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L'opinione di Jacopo Attardo (NEON)

D&I e Politically Correct: come rispondere a chi dice “Ma non si può più dire niente?”

La crescente attenzione alle tematiche di Diversity & Inclusion rappresenta per le aziende un’opportunità di allargamento e fidelizzazione del pubblico, ma può anche generare frustrazione nel management. In questo articolo che fa parte delle serie di approfondimenti nati dalla partnership tra ESGnews e l’agenzia NEON e mirati ad esplorare il ruolo della diversità e dell’inclusione nella comunicazione, Jacopo Attardo, direzione creativa di Neon, fornisce una chiave per capire da dove viene questa frustrazione e come gestirla.

“È una frase che dicono tutti”

“È una frase che dicono tutti”. La dico anche io a volte, lo ammetto, nonostante mi occupi di comunicazione da più di 20 anni e sia specializzato in tematiche ESG. Lo dicono anche manager, giornalisti, creativi ecc. anche condividendo in pieno i principi della Diversity & Inclusion.

Ritengo che sia da interpretare come un’espressione di frustrazione e di disagio che sentiamo nei confronti di un cambiamento in corso, che non sempre siamo in grado di gestire. Prima di tutto cerchiamo di individuare le ragioni di questa frustrazione e poi cerchiamo di capire come gestirla per arrivare al nostro risultato: comunicare in modo efficace.

Ragione 1: Manager cresciuti negli anni ’80/’90.

Il 50% dei manager italiani ha più di 50 anni, sono quindi cresciuti in anni in cui l’industria della cultura, dell’intrattenimento e della pubblicità erano molto diversi da oggi.

Se negli Stati Uniti il dibattito attorno alle tematiche del Politically Correct in quegli anni era già maturo, tanto che ci si domandava se non stesse diventando talvolta un limite (vedi “la dittatura del piagnisteo” di Robert Hughes), in Italia invece, nella rappresentazione mainstream, le persone non caucasiche erano presenti più che altro nel mondo del calcio e dell’avanspettacolo.

Negli spettacoli televisivi i neri erano, nel migliore dei casi, “esotici”, i gay facevano ridere parlando di sé al femminile, gli asiatici erano tutti esperti di Kung Fu e pronunciavano la L invece delle R. Ricordo Isaac George, attore inglese diplomato alla Royal Academy of Arts di Londra nello spot dei sottaceti Peperlizie Ponti dove, vestito con abiti africani tribali, diceva “Buone le beberlizie Bondi!”. L’obiettivo era ovviamente far ridere, magari senza cattiveria, ma certo ridere del diverso.

Oggi Youtube è pieno di video “reactions” di giovani creators della Gen Z, ragazzi cresciuti ascoltando artisti come Ghali e Maruego, entrambi “nuovi italiani”, che reagiscono sconcertati a quegli spot: ridono e non si capacitano di cosa guardavamo noi alla loro età.

Noi quarantenni e cinquantenni di oggi siamo cresciuti in un mondo in cui non esisteva una logica di attenzione alle minoranze, non nel mondo dell’intrattenimento, della comunicazione e della pubblicità. Oggi invece i pubblicitari, i manager, i giornalisti, gli amministratori pubblici e i politici non possono non confrontarsi con il mondo della comunicazione ESG.

Farlo correttamente non è più un’opzione ma è diventato imperativo, perché è cambiata la società e il nostro pubblico è formato anche da clienti, dipendenti ed in generale stakeholder che fanno parte di quella GenZ citata poco fa.

Ragione 2: (Quasi) Tutti i dirigenti italiani sono bianchi.

Nell’aprile del 2021 il programma Striscia la Notizia divenne protagonista di una vicenda spiacevole quando fu accusato di razzismo dal sito americano Diet Prada. L’autore del programma Antonio Ricci fece causa al sito americano, vincendola poi un anno dopo.

Diet Prada è un progetto online che monitora i comportamenti scorretti nel mondo della moda, che sul profilo Instagram scrisse: “Gerry Scotti, ex membro del Parlamento italiano, e Michelle Hunziker, attrice e modella italo-svizzera, hanno iniziato deridendo la pronuncia cinese della lettera R, chiamando la rete “LAI” invece di “RAI”. I conduttori hanno quindi continuato alzando gli angoli degli occhi alla maniera dei comuni gesti razzisti intesi a caricaturare i lineamenti asiatici…“

Cosa ne pensavano i manager italiani di origine asiatica?

Nel corso dei giorni successivi molti giornali italiani diedero un certo peso all’accaduto, alcuni erano d’accordo con chi aveva sollevato le critiche, altri ritenevano fosse un’esagerazione. Anche la stampa internazionale trattò la notizia. Ricordo in quei giorni una commentatrice americana chiedersi cosa pensassero i manager italo-cinesi di quello che era successo.

Non ricordo però di aver sentito pronunciarsi sull’argomento politici italiani di origine asiatica, giornalisti italiani di origine asiatica, dirigenti di rete di origine asiatica… per una semplice ragione: sostanzialmente non esistevano.

La comunità cinese in Italia è la tredicesima nel mondo, con quasi 290 mila individui censiti nel 2019 (Istat 2019) e la Chinatown di Milano è la seconda in Europa per dimensioni. Nonostante questo, è solo con la GenZ che abbiamo iniziato a vedere nel nostro paese individui non caucasici occupare posizioni e ruoli come quelli citati prima.

Se il direttore di rete, l’autore o il conduttore stesso fossero stati di origine asiatica, difficilmente lo sketch sarebbe stato scritto così.

Sui temi di sensibilità razziale l’Italia si trova nella condizione di svantaggio rispetto ad altri paesi per avere una classe dirigente quasi completamente caucasica, quindi con meno mezzi personali atti a gestire le tematiche di Diversity.

Ragione 3: L’Italia è il paese più vecchio d’Europa.

Con un’età media di 48 anni, siamo il paese in fondo alla classifica. Questo fatto non aiuta perché la spinta al cambiamento arriva tipicamente dalle persone più giovani che fungono da esempio per quelle più grandi, e la mancanza di figure giovani nelle aziende, in alcune più che in altre, non consente il giusto dialogo intergenerazionale che aiuterebbe i nostri manager a comprendere meglio il cambiamento.

Come gestire il “Ma non si può più dire niente?”

Questa frase, quando detta in buona fede, è un’espressione di frustrazione e come tale va gestita. Può essere letta come:

Non so più come parlare.
Non so più quando posso scherzare o quando rischio di offendere qualcuno.
Mi sento insicuro quando devo valutare il lavoro di qualcun altro.
Mi sembra di non essere più in grado di valutare il mio lavoro.

Il lavoro di un professionista della comunicazione ESG è comunicare il cambiamento ma anche aiutare i manager e le aziende a capirlo e gestirlo, comprendendo che per loro può essere frustrante.

Alcune risposte ragionevoli sono:

Non so più come parlare.Possiamo sempre dire quello che dobbiamo dire, solo che lo facciamo nei confronti di un pubblico più ampio. È un’opportunità che può essere sfruttata.
Non so più quando posso scherzare o quando rischio di offendere qualcuno.Mettiti nei panni di chi rischi di offendere e cerca di capire come reagiresti.
Mi sento insicuro quando devo valutare il lavoro di qualcun altro.Prova a consultare dipendenti di età più giovane (e poi ci sono sempre i consulenti, i test qualitativi ecc.)
Mi sembra di non essere più in grado di valutare il mio lavoro.Coinvolgi figure specializzate come gli ESG manager e i consulenti di comunicazione ESG.

La Diversity & Inclusion è un’opportunità, anche economica.

Perché spendiamo da sempre così tante risorse per conoscere il nostro target? Per comunicare meglio con lui e convincerlo a comprare i nostri prodotti / servizi / contenuti. Questa frustrazione ci dice che c’è una parte del nostro target che non abbiamo ancora studiato abbastanza, alla quale non abbiamo comunicato ancora nel modo giusto, e farlo rappresenta di sicuro una grande opportunità.