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SDA Bocconi-Ocean Week

Blue Ocean Summit: ecco le strategie delle aziende impegnate nel proteggere i mari

Sono molteplici le industrie con impatti significativi sulla salute degli oceani. Il settore nautico causa 2,89% delle emissioni globali di CO2, la produzione tessile è terza per impatto complessivo sugli ecosistemi marini e l’industria energetica deve trovare il coraggio di focalizzare gli investimenti su fonti rinnovabili. Serve anche educare le nuove generazioni alla sostenibilità ambientale, promuovendo competenze che le vecchie generazioni non hanno consolidato da piccoli, perché sarà parte integrante della loro vita. Questo è quanto emerge dal Thematic panel on ocean innovations – from reaction to prevention, tenutosi nel corso del Blue Economy Summit organizzato da One Ocean Foundation. La fondazione, rappresentata dal presidente Riccardo Bonadeo, si occupa di sostenibilità ambientale con lo scopo di accelerare soluzioni per la protezione degli oceani. L’incontro ha avuto luogo all’Università Bocconi di Milano in occasione della Ocean Week, settimana tematica indotta in Europa quattro anni fa, al fine di stimolare dibattito e innovazione sugli ecosistemi marini.

Settore tessile

Il Green Deal delinea la transizione green e digitale del settore tessile. Con la direttiva Sustainable and circular textiles appena approvata, a cui seguiranno direttive affini, l’Unione Europea ha definito una chiara strada per questa industria, chiedendo prodotti durevoli e di maggior qualità. Il 52% delle aziende si dichiara consapevole della rilevanza di queste tematiche. Tuttavia, le tendenze illustrate da Barbara Cimmino, head of CSR and innovation di Yamamay, mostrano una riduzione del tempo di utilizzo dei singoli capi da parte del consumatore, che dismette circa 11kg di vestiti all’anno, riciclandone solo l’1%. È quindi il momento che le imprese tessili trainino la transizione verso un’economia circolare, cambiando i vecchi processi, cogliendo nuove opportunità di business, e distribuendo valore in modo diverso. 

Settore nautico e carburanti alternativi

Il settore della navigazione è responsabile di quasi il 3% delle emissioni di CO2 globali, e di queste, tra il 60 e l’80% deriva dall’uso delle barche, 22% dai materiali e 8% dalla produzione delle imbarcazioni. Il settore deve quindi concentrarsi sulla fase di utilizzo, secondo Giovanna Vitelli, chair Azimut-Benetti, che ha presentato tre modi di arrivare al target di riduzione emissioni del settore nautico, pari al 40% per il 2030. I tre focus sono l’efficienza di carena, la riduzione del peso delle imbarcazioni, i sistemi di propulsione e di bordo. Al momento, il settore guarda principalmente ai carburanti alternativi, come metanolo e idrogeno, che in versione green, in futuro, potrebbero servire l’industria dello yachting a 360*, mentre oggi, per questioni di distribuzione, sono diffusi solo per la produzione. Per ora la soluzione è l’HVO, che può ridurre le emissioni fino al 90%, e sta vedendo un aumento sostenuto di domanda.

Giovanna Vitelli

Un’alternativa promossa da Marco Alverà, co founder di Zhero e Ceo di Tree Energy Solutions, è quella di produrre energia solare, il cui costo è sceso notevolmente negli ultimi anni, convertirla in idrogeno, ed abbinarla alla CO2, arrivando così a un metano sintetico rinnovabile. Il progetto è in fase di avvio in una fabbrica in Texas, da cui il metano può essere trasportato in Germania. Una volta in Europa il metano può poi essere utilizzato nelle infrastrutture, nelle autovetture e nelle navi, o essere scomposto di nuovo per ottenere idrogeno. Questo tipo di prodotto è ampiamente scalabile e se da una parte richiede capitali ingenti e partnership solide nel settore delle utilities, dall’altro è in grado di fornire energia a basso costo per decine di anni.

Per poter davvero innovare serve però un indice di misurabilità di consumi ed emissioni, ha spiegato Giovanna Vitelli, che oggi è comune per le autovetture ma non ancora presente per la nautica. Azimut-Benetti si sta impegnando con Lloyd’s per sviluppare una metrica di misurazione adatta.

Formazione

In Italia, le prime azioni per la protezione degli ecosistemi marini hanno preso piede quando le persone si sono accorte dei danni fatti in passato, vedendoli con i propri occhi. Questo impegno ha portato, per esempio, al meccanismo delle Bandiere Blu, che secondo Marco Tronchetti Provera, executive vice president e Ceo di Pirelli & Co, andrebbe esteso agli oceani in senso lato, con la collaborazione delle imprese. 

Questo tipo di mentalità però è possibile solo se si inizia ad appassionare le persone agli oceani fin dalle scuole elementari, partendo quindi dalla formazione, in modo da sostenere azioni e non reazioni. L’educazione alla tutela del mare può passare da libri, call online ed eventi in presenza, come ha spiegato Alverà, che ogni mese incontra 5-10 scuole online per parlare di idrogeno e transizione. Scuole non significa solo studenti ma anche genitori ed insegnanti, in un’ottica di formazione inclusiva promossa, ad esempio, dal progetto Webecome di Intesa Sanpaolo in partnership con One Ocean Foundation.

Andando avanti nella formazione, i giovani possono sviluppare competenze pratiche e digitali e soft skills legate alla Blue Economy. Queste permetteranno loro di restare competitivi sul mercato del lavoro, secondo Elisa Zambito Marsala, head of social development and university relations di Intesa Sanpaolo, perché in un’ottica di economia circolare, la Blue Economy creerà numerose opportunità di lavoro per le regioni costiere e marine, con un impatto significativo per l’occupabilità in Italia.

Partnership e visione olistica

Un tassello fondamentale per far sì che le azioni fini alla protezione degli oceani e alla sostenibilità ambientale abbiano massimo impatto è quello delle partnership, che permettono di ottenere capitali e competenze, sottolinea Francesco Perrini, Associate Dean for Sustainability di SDA Bocconi School of Management, regista dell’incontro.

“La parola chiave è comunità: Rockwool, come construction industry, non conosceva le opportunità legate al sistema marino, ma visto che la sostenibilità è da sempre nel nostro DNA, ci siamo affidati a partner esperti dell’oceano” ha spiegato Mirella Vitale, senior vice president, group marketing, communications and public affairs di Rockwool. La società al momento ha all’attivo diversi progetti per la tutela dei mari, tra cui una serie di iniziative nella città di Taranto, e Mirella Vitale ha affermato il valore di scelte strategiche di innovazione e sostenibilità nonostante il payback non sia immediato. Una scelta che il gruppo ha messo nella governace. “Abbiamo stabilito che il 10% degli investimenti in innovazione è a fondo perduto. Se c’è del business, ne cogliamo le opportunità, se non c’è, facciamo del bene” ha concluso.

Le partnership si collocano nell’idea di visione olisitica di sistema, in quanto solo un’azione a 360* può permettere una transizione green solida.  Per esempio, Tronchetti Provera ha condiviso il sistema di Pirelli, che prevede incentivi per il management legati a obiettivi ESG, target di riduzione dei consumi d’acqua, un sistema di filtri e riciclo per tutta l’acqua utilizzata negli impianti, nuovi design per i pneumatici con meno materiali e maggior performance, e un obiettivo del 35% di materie prime riciclabili al 2035, fino ai propositi di net zero per il 2050.