Nel panico di mantenere le luci accese dall’inizio dello scoppio della guerra in Ucraina, i politici di tutta Europa e Asia si sono trovati costretti ad aumentare il consumo di combustibili fossili, soprattutto di carbone, il combustile fossile a maggiore intensità di carbonio. Prima della guerra, sembrava che l’appetito per il combustibile, dopo aver raggiunto il picco nel 2013, fosse in declino secolare. Nel 2022 il consumo di carbone è cresciuto dell’1,2%, superando gli 8 miliardi di tonnellate per la prima volta nella storia. I prezzi del gas alle stelle hanno spinto le aziende di servizi pubblici in Europa e in alcune parti dell’Asia, in particolare in Giappone e Corea del Sud, a utilizzare molto carbone rispetto al passato. In Cina e in India la produzione è aumentata rispettivamente dell’8% e dell’11% nel 2022, portando la produzione mondiale a un livello record.
Tuttavia, la realtà è che il ritorno dei combustibili fossili è una misura temporanea all’interno di una tendenza strutturale di ben più ampio respiro. Rendendo il carbone, il gas e il petrolio più scarsi e più cari, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha dato alle energie rinnovabili, che sono per lo più generate a livello nazionale, un vantaggio strategico ed economico talmente significativo, che, secondo stime dell’Economist, potrebbe accelerare la transizione energetica di ben cinque o dieci anni.
L’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) prevede che la domanda di carbone rimarrà elevata fino al 2025 (anche se avverte che fare previsioni è particolarmente difficile nelle attuali condizioni di mercato). L’Europa riceverà meno gas dalla Russia e l’offerta globale di LNG rimarrà probabilmente limitata, il che significa che il carbone rimarrà l’opzione di ripiego del blocco. Oltre il 2025 le fortune del carbone appaiono poco rosee. I nuovi progetti di LNG in America, Qatar e altrove entreranno in funzione, dando sollievo ai mercati del gas.
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Diminuisce il consumo di energia utilizzata nell’ultimo anno: gli sforzi più evidenti risultano in Europa
I prezzi elevati hanno già indotto consumatori e imprese a ridurre la loro dipendenza dai combustibili fossili. L’anno scorso l’economia mondiale è diventata del 2% meno energivora, misurata in base alla quantità di energia utilizzata per produrre un’unità di PIL, il miglioramento più rapido degli ultimi dieci anni. Gli sforzi per consumare meno sono più evidenti in Europa, che negli ultimi mesi è stata favorita da temperature insolitamente miti. Secondo la società di consulenza McKinsey, il clima caldo e la maggiore efficienza energetica hanno fatto sì che il continente abbia utilizzato il 6-8% di elettricità in meno quest’inverno rispetto a quello precedente.
In tutto il mondo, inoltre, i capitali vengono mobilitati su vasta scala per rendere l’economia più parsimoniosa. L’anno scorso governi, famiglie e imprese hanno speso insieme 560 miliardi di dollari per l’efficienza energetica. Questi soldi sono stati destinati principalmente a due tecnologie: i veicoli elettrici e le pompe di calore. Le vendite dei primi sono quasi raddoppiate sia nel 2021 che nel 2022.
Per quanto riguarda le fonti di energia alternative, da dicembre 2021 a ottobre 2022 i prezzi dei contratti per i progetti eolici e solari fotovoltaici del continente europeo sono stati in media del 77% inferiori ai prezzi dell’energia all’ingrosso. A 257 euro/MWh, il prezzo medio in Germania a dicembre, un tipico impianto solare impiega meno di tre anni per diventare redditizio, contro gli 11 anni a 50 euro/MWh, il prezzo medio spot tra il 2000 e il 2022. A livello globale, le installazioni di pannelli solari sui tetti, che le famiglie e le imprese utilizzano per ridurre le bollette, sono aumentate del 50% nel 2022. Anche i progetti eolici onshore del 2022 hanno raggiunto la capacità installata record di 128 GW, un aumento del 35% rispetto all’anno precedente. L’International Energy Agency prevede che gli investimenti continueranno ad aumentare nei prossimi due anni.
L’inizio di un capex super-cycle atlantico per il settore delle tecnologie pulite?
L’invasione russa dell’Ucraina è stata di fatto il catalizzatore della corsa industriale tra Europa e Stati Uniti per il controllo delle tecnologie pulite, con le quali si perseguirà a ritmo accelerato nei prossimi anni con il duplice obiettivo di mitigazione al cambiamento climatico e sicurezza energetica. L’Inflation Reduction Act (IRA) americano ha stanziato 369 miliardi di dollari di sussidi per le tecnologie verdi. La Commissione Europea prevede di fornire almeno 250 miliardi di euro alle aziende del settore delle tecnologie pulite e ha deciso di anticipare l’obiettivo di raddoppiare la capacità solare installata nell’UE al 2025, dal 2030.
Il quadro chiaro e attuabile introdotto dall’Inflation Reduction Act (IRA) degli Stati Uniti probabilmente attirerà gli investimenti nell’energia pulita, riorientando i capitali dall’Europa. Questo, unito al sostanziale divario tra le regioni in termini di bollette energetiche, potrebbe accelerare la deindustrializzazione dell’Europa. È alla luce di questo rischio che l’Unione Europea è costretta a prendere misure ambiziose che sappiano riequilibrare il terreno di gioco e garantire la competitività europea nel campo delle tecnologie pulite, chiave per lo sviluppo economico e la sicurezza energetica dei prossimi decenni.
Sebbene le negoziazioni europee sulle questioni di politica energetica siano molto spesso caratterizzate da duri scontri e posizioni apparentemente inconciliabili, è ragionevole aspettarsi che nei prossimi mesi le differenze tra i paesi europei circa la portata e le modalità di realizzazione di un “IRA europea” si riassorbano progressivamente, considerati i rischi di deindustrializzazione e perdita della leadership nel campo strategico delle energie pulite che l’Unione Europea correrebbe in caso di incapacità dei paesi membri di raggiungere un accordo.