Il cambiamento climatico è una delle principali minacce per le economie globali, in quanto il verificarsi di catastrofi naturali è sempre più frequente. Tuttavia, non tutti i Paesi sono esposti allo stesso modo ai rischi climatici. La Française AM ha sviluppato una metodologia che permette agli investitori obbligazionari di orientarsi integrando i rischi climatici e la transizione energetica nelle decisioni di investimento.
Sono state individuate, innanzitutto, due macro categorie di rischi: quelli fisici e quelli di transizione:
- Rischi fisici: i rischi fisici si riferiscono alle potenziali perdite economiche e finanziarie subite a causa di eventi legati ai cambiamenti climatici. Negli ultimi vent’anni, in tutto il mondo sono stati registrati 7.348 disastri che hanno colpito oltre 4 miliardi di persone e generato perdite economiche per circa 2,97 trilioni di dollari.
- Rischi di transizione: i rischi di transizione sono le perdite economiche associate alla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio. Comprendono il rischio di politica climatica (perdita di entrate), le tasse sul carbonio (prezzi più alti del carbonio), i cambiamenti nella tecnologia e nella domanda, da Brown a Green.
Impatti delle catastrofi naturali comparati tra il periodo 1980-1999 e 2000-2019
Gli investitori obbligazionari dovrebbero, pertanto, prendere in considerazione i rischi climatici nei loro processi di investimento e nelle loro decisioni di asset allocation, dato il loro impatto su una serie di fattori economici:
- Inflazione: la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio influenzerà il mix energetico, facendo aumentare i prezzi.
- Crescita: i costi dei danni a lungo termine degli eventi meteorologici estremi e i costi economici associati alla transizione verde dovrebbero pesare sulla crescita a breve termine. Tuttavia, riteniamo che per i Paesi impegnati nella transizione energetica ad un ritmo accelerato, il bilancio di questi rischi sarà positivo post 2030.
- Politica di investimento e mitigazione: la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio non è solo un rischio per gli investitori, ma anche una fonte di opportunità. Per finanziare la transizione climatica sono necessari ingenti investimenti in tecnologie verdi e gli investimenti pubblici devono aumentare per rafforzare la resilienza delle economie locali.
- Rischio sociale: il cambiamento climatico aumenta i rischi associati alla migrazione e ai conflitti sociali nei Paesi più poveri. Entro il 2050, se non si interviene sul clima, potrebbero diventare migranti a causa del clima ben 143 milioni di persone provenienti dalle regioni in via di sviluppo. Il cambiamento climatico potrebbe spingere altri 100 milioni di persone verso la povertà nei prossimi quindici anni.
Numero di catastrofi naturali riportati per Paese. (2000-2019)
Indice
La nostra metodologia di misurazione
In questo contesto, dunque, misurare e comprendere i rischi climatici di un Paese è un’attività di assoluta rilevanza per fornire dei dati utili agli investitori nelle loro decisioni di investimento.
La metodologia di punteggio che La Française utilizza, fornisce una valutazione quantitativa dei rischi climatici e si basa su due pilastri: Adattamento e Transizione.
- Adattamento: dai rischi fisici alla capacità di adattamento
- Transizione: dalla carbon economy alle opportunità verdi
Adattamento: dai rischi fisici alla capacità di adattamento
Quali sono i Paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici?
La nostra valutazione dell’adattamento si basa su due fattori principali: la vulnerabilità di un Paese ai cambiamenti climatici e la sua capacità di adattamento. La vulnerabilità di un Paese prende in considerazione due parametri: l’esposizione del Paese agli eventi legati ai cambiamenti climatici e i costi dei danni.
- Gli eventi meteorologici estremi hanno un impatto diverso sui Paesi ad alto reddito rispetto a quelli a basso reddito. Secondo i nostri dati: Etiopia, Pakistan, Senegal, Papua Nuova Guinea e Kenya sono i Paesi con la maggiore esposizione agli eventi meteorologici estremi.
- In termini di costi legati alle catastrofi naturali: Filippine, Thailandia, Namibia, Sri Lanka e Mozambico sono i più esposti.
- È interessante notare che alcuni Paesi ad alto reddito, come gli Stati Uniti, il Giappone e l’Australia, sono altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici ma hanno una forte capacità di adattamento che li aiuta a mitigare i rischi climatici.
Dopo aver identificato la vulnerabilità di ciascun Paese ai cambiamenti climatici, valutiamo se il Paese ha la capacità di adattarsi o meno.
Per quanto riguarda la capacità di adattamento, la nostra metodologia prende in considerazione 3 parametri: l’efficacia della governance, la preparazione sociale e la preparazione economica del Paese.
Il cambiamento climatico non è solo una questione economica per i Paesi, ma anche una questione sociale. In questo senso, i Paesi con una forte qualità istituzionale, una bassa corruzione e un reddito pro capite più elevato sono posizionati meglio per affrontare i rischi climatici in termini di capacità di adattamento.
Infine, calcoliamo un punteggio complessivo di adattamento che è la media del punteggio di vulnerabilità e del punteggio di capacità di adattamento.
Dalla nostra analisi emerge che Mozambico, Etiopia, Pakistan, Angola e Papua Nuova Guinea sono i cinque Paesi più vulnerabili tra quelli considerati.
Transizione: da un’economia ad alta intensità di carbonio a un’economia verde
Quali sono i Paesi a maggior rischio di transizione?
La nostra valutazione del rischio di transizione si basa su due fattori principali: la carbon economy e l’opportunità verde. La carbon economy integra due parametri: emissioni di gas serra e dipendenza dai combustibili fossili.
Cina, Stati Uniti, India, Russia e Giappone sono i principali responsabili delle emissioni di gas serra nel mondo, mentre Qatar, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Australia registrano le più alte emissioni di gas serra pro capite. Attualmente i combustibili fossili rappresentano circa l’83% della fornitura totale di energia primaria a livello mondiale e le fonti rinnovabili solo il 12%. Nello scenario migliore, la quota delle fonti rinnovabili dovrebbe salire all’85% entro il 2050.
Logicamente, i Paesi che dipendono fortemente dai combustibili fossili (carbone, petrolio, gas), sia in termini di entrate che di consumi, hanno la più alta intensità di carbonio. Kazakistan, Qatar, Oman, Kuwait e Russia si collocano in fondo a questa classifica. Tra i Paesi sviluppati, Australia, Canada e Stati Uniti sono quelli con i rischi più elevati.
Anche la transizione green è misurata in relazione a due parametri: energia rinnovabile e investimenti verdi.
La transizione verde non implica solo riduzioni sostanziali delle emissioni di gas serra, ma richiede anche una massiccia diffusione di nuove tecnologie, come quelle rinnovabili, e massicci flussi di investimenti nelle tecnologie green entro il 2030. Le energie rinnovabili, l’elettrificazione (trasporti, edifici, industria) e l’efficienza energetica sono i principali pilastri della transizione energetica. Per valutare l’energia rinnovabile, vengono analizzati diversi criteri: efficienza energetica, capacità di energia rinnovabile, quota delle rinnovabili nella produzione di energia e nel consumo totale di energia finale.
Danimarca, Svizzera, Regno Unito, Costa Rica, Irlanda, Uruguay, Panama e Brasile sono tra i primi posti per quanto riguarda le energie rinnovabili e sono ben impegnati nella transizione energetica. Bahrain, Qatar, Oman, Kuwait e Iraq sono invece in ritardo e non hanno ancora iniziato il loro processo di transizione.
Nonostante le incertezze sul percorso da seguire, il BNEF stima che gli investimenti annuali in energia pulita dovrebbero più che triplicare, raggiungendo una cifra compresa tra i 3,1 e i 5,8 trilioni di dollari per raggiungere l’obiettivo di emissioni zero entro il 2050. Ciò creerà milioni di opportunità di lavoro e contribuirà ad un’ulteriore crescita economica, soprattutto nel settore energetico.
Per valutare gli investimenti verdi, si utilizzano i flussi di investimenti in energia pulita.
La regione Asia-Pacifico è stata la più grande in termini di volume di investimenti in energia pulita, con 368 miliardi di dollari, e in termini di crescita, con un +38% nel 2021. La Cina è il principale investitore, con gli Stati Uniti al secondo posto e i Paesi europei (Germania, Regno Unito e Francia) a seguire. Il Vietnam è il secondo miglior Paese EM in termini di volume di investimenti e si posiziona tra i primi dieci a livello globale (mercati sviluppati ed emergenti insieme).
Come ultimo passo, calcoliamo il punteggio della transizione, che è la media dei punteggi relativi alla carbon economy e agli investimenti verdi.
Svezia, Francia, Svizzera, Germania, Cile, Spagna e Regno Unito stanno guidando la transizione verde. Invece, Kuwait, Bahrein, Qatar, Oman e Azerbaigian presentano alti livelli di rischio di transizione: rimangono fortemente dipendenti dai combustibili fossili e non hanno ancora diversificato il loro mix energetico con le energie rinnovabili.