Greenwashing definizione

Cos’è il Greenwashing? Definizione, esempi e come riconoscerlo

Con la crescente attenzione verso il cambiamento climatico e la sensibilità dei consumatori verso le tematiche green, la tentazione da parte delle aziende, di produzione o finanziarie, di un’immagine verde per attirare clienti è molto alta. Se però le dichiarazioni non corrispondono alla sostanza il rischio è quello di scivolare nella pratica del Greenwashing, ossia di darsi una patina di società attenta all’ambientale anche se non è così. 

Greenwashing: definizione e significato

Greenwashing è un termine ormai molto diffuso, perché l’attenzione sulle promesse non verificabili riguardo l’impatto sul clima e sulla decarbonizzazione delle aziende è sempre più alta. Per greenwashing si intende una tecnica di comunicazione o di marketing perseguita da aziende, istituzioni ed enti che propongono come ecosostenibili le proprie attività, esaltando gli effetti positivi di alcune iniziative e al contempo cercando di occultare l’impatto ambientale negativo di altre o dell’impresa nel suo complesso. 

In particolare, nei casi più frequenti di greenwashing, la comunicazione presenta le seguenti caratteristiche: non vi sono informazioni o dati puntuali che supportino quanto dichiarato; le informazioni e i dati vengono dichiarati come certificati mentre invece non sono riconosciuti da organi autorevoli; vengono enfatizzate delle singole caratteristiche di quanto comunicato; le informazioni sono generiche al punto da creare confusione nei consumatori; possono essere utilizzate etichette false o contraffatte; infine, sono riportate affermazioni ambientali non vere. 

Non si tratta, però, di un fenomeno nuovo: a citarlo per la prima volta fu l’ambientalista statunitense Jay Westerveld. Egli lo adoperò nel 1986 per stigmatizzare la pratica delle catene alberghiere che facevano leva sull’impatto ambientale del lavaggio della biancheria per invitare gli utenti a ridurre il consumo di asciugamani, nascondendo in realtà una motivazione economica (relativa a un taglio nei costi di gestione).

I 6 tipi di Greenwashing

Una recente analisi di Planet Tracker identifica sei tipi di greenwashing:

  • Greencrowding: si basa sulla convinzione che ci si possa nascondere nella folla per evitare di essere scoperti, confidando nella sicurezza del numero. Così facendo, se si stanno sviluppando politiche di sostenibilità, è probabile che il gruppo si muova alla velocità del più lento;
  • Greenlighting: si verifica quando la comunicazione dell’azienda (comprese le pubblicità) mette in risalto una caratteristica particolarmente “verde” delle sue operazioni o dei suoi prodotti, per quanto piccola, al fine di distogliere l’attenzione da attività dannose per l’ambiente condotte altrove;
  • Greenshifting: si verifica quando le aziende insinuano che la colpa è del consumatore e la scaricano su di lui;
  • Greenlabelling: una pratica in cui i professionisti del marketing denominano un prodotto o un servizio utilizzando termini che rimandano al “green” ma un esame più approfondito rivela che le loro affermazioni sono fuorvianti;
  • Greenrinsing: si riferisce a un’azienda che cambia regolarmente i propri obiettivi ESG prima di raggiungerli;
  • Greenhushing: si riferisce ai team di gestione aziendale che non dichiarano o nascondono le proprie credenziali di sostenibilità per eludere il controllo degli investitori.

Il Greenwashing nella normativa

Nel marzo 2023 la Commissione europea ha proposto nuovi criteri comuni per contrastare il greenwashing e le asserzioni ambientali ingannevoli, che sono stati poi approvati dal Parlamento a maggio 2023. Gli sforzi della Commissione nascono dall’esigenza di arginare il fenomeno del greenwashing e di invertire i risultati di uno studio della Commissione del 2020 che aveva rilevato che il 53,3% delle asserzioni ambientali esaminate nell’UE erano vaghefuorvianti o infondate e che il 40% era del tutto infondato. La proposta più recente della Commissione integra quella del marzo 2022 sulla “responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde” stabilendo norme più specifiche in materia di asserzioni ambientali, oltre a un divieto generale di pubblicità ingannevole. 

La Commissione qualche mese prima aveva chiesto alle autorità di vigilanza europee un contributo su diversi aspetti legati al greenwashing e ai rischi ad esso correlati, nonché sulle azioni di vigilanza intraprese e sulle sfide affrontate per fronteggiare tali rischi. Le ESA, dunque, avevano lanciato una Call for Evidence per chiarire il quadro, alla quale a gennaio aveva risposto l’European Financial Reporting Advisory Group (EFAMA). Nel documento, il gruppo consultivo chiedeva di considerare il concetto di greenwashing in senso non troppo ampio e generico, individuando e comprendendo i suoi attributi fondamentali per affrontare le pratiche ingannevoli e quindi rafforzare l’integrità e l’efficacia dei mercati dei capitali dell’UE. In particolare, secondo l’EFAMA, le valutazioni di greenwashing dovrebbero consistere in due componenti:

  • Travisare consapevolmente le pratiche o le caratteristiche di sostenibilità di un prodotto con l’obiettivo o l’intenzione di fuorviare o indurre in errore il destinatario della dichiarazione di sostenibilità;
  • Se non c’è l’intenzione di fuorviare o indurre in errore il destinatario dell’affermazione di sostenibilità, si può comunque parlare di greenwashing in caso di grave negligenza da parte degli operatori del mercato finanziario che fanno l’affermazione.

A livello globale, invece, si ricordano le norme proposte da nuove norme proposte a ottobre 2022 dalla Financial Conduct Authority (FCA), volte a introdurre etichette di sostenibilità per i prodotti di investimento e dei requisiti di divulgazione, nel tentativo di reprimere il greenwashing realizzato attraverso l’esagerazione o la falsa rappresentazione delle dichiarazioni ESG. Anche la SEC statunitense ha presentato delle proposte di etichettatura e divulgazione dei prodotti, così come l’Australia, che ha fornito una guida anti-greenwashing e il MAS di Singapore con i suoi nuovi requisiti di rendicontazione e divulgazione per i fondi ESG.

Esempi di Greenwashing e falso eco-friendly

Coca-Cola 

Nel giugno 2021, la multinazionale Coca-Cola, già dai primi anni 2000 al centro di controversie legate ai temi della sostenibilità, è stata citata in giudizio dall’Earth Island Institute, un’organizzazione ambientalista senza scopo di lucro, con l’accusa di fare marketing ingannevole. Nella denuncia, infatti, l’Earth Island Institute sosteneva che l’azienda stava ingannando i consumatori commercializzandosi come sostenibile e rispettosa dell’ambiente, mentre “inquina più di qualsiasi altra azienda di bevande e lavora attivamente per impedire misure di riciclaggio efficaci negli Stati Uniti”. Le iniziative cui l’organizzazione faceva riferimento erano, ad esempio, le campagne “Every Bottle Back” e “World Without Waste”, o l’affermazione dell’azienda che le sue bottiglie di plastica e i tappi fossero progettati per essere riciclabili al 100%. Al contrario di quanto affermato dalla società, secondo la denuncia, Coca-Cola è il principale produttore di rifiuti plastici del mondo, generandone 2,9 milioni di tonnellate all’anno. Usa inoltre circa 200.000 bottiglie di plastica al minuto, pari a un quinto della produzione mondiale di bottiglie di polietilene tereftalato (PET). Questa produzione di plastica si basa anche sui combustibili fossili, con conseguenze significative anche sulle emissioni di CO2.

L’eccessiva produzione di rifiuti di plastica è legata soprattutto alle carenze presenti nel sistema di riciclaggio: solo il 30% delle bottiglie, infatti, può essere riciclato effettivamente, cosa ormai nota da tempo tra i protagonisti dell’industria della plastica. Eppure, secondo la denuncia, Coca-Cola non solo non ha implementato una strategia di riciclaggio efficace, ma si è attivamente opposta alle “bottle bills”, leggi che imporrebbero una piccola tassa sull’acquisto delle bottiglie di plastica che verrebbe restituita al consumatore quando la bottiglia viene restituita ad un impianto di riciclaggio. 

Eni

A gennaio 2021 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha emesso un provvedimento contro il colosso energetico italiano Eni per greenwashing. L’Autorità ha esaminato così alcuni claim diffusi tra il 2016 e il 2019 da Eni relativi a “ENIdiesel+”, presentato come diesel bio, green e rinnovabile, con addirittura la possibilità di abbattere le emissioni di CO2 fino al 40%. L’AGCM ha considerato quella pubblicità come “ingannevole, ai sensi del Codice del Consumo”, dal momento che è emerso da uno studio condotto dalla Commissione europea, che gli additivi vegetali presenti nel prodotto non riducono né l’impatto ambientale né i consumi. 

Di conseguenza, il Tar del Lazio ha stabilito che ad Eni fosse proibito di continuare a ricorrere a quei messaggi pubblicitari, in quanto “non è consentito nella comunicazione pubblicitaria considerare green un gasolio per autotrazione. Ovvero un carburante che per sua natura è un prodotto altamente inquinante. Né dichiarare che attraverso il suo utilizzo è possibile prendersi cura dell’ambiente”. Il Tar ha disposto quindi una multa di 5 milioni di euro (ovvero il massimo). 

Ad accogliere con entusiasmo la sentenza è stata Legambiente, “Movimento Difesa del Cittadino e Transport&Environment”, che nel 2019 aveva avviato il ricorso presso l’AGCM. 

H&M

Nel 2019, anche il colosso svedese del fast fashion H&M è stato messo sotto accusa per greenwashing. La Norwegian Consumer Authority, corpo governativo indipendente, ha condotto, infatti, un’indagine su possibili violazioni dell’azienda alla normativa relativa alla pubblicità ingannevole. In particolare, è stata esaminata la collezione di H&M “Conscious” che, sebbene identificata come green, non darebbe “informazioni precise” sulla reale sostenibilità dei prodotti. 

Quindi, l’Autorità accusava H&M del fatto che le informazioni di pubblico dominio erano troppo vaghe, riferendosi al “50% minimo di materiali riciclati, organici o in Tencel”. 

“La nostra opinione è che H&M non sia abbastanza chiara o specifica nella spiegazione di come gli abiti della collezione Conscious siano più sostenibili degli altri prodotti del marchio in vendita”, ha dichiarato a riguardo il vice direttore generale della Consumer Authority Bente Øverli.

La Consumer Authority non ha emesso un provvedimento contro H&M, ma ha colto l’occasione per spingere l’azienda svedese a trovare una comunicazione migliore sulla sua filiera produttiva. 

Ikea

Anche Ikea, che punta molto sull’immagine di gruppo sostenibile e ha dichiarato di voler diventare carbon positive per il 2030, è stata chiamata in causa nel 2020 sul tema del greenwashing. L’azienda è stata accusata dal gruppo ambientalista britannico Earthsight di essersi rifornita di legname abbattuto in modo illegale proveniente dalla Russia e dall’Ucraina. 

Nel report “Flatpacked Forests: Ikea’s Illegal Timber Problem and the Flawed Green Label Behind It”, Earthsight ha documentato come gran parte delle imprese forestali statali ucraine non avessero rispettato le norme sulla provenienza del legname, in particolare abbattendo alberi senza le necessarie valutazioni di impatto ambientale e disboscando oltre i confini autorizzati. 

Nell’indagine, il gruppo ambientalista stimava inoltre che Ikea fosse responsabile del consumo di un albero al secondo per soddisfare la domanda globale dei suoi prodotti. Il gruppo svedese viene infatti considerato un modello di fast-fashion nel settore dell’arredamento, incentivando così l’uso di legname e la deforestazione. Un’accusa cui il gruppo ha risposto avviando il programma di riacquisto e vendita dei mobili usati.

Unilever

A giugno 2022 un’indagine di Reuters ha scoperto che Unilever, multinazionale britannica attiva nel settore dell’alimentazione, bevande, prodotti per l’igiene e per la casa, aveva esercitato pressioni contro divieti potenziali delle bustine di plastica monouso che utilizza per vendere i suoi prodotti. Questo nonostante avesse apertamente espresso la volontà di eliminare gradualmente gli imballaggi pericolosi per l’ambiente. Queste bustine Unilever le vende soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, per consentire alle persone meno abbienti di acquistare i suoi prodotti in piccole quantità. Il problema è che gli imballaggi usa e getta sono una delle principali fonti di inquinamento degli ecosistemi marini.

KLM

Ad aprile 2023 un tribunale olandese ha ascoltato le argomentazioni del gruppo non-profit Fossil Free contro KLM per il presunto Greenwashing nelle pubblicità che suggerivano che volare con la compagnia aerea non è una scelta sbagliata dal punto di vista ambientale.Tra i piani della compagnia per raggiungere gli obiettivi di emissione, l’utilizzo di carburante più sostenibile e l’adozione di aerei a idrogeno, una volta che saranno disponibili. Tra i gruppi ambientalisti che sostengono il caso anche ClientEarth e Greenpeace. Gli avvocati di KLM hanno negato l’accusa di Greenwashing, chiedendo ai giudici del tribunale distrettuale di Amsterdam di archiviare il caso e hanno sostenuto che gli obiettivi climatici di KLM sono credibili e che ha il diritto di pubblicizzarli.

Dall’altra parte, nel denunciare la campagna “Fly Responsibly” di KLM, il legale di Fossil Free ha affermato che essa presentava immagini di giovani speranzosi, natura in fiore e possibili tecnologie future. Fossil Free ha chiesto a KLM di pubblicare una rettifica e di interrompere la pubblicità. L’avvocato di KLM ha risposto sottolineando che la campagna era già stata interrotta e ha messo in dubbio che una causa civile abbia senso. I giudici decideranno in seguito se il caso potrà essere portato avanti.

San Benedetto

Tra i casi di Greenwashing più clamorosi in Italia vi è quello di San Benedetto, che nel 2010 ha dovuto pagare una multa di 70.000 euro per aver presentato pubblicità in cui faceva figurare le bottiglie di plastica utilizzate come “amiche dell’ambiente”. Tra il 2008 e il 2009, infatti, la società aveva lanciato dei messaggi in cui sottolineava l’ecosostenibilità delle nuove bottiglie “prodotte con meno plastica, meno energia e più amore per l’ambiente”. Tuttavia, come suggerito in seguito dall’Antitrust, l’effettivo risparmio di energia e di emissioni di CO2 all’epoca non poteva essere stato calcolato perché non esistevano ancora strumenti idonei a quantificarlo e, pertanto, a stimare i benefici per l’ambiente.

Chevron

Nel 2021, tre gruppi ambientalisti hanno presentato alla Federal Trade Commission una denuncia per pubblicità ingannevole nei confronti di Chevron, sostenendo che la major petrolifera statunitense aveva sopravvalutato i suoi investimenti nelle energie rinnovabili e nelle azioni per ridurre le emissioni di gas serra. I gruppi, Global Witness, Greenpeace e Earthworks, avevano dichiarato che la loro denuncia era la prima a chiedere alla FTC di utilizzare le sue “Guide verdi” contro una compagnia petrolifera per aver ingannato i consumatori sulle sue azioni per combattere il cambiamento climatico. Le linee guida del 2012 della Commissione mirano a impedire alle aziende di fare false dichiarazioni ambientali. In particolare, erano 15 le campagne di Chevron individuate dagli ambientalisti come fuorvianti, tra cui le pubblicità “Human Energy” e “We Agree”.

Nella loro denuncia, i gruppi ecologisti affermavano che, nonostante gli annunci di Chevron che pubblicizzavano i suoi investimenti nelle energie rinnovabili, l’azienda aveva speso solo lo 0,2% delle sue spese in conto capitale – circa 26 milioni di dollari all’anno dei suoi 13 miliardi di dollari di spesa media annua in conto capitale – in fonti energetiche a bassa emissione di carbonio.

Quali sono i rischi del greenwashing e come evitarlo

Esistono vari rischi legati alle pratiche di greenwashing. Uno dei principali è la perdita di fiducia. E una volta che i consumatori scoprono di essere stati ingannati è molto difficile ricostruire l’immagine e la reputazione della società con la conseguenza che il danno può essere anche superiore al beneficio che l’azienda sperava di ottenere.

Altro pericolo è la mancanza di un’azione concreta per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità. Se un’azienda vede premiati i propri slogan di greenwashing potrebbe accontentarsi di quel risultato senza impegnarsi e fare gli investimenti necessari per migliorare il proprio modello produttivo.

Per quanto riguarda il settore finanziario, è particolarmente importante l’identificazione delle aziende che realmente hanno incorporato la sostenibilità all’interno della propria organizzazione, soprattutto per gli investitori ESG. Il rischio, altrimenti, è quello di finanziare progetti e imprese che non apportano alcun beneficio per l’ambiente e le persone.

Come si può fare per evitare le trappole del greenwashing? L’Europa sta venendo in aiuto creando una normativa stringente su quello che può essere definito green. Il principale strumento normativo è la Tassonomia UE, adottata dal Parlamento nel 2020, con l’intento di definire univocamente, nell’ambito dei mercati finanziari, “l’attività economica sostenibile dal punto di vista ambientale”. Un sempre maggior numero di aziende sarà poi tenuto a dare il proprio resoconto delle attività sostenibili e dei reali risultati raggiunti attraverso la dichiarazione non finanziaria delle imprese come ribadito con la direttiva EU NFDR (Non Finance Reporting Directive), mentre i fondi comuni di investimento dovranno precisare il grado di allineamento dei propri asset alla Tassonomia, come stabilito dalla SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation). 

Ma ciò sicuramente non basta, è fondamentale che i sistemi di standardizzazione siano chiari e resi obbligatori il più possibile. E prima di comprare un prodotto o uno strumento di investimento proprio per le caratteristiche green bisogna informarsi accuratamente.

Come smascherare il Greenwashing

Come si può stabilire quali marchi sono colpevoli di Greenwashing? Ci sono alcuni segnali da osservare per capire come evitarlo. Secondo la Federal Trade Commission degli Stati Uniti, alcuni dei modi migliori per identificare le aziende che comunicano azioni con effetti positivi su ambiente e società che peccano di greenwashing sono i seguenti:

  • Cercare un’etichetta che spieghi l’impatto ambientale positivo di un prodotto con un linguaggio semplice e senza usare frasi ad effetto;
  • Le dichiarazioni di marketing devono essere chiare se si riferiscono all’imballaggio, al prodotto stesso o a una parte di entrambi;
  • Il linguaggio del marketing non deve essere esagerato o implicare un beneficio ambientale più significativo di quello che potrebbe fornire;
  • Quando il prodotto si confronta con un altro brand deve mostrare le prove a sostegno della propria tesi;
  • Cercare prodotti con certificazioni di terzi affidabili, come ad esempio il Carbon Trust Standard (per le emissioni di CO2 verificate).

In ambito italiano, a novembre 2022 il Forum per la Finanza Sostenibile ha fornito delle linee guida per contrastare il Greenwashing contenute nel paper “Greenwashing e finanza sostenibile: rischi e risorse di contrasto”. Nel documento, il Forum suggerisce che aziende e investitori possano evitare di incorrere nel greenwashing seguendo alcune raccomandazioni generali relative a: identificazione degli obiettivi di sostenibilità e loro raggiungimento; metodologie di misurazione dei KPI; modalità di reperimento dei dati ESGverifica dei dati divulgati e dei progressi realizzati; dialogo con gli stakeholder; comunicazione accurata e trasparente.

Tali raccomandazioni per sviluppare politiche di sostenibilità efficaci e una comunicazione esente da greenwashing sono:

  • Identificare obiettivi di sostenibilità e comunicare in modo trasparente sia i principi generali a cui fanno riferimento, sia le ragioni che hanno portato a scegliere ogni specifico obiettivo;
  • Dettagliare il percorso per raggiungere gli obiettivi prefissati esplicitando tempi, modi e obiettivi intermedi; 
  • Esplicitare le metodologie di misurazione dei Key Perfomance Indicator (KPI) scelti per monitorare il raggiungimento degli obiettivi, chiarendone i pro e i contro;
  • Definire le modalità di reperimento dei dati ESG dettagliando le fonti, la tipologia dei dati, le metodologie di raccolta delle informazioni e, infine, il grado di affidabilità e verificabilità sia dei dati, sia delle fonti;
  • Verificare i dati ESG divulgati e i progressi realizzati nel raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ricorrendo a una terza parte indipendente (preferibilmente pubblica);
  • Dialogare con gli stakeholder (incluse ONG e comunità locali) e pubblicare rendicontazioni dettagliate sui sog- getti coinvolti, sulle modalità di svolgimento del processo di dialogo e sui risultati raggiunti;
  • Comunicare in modo accurato, prestando particolare attenzione alla selezione dei contenuti e alla verificabilità di tutte le informazioni divulgate.