Laura Poggio Sustainability Makers

Borsa Italiana Academy

Poggio (Sustainability Makers): ecco la ricetta per comunicare la sostenibilità e tutti gli esempi

I temi di sostenibilità, stando agli studi, incidono per il 40% sulla reputazione di un’azienda. E oggi, due giovani su tre scelgono dove lavorare anche in base alla sensibilità valoriale delle imprese. Comunicare un comportamento virtuoso diventa quindi cruciale per fidelizzare e attrarre la clientela e per instaurare buoni rapporti con gli stakeholder. Tuttavia, non si tratta solo di raccontare: il percorso di sostenibilità deve essere concreto, coerente e sostenuto da KPI rigorosi e certificazioni. Quando questo manca, si rischia di cadere nel washing di vario tipo. Un’eventualità da scongiurare per non incorrere in danni reputazionali ed economici. “Un approccio comunicativo ben strutturato e trasparente, che unisce numeri, creatività e coerenza con il proprio business, può fare la differenza. Non basta produrre un bilancio di sostenibilità. È fondamentale comunicarlo con strumenti adatti e accessibili, integrando le diverse aree di impatto in un percorso evolutivo continuo”, spiega Laura Poggio, Responsabile Comunicazione Sustainability Makers e Advisor di comunicazione della sostenibilità, intervenuta come docente nel corso Evoluzione normativa e impatti sulla comunicazione d’impresa organizzato da Borsa Italiana Academy. Al contrario, sottolinea l’esperta, “sostenere una causa senza un reale impegno rischia di minare la fiducia e la reputazione dell’azienda, causando danni difficili da recuperare. È quindi essenziale che ogni iniziativa di comunicazione sia coerente con le pratiche e i valori dell’organizzazione”.

La soluzione però, continua Poggio, “non è smettere di rendere noto il proprio impegno sui temi ambientali e sociali per timore di incorrere in critiche o addirittura sanzioni”. Eppure, secondo una ricerca su un campione di 1200 aziende virtuose in 12 paesi, analizzate dalla società di consulenza South Pole in occasione del World Economic Forum di Davos del 2023, ben una su quattro aveva scelto di non comunicare le iniziative, i KPI e i risultati ottenuti in tema di sostenibilità, in particolare in ambito climatico. Una pratica che è stata definita “greenhushing” e che indica la scelta di non dire nulla su queste tematiche. Un atteggiamento iperprotettivo che si rivela, tuttavia, fallimentare perché fa perdere opportunità alle imprese, soprattutto in termini di reputazione e fiducia dei consumatori.

E se da un lato, le nuove normative UE, non ultima la CSRD, obbligheranno sempre più aziende a rendicontare e a promuovere la trasparenza, dall’altro la spinta non deve essere data solo dalle regolamentazioni, ma in primis dal buon senso e dalla volontà di non perdere fette di mercato: “comunicare attraverso i social media, le media relation o altri canali è essenziale per evitare che il silenzio generi sospetti o sfiducia nei consumatori più attenti” puntualizza Poggio.

Secondo la docente, comunicare la sostenibilità è quindi strategico per quattro motivi principali:

  1. Rafforza la reputazione dell’organizzazione.
  2. Aumenta la competitività.
  3. Attrae gli stakeholder esterni, come istituzioni, associazioni e talenti.
  4. Fidelizza i talenti interni, rafforzando l’identità valoriale aziendale.

Casi di greenwashing

Ma se comunicare la sostenibilità senza scivolare nel greenwashing è cruciale, al contempo la fiducia dei consumatori è stata minata da una, non corta, lista di aziende che negli ultimi anni hanno fornito comunicazioni non coerenti o false. È il caso, per esempio, di unnoto marchio coreano di cosmetica, che aveva lanciato un packaging dichiarato “completamente di carta”, rivelatosi poi contenere plastica nascosta. Scoperto da gruppi ambientalisti, il marchio ha subito un evidente danno reputazionale. Oppure di due catene di moda: una che aveva promosso il Pride con un “panino arcobaleno”, ma senza un reale impegno verso i temi DE&I (Diversity, Equity e Inclusion) ed è stata bacchettata dai consumatori; un’altra che ha ricevuto non poche critiche per aver lanciato una linea di abbigliamento Rainbow per il Pride, prodotti in paesi come Myanmar e Turchia, noti per violazioni dei diritti umani e discriminazioni verso la comunità LGBTQ+.

“I danni reputazionali possono rivelarsi significativi in caso di incoerenza tra quanto viene comunicato e quanto realmente viene fatto dall’organizzazione” rimarca Poggio.

Come evitare il “washing”

Oltre alle sanzioni economiche derivanti dalle pratiche commercialmente scorrette, il washing comporta dunque anche danni reputazionali e di fiducia, che possono portare a campagne di boicottaggio e perdita di consenso (e conseguenti perdite finanziarie). Come evitare quindi il greenwashing sia per non incorrere nel rischio di commetterlo sia per non subirlo dai concorrenti? Tre sono gli elementi fondamentali:

  1. Competenza e dialogo interno: creare una sinergia tra i reparti legale, comunicazione, marketing e sostenibilità per garantire che i messaggi siano coerenti con le azioni aziendali.
  2. Strategia di sostenibilità chiara e integrata: l’azienda deve avere una visione a lungo termine, comunicata in modo trasparente e verificabile. È essenziale uno storytelling basato su dati concreti e obiettivi misurabili.
  3. Monitoraggio e trasparenza: un percorso di sostenibilità deve includere monitoraggio degli impatti, obiettivi di riduzione chiari e verificabili, accessibilità dei dati per terzi e consumatori, evitando incomprensioni linguistiche.