso di ridurre, rimuovere o evitare circa 1,8 miliardi di tonnellate di CO2eq. Uno strumento, dunque, capace di ridurre gli impatti ambientali negativi e aumentare quelli sociali positivi a patto che i progetti finanziati siano di qualità, certificati e monitorati, dunque garantiti da provider di esperienza. È quanto emerso dall’evento Obiettivo net-zero: il ruolo dei crediti di carbonio, organizzato da Carbonsink, società del gruppo South Pole e attiva nella consulenza climatica, in collaborazione con Borsa Italiana, nell’ambito delle attività della Sustainable finance partnership.
Indice
Cosa sono i crediti di carbonio
Un credito di carbonio rappresenta la riduzione, la rimozione o la non emissione di una tonnellata di CO2eq. È uno strumento finanziario che permette alle aziende di compensare le emissioni di gas serra che, nonostante lo sforzo di riduzione, sono emanate in atmosfera. Con l’incremento degli impegni net zero, infatti, un numero sempre maggiore di società sta iniziando a rendicontare le proprie emissioni e a valutare o adottare strategie che permettono di ridurle – come, per esempio, l’uso di energia rinnovabile, incentivi ai dipendenti all’uso della mobilità dolce o condivisa, l’analisi del ciclo di vita dei propri prodotti (LCA – Life Cycle Analysis) per minimizzare gli sprechi e altro. Queste soluzioni permettono a un’impresa di individuare e di percorrere la propria traiettoria verso il raggiungimento di emissioni quanto più possibile vicino allo zero.
Ma cosa fare per quelle residue? Grazie all’acquisto dei crediti di carbonio le aziende possono finanziare progetti di mitigazione al cambiamento climatico e quindi contribuire a ridurre, evitare o rimuovere la quantità di emissioni emanata in modo tale da evitare un aumento netto delle emissioni di GHG in atmosfera a livello globale. Saranno quindi programmi di protezione della biodiversità e delle foreste nella zona tropicale del Pianeta, di costruzione di impianti di energie rinnovabili o di sostegno a comunità locali.
Per esempio, Carbonsink, come raccontato da Alessandro Galimberti, Head of Climate change, Environment and Energy Unit /AVSI Foundation, promuove progetti di clean cooking in diversi paesi. Sono infatti ancora oltre tre miliardi le persone che cucinano utilizzando legno e carbone con alti impatti sulla salute delle popolazioni locali e sull’ambiente dal punto di vista globale. Dalle stime riportate da Galimberti, nel 2030 saranno ancora oltre 2 miliardi le persone che non avranno accesso al clean cooking, numero che potrebbe essere ridotto attraverso l’acquisto di crediti di carbonio che finanziano questo tipo di programmi sociali.
I vantaggi e le criticità dei crediti di carbonio
Ma cosa guadagna un’azienda nel contribuire all’ampliamento del mercato dei crediti di carbonio? La risposta arriva da Guido Alfani, General Manager, Carbonsink & Head of Southern Europe Climate Solutions, South Pole, che definisce la compensazione un “vantaggio competitivo”.
Secondo il general manager, infatti, l’acquisto dei crediti è un’azione immediata per dare credibilità alla strategia climatica, contribuisce a creare una reputazione aziendale solida, supporta lo sforzo di disclosure e reporting sostenibile, e consente di migliorare la valutazione dei rating ESG. Inoltre, conclude Alfani “accelera la transizione al net zero e dà la possibilità di accedere al mercato come “early mover” determinando un vantaggio di medio lungo periodo, visto il trend di crescita del mercato riscontrato negli ultimi anni”.
Al contempo però, questo strumento è stato oggetto di numerose critiche in seguito all’indagine del quotidiano britannico The Guardian il quale ha rivelato che oltre il 90% delle compensazioni di carbonio di Verra (standard setter globale) legate a progetti nella foresta pluviale sarebbero prive di valore.
Proprio per questo, suggerisce Bethan Halls, Associate Director, South Pole, bisogna tenere a mente che è necessario far riferimento a standard internazionali che garantiscono la trasparenza degli impatti, ma al contempo ricordare che, proprio perché nuovo, è un mercato in evoluzione e con esso gli sviluppi e i miglioramenti metodologici. Bisogna poi scegliere con attenzione progetti che assicurino benefici quantificabili, e quindi privilegiare provider con più esperienza, che da più tempo, quindi, hanno a che fare con i vari stakeholder.
I trend del futuro
Il Voluntary Carbon Market deve crescere e per farlo “ ha bisogno di trasparenza, digitalizzazione e meccanismi che diventino sempre più standardizzati” ha commentato Andrea Maggiani, Founder, Carbonsink & Global Tech Strategy Director, South Pole, il quale ha poi ricordato che per mantenere l’aumento globale della temperatura al di sotto di 1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali abbiamo bisogno di rimuovere oltre 3 GtCO2 l’anno entro il 2030 e fino a 10 GtCO2 l’anno entro il 2050 – mentre oggi rimuoviamo meno di 2 Gt. “Per raggiungere una rimozione annuale di 3,5 GTCO2 entro il 2030 saranno necessari investimenti per oltre 200 miliardi l’anno” ha sottolineato Maggiani.
Il founder di Carbonsink ha inoltre portato all’attenzione dell’audience di manager della sostenibilità presenti in sala che tutti gli scenari per rispettare gli Accordi di Parigi richiedono l’utilizzo di tecnologie Carbon Dioxide Removal (CDR) innovative, che oggi però rappresentano solo una minima parte dei CDR. “La quasi totalità degli attuali removal, pari a 2 GtCO2/anno, proviene dalla gestione convenzionale del suolo e solo una piccola frazione, pari a 0,002 GtCO2/anno risulta da tecnologie innovative” ha evidenziato Maggiani.
Proprio per questo South Pole ha lanciato NextGen CDR Facility, una piattaforma per accelerare lo sviluppo delle tecnologie CDR che permette alle aziende di partecipare a iniziative al fine di ampliare gli investimenti, scalare le tecnologie innovative e sviluppare il mercato.