L'opinione di Abigail Watt di abrdn

abrdn Gender Equality Index: la politica è cruciale nel raggiungimento della parità di genere

È sempre più evidente che la pandemia ha esacerbato la disparità preesistente tra le responsabilità di cura di uomini e donne, con la perdita di opzioni di assistenza all’infanzia e l’aumento della domanda di assistenza agli anziani. Tuttavia, il fatto che gli uomini dedichino complessivamente più tempo alla cura dei bambini è incoraggiante – le evidenze dell’abrdn Gender Equality Index mostrano che, dopo un periodo di congedo parentale, la partecipazione degli uomini alla cura rimane elevata al momento del ritorno al lavoro formale. Questo dato può essere sfruttato dai governi con politiche di congedo per la cura dei figli rivolte agli uomini e con un incremento della flessibilità nel mercato del lavoro. È questo il tipo di sostegno politico necessario per affrontare l’iniqua distribuzione delle responsabilità e raggiungere l’uguaglianza a lungo termine nel mercato del lavoro.

Abigail Watt, Research Economist di abrdn

Abbiamo creato l’abrdn Gender Equality Index al fine di aiutare i nostri team di investimento a comprendere le tendenze specifiche dei Paesi in materia di uguaglianza di genere e per poter valutare come l’uguaglianza di genere sia cambiata durante la pandemia nei Paesi OCSE. Sappiamo che l’uguaglianza di genere non è solo un argomento etico, ma anche economico e – man mano che le economie si risollevano – è fondamentale monitorare la ripresa della partecipazione delle donne alla forza lavoro.

L’abrdn Gender Equality Index analizza 29 Paesi sviluppati in base a un’ampia gamma di fattori economici, politici e diempowerment.  Il punteggio viene assegnato sulla base di misure specifiche che indicano per ciascun Paese l’attuale situazione economica per le donne, le politiche in atto per sostenere l’uguaglianza, oltre a un punteggio di empowermentche misura il livello di opportunità e coinvolgimento sia di business sia politico esistente per le donne.  

Secondo i dati più recenti, relativi al periodo 2020-2021:

  • La partecipazione delle donne resta sotto il trend pre-pandemia. Inoltre, le donne che non hanno abbandonato del tutto il mercato del lavoro hanno avuto maggiori probabilità di essere disoccupate rispetto alle controparti maschili. In genere, durante una recessione, i tassi di disoccupazione maschile aumentano più di quelli femminili, ma ciò non è avvenuto durante la pandemia: i tassi di disoccupazione femminile sono rimasti in media superiori a quelli degli uomini. I settori in cui le donne sono sovra-rappresentate hanno subito una maggiore perdita di posti di lavoro e, in base alla risposta politica adottata dai governi durante la pandemia, mediamente un numero maggiore di donne ha abbandonato la forza lavoro.
  • Le ore di lavoro delle donne sono diminuite più di quelle degli uomini durante l’ondata iniziale della pandemia – la media delle ore di lavoro delle donne nei Paesi OCSE è diminuita del 16,4% rispetto al 14,9% degli uomini. Oltre alle cause strutturali, l’aumento sproporzionato delle responsabilità di cura ha reso le donne più inclini a ridurre le ore di lavoro o ad abbandonare la forza lavoro: in Europa, le donne lavoratrici hanno il 50% di probabilità in più rispetto agli uomini di occuparsi regolarmente di parenti adulti malati, disabili o anziani.
  • Le economie scandinave continuano a mantenere le prime posizioni dell’indice. La Svezia è passata al primo posto, seguita dalla Danimarca, mentre la Norvegia è scivolata al terzo, a causa di una ripresa più lenta della partecipazione femminile dopo la pandemia. La posizione della Finlandia al quarto posto rimane invece invariata.
  • Il cambiamento più significativo è quello dell’Islanda, scesa di 4 posizioni al 13° posto. Un risultato dovuto a fattori macro, come l’aumento del divario di disoccupazione, con un tasso di disoccupazione femminile più alto di quello maschile e un calo del tasso di partecipazione femminile.
  • Il Giappone è scivolato in fondo alla classifica, scambiandosi di posto con la Corea, e registrando un calo nel punteggio di empowerment causato da un accesso limitato alle opportunità di lavoro e di business statali per le donne. Negli ultimi anni non ci sono stati altri cambiamenti per i paesi al di sotto della 23aposizione.  
  • Il Regno Unito è salito dal 22° al 21° posto, con la più grande variazione positiva nel punteggio relativo all’empowerment, dovuta alla combinazione di un migliore accesso alle opportunità di lavoro statali per le donne e di un maggiore empowerment politico. 
  • La Spagna è salita dal 13° al 12° posto, grazie ai miglioramenti delle sue politiche, con l’aumento del congedo di paternità a 16 settimane, come quello di maternità. In questo modo i padri spagnoli hanno accesso a quattro settimane aggiuntive di congedo di paternità.
  • La posizione dell’Italia rimane ancora molto in basso nell’indice, al 26° posto su 29 Paesi. Sul fronte dell’occupazione, il tasso di partecipazione femminile è pari al 39% rispetto alla media del campione (55).