Juniper - Sace | ESGnews

Intervista

Juniper: la tutela della biodiversità è una priorità per le aziende all’avanguardia

La tutela della biodiversità e degli ecosistemi deve essere una priorità per le aziende che vogliono sopravvivere nel lungo periodo. Ma anche per i governi e per i singoli individui. Ne è convinto Tony Juniper, ambientalista ed esperto di fama internazionale sui temi della biodiversità, presidente di Natural England, l’organizzazione del governo inglese che lavora per la conservazione e il ripristino dell’ambiente naturale in Inghilterra, e Fellow dell’Institute for Sustainability Leadership (CISL) dell’Università di Cambridge. 

La perdita di biodiversità, come riconosciuto alla COP15 di fine 2022 e ribadito dal World Economic Forum a Davos il mese scorso, è tra le più gravi emergenze globali. Un tema di particolare impatto per l’Italia, che ha il maggior patrimonio di biodiversità in Europa e che nel 2022 ha inserito la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi nella propria Costituzione. Secondo l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), l’Italia può essere considerata un hot-spot di biodiversità, con uno dei più alti numeri di specie animali (oltre 58.000) e vegetali (più di 12.000) e tipi di habitat in Europa. Questa ricchezza è particolarmente preziosa anche perché un’altissima percentuale di queste specie è endemica, vive cioè solo entro i nostri confini.

In questo contesto, le aziende all’avanguardia, che traggono benefici anche economici dal loro essere più sostenibili, possono guidare, in collaborazione con i governi, la transizione verso modelli di business che abbiano minor impatto su ambiente e persone. Secondo Juniper, key-note speaker degli ESG Dialogues 2024 di Sace, il gruppo assicurativo-finanziario controllato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, la partnership tra pubblico e privato è fondamentale, così come il concetto di leadership. Ed è qui che si inserisce il ruolo di primo piano di Sace che, mettendo a disposizione le proprie soluzioni assicurativo-finanziarie e il proprio patrimonio di relazioni e conoscenze, punta a “guidare le aziende più consapevoli dando loro allo stesso tempo la possibilità di essere più proattive nella ricerca di soluzioni adeguate”. 

In questa intervista a ESGnews, Juniper, che è anche advisor dell’Union Bancaire Privée sulle strategie per gli investimenti di impatto come membro dell’Impact Advisory Board, affronta il tema della tutela degli ecosistemi naturali e l’importanza che agiscano all’unisono aziendeinvestitorigoverni e singoli individui. Senza la cooperazione tra tutti questi attori, infatti, gli obiettivi ESG diventano irraggiungibili. 

Sulla base della sua vasta esperienza e delle sue ricche collaborazioni con primarie organizzazioni che si occupano di sostenibilità, quali sono oggi, a suo avviso, le principali opportunità e sfide ESG?

In un mondo in continuo e rapido cambiamento è difficile inquadrare le principali sfide e opportunità (ESG e non) che l’umanità si trova oggi ad affrontare. Eppure, una sfida evidente del sistema economico attuale è la forte volatilità dei mercati, che implica alti livelli di rischio. In questo contesto, le organizzazioni più sostenibili hanno maggiori probabilità di affrontare con successo tale volatilità. 

Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, Europa e Regno Unito hanno subito uno shock energetico negativo, legato all’incremento dei prezzi di materie prime come il gas, che a loro volta si sono tramutati in questioni sociali connesse al costo della vita. Tale situazione ha portato la società europea e britannica a riflettere sul modo in cui è stata gestita l’efficienza energetica negli ultimi trent’anni, svelando una dura verità: non abbiamo fatto ciò che avremmo potuto per ridurre la nostra dipendenza dal gas e dai combustibili fossili attraverso l’efficienza energetica. Se ciò fosse avvenuto, la nostra società oggi si sarebbe trovata in una posizione meno vulnerabile di fronte a shock energetici di tale portata.  

Guardando al futuro, è necessario sottolineare l’importanza di essere più efficienti, più rinnovabili e fare meno affidamento sulle fonti fossili. Infatti, l’efficienza delle risorse e il passaggio da sistemi inquinanti a puliti non hanno effetti benefici solo sull’ambiente ma anche sulla capacità dei paesi di affrontare gli shock energetici. E nel mondo di oggi, dove le sfide si fanno sempre più pressanti e diffuse, ciò assume ancora più rilevanza. 

Allo stesso tempo, però, ci sono enormi opportunità per le organizzazioni che si rinnovano e investono in attività pulite e sostenibili. Le aziende, d’altra parte, sono spinte sempre di più a esplorare le innovazioni anche dalla regolamentazione dei governi, che hanno iniziato a imporre loro requisiti che garantiscano che le loro attività siano positive per la natura e, quindi, a basse emissioni di carbonio. Ciò che sembra solo un obbligo, un’imposizione, è in realtà un’opportunità per le aziende più lungimiranti, che devono agire subito per trarne vantaggio ed essere così in grado di gestire meglio i rischi. 

Quanto è importante la biodiversità in Italia? E quale potrebbe essere il ruolo di Sace in questo contesto?

La biodiversità e la salute degli ecosistemi sono importanti per tutti i Paesi, ma a maggior ragione per l’Italia. Si tratta, infatti, del paese con il livello di biodiversità più elevato in Europa, ricchezza legata anche al fatto che da nord a sud si susseguono condizioni climatiche estremamente variabili, dai ghiacciai delle Alpi alla fascia mediterranea estremamente temperata della Sicilia. 

Avere ecosistemi ricchi e sani è molto importante per il benessere dei paesi perché riducono il rischio che si verifichino eventi estremi come le inondazioni e la siccità e, inoltre, contribuiscono alla sicurezza alimentare dei cittadini. Purtroppo, ad oggi, la maggior parte dei paesi industrializzati sta subendo una progressiva perdita di biodiversità.

In questo contesto, Sace ha un ruolo di primo piano, che è quello di guidare le aziende più consapevoli delle sfide che devono affrontare, dando loro allo stesso tempo la possibilità di essere più proattive nella ricerca di soluzioni adeguate. 

Lei conosce sia il punto di vista del governo che quello degli investitori ESG. Secondo lei, come funziona il rapporto tra settore finanziario, aziende e governi nel percorso verso il raggiungimento degli obiettivi sostenibili?

È già complicato individuare un percorso verso la sostenibilità all’interno di un singolo settore. Ma la situazione si complica ulteriormente se si considera l’interazione tra i diversi attori. Eppure, è l’unica soluzione possibile. Le partnership tra governi e aziende sono fondamentali per raggiungere obiettivi concreti, anche se nella maggior parte dei contesti sono ancora in fase di sviluppo.

La speranza è che in futuro ci sia una maggiore integrazione tra settore privato (le aziende), finanziario (banche, asset manager), pubblico (autorità locali, governi nazionali e partnership tra i paesi) e individui. Perché senza un approccio condiviso nessuno proseguirà nel percorso di transizione. La questione oggi è come tutti questi protagonisti della transizione ecologica possano progredire allo stesso ritmo.

Cosa possono fare questi attori per accelerare le soluzioni volte a preservare i nostri ecosistemi così fragili? E come può Sace valorizzare il proprio ruolo collaborando con tutti loro?

La chiave del successo per preservare gli ecosistemi e la biodiversità, che coincide con l’operato di Sace, è la leadership. Significa agire per rispondere alle sfide senza attendere che lo facciano altri prima. La leadership è però il risultato finale di un processo che ha inizio con la sensibilizzazione e la diffusione del consenso su temi rilevanti. Attualmente ci troviamo alla fine di questa prima fase, ma ci sono voluti decenni per giungere fin qui. E in realtà, tuttora alcuni negano l’esistenza del cambiamento climatico o della perdita di biodiversità come minaccia per il pianeta e per gli esseri viventi che lo abitano, sebbene si tratti di minoranze. La coscienza collettiva, infatti, ha ormai assimilato questi concetti, anche grazie a importanti punti di riferimento come l’Accordo di Parigi e la Convenzione di Kumming-Montreal, la COP15. La teoria ha fatto grandi passi in avanti, è ora il caso di agire concretamente per sviluppare nuove strategie, nuovi modelli di business e rendere noti con trasparenza i progressi fatti. E nel farlo, governi, aziende, individui e sistema finanziario devono seguire un piano in maniera allineata.

Come si sono evoluti questi temi nel corso degli anni?

La prima volta che l’opinione pubblica e i leader politici e i dirigenti d’azienda si sono occupati diffusamente di tematiche ambientali risale alla metà degli anni ’90, quando il concetto di CSR (Corporate Social Responsibility) è diventato d’uso comune.  Tuttavia, in quella prima fase, la responsabilità d’impresa era affrontata come un’attività di comunicazione per dare risposte agli stakeholder. In un secondo momento, invece, le iniziative hanno cominciato ad essere improntate a obiettivi concreti di sostenibilità, sebbene si trattasse di strategie ancora separate dal business as usual, seguite da un dipartimento ad hoc. Attualmente gli aspetti ESG sono maggiormente integrati negli obiettivi tradizionali delle società, come la crescita dei ricavi e dei profitti, ma spesso prevalgono ancora queste logiche sul benessere collettivo. La vera sfida odierna è agire per massimizzare i profitti senza però trascurare gli impatti sugli ecosistemi, che è ciò che fanno le aziende “purpose-driven” (orientate allo scopo), come Sace.

A margine dell’intervista, sul tema delle aziende “purpose-driven”, dopo l’intervento di fine 2022, è tornata Victoria Hurth, Fellow of University of Cambridge’s Institute for Sustainability e tra i maggiori esperti in materia di sostenibilità a livello mondiale. La Hurt ha così sottolineato che “come ribadito da Tony Juniper, molte organizzazioni oggi sono ancora focalizzate su interessi finanziari a breve termine, pur cercando di apparire società purpose-driven agli occhi dell’opinione pubblica. Vi sono allo stesso tempo, però, altre aziende che hanno compreso che la tutela degli ecosistemi e delle risorse del pianeta ha dei risvolti positivi anche sui guadagni a breve termine. A spingere queste organizzazioni ad agire negli interessi di ambiente e persone è anche la pressione crescente della società, sempre più attenta a monitorare i casi di greenwashinge l’operato delle aziende. Le organizzazioni purpose-driven, se si uniscono per fare pressione sui governi, possono diffondere sempre di più il cosiddetto capitalismo degli stakeholder, quel sistema capitalistico in cui i bisogni delle parti interessate sono una priorità per ciascun business. Dopotutto, l’economia non dovrebbe mirare ad aumentare il benessere? Il denaro deve essere uno strumento, mai un obiettivo finale. I profitti economici vanno messi al servizio dell’innovazione e di obiettivi a lungo termine, che sono quelli che garantiscono la sopravvivenza delle stesse aziende”.