Intervista

Aquaro (ERM), come calcolare le performance di sostenibilità: pro e contro dei rating ESG

Quali sono gli elementi principali per ottenere una buona performance di sostenibilità? Innanzitutto la consapevolezza di quanto la propria operatività sia dipendente dalle risorse naturali e dalle persone che circondano l’azienda insieme alla capacità di gestire tali risorse con ottica di medio e lungo termine: ne è convinta ERM, la più grande società di consulenza al mondo focalizzata esclusivamente sulla sostenibilità, con oltre 50 anni di esperienza. 

Esistono poi numerosi rating e strumenti globali per rendere misurabile e tracciare l’impegno alla sostenibilità di un’azienda ma si tratta solo del punto di partenza per questo genere di analisi. E questo è tanto più vero in Italia, puntualizza Giovanni Aquaro, Partner & ESG Lead di ERM, il cui tessuto imprenditoriale caratterizzato da piccole e medie imprese mal si presta ad analisi di sostenibilità solo in base ad indicatori standard globali che non sono in grado di cogliere la specificità dei settori in cui operano le realtà imprenditoriali oggetto di analisi. 

In questa intervista, a margine della Sustainability Week organizzata da Borsa Italiana, Aquaro spiega a ESGnews limiti e opportunità dei rating in area ESG per mettere a punto strategie di investimento consapevoli e responsabili, sottolineando come la resilienza e la creazione di valore condiviso siano alla base di buone performance finanziarie nel medio e lungo termine. E quanto sia necessaria un’educazione alla sostenibilità che affianchi l’educazione finanziaria.

Cosa si intende per performance di sostenibilità?

Una delle migliori definizioni del concetto di “sostenibilità” è stata data dall’International Sustainability Standards Board (o “ISSB”), un comitato di esperti di sostenibilità creato con l’obiettivo di stabilire degli standard internazionali di rendicontazione volontaria, integrando gli standard di rendicontazione già in circolazione, quali il TCFD, il SASB e il GRI.

Secondo l’ISSB la sostenibilità è “ la capacità di un’azienda di mantenere le risorse e le relazioni e di gestire le dipendenze e gli impatti all’interno dell’intero ecosistema aziendale nel breve, medio e lungo periodo”, descrivendo quindi la sostenibilità come l’abilità di un’azienda di avere accesso durante il suo ciclo di vita alle risorse e alle relazioni necessarie (che siano finanziarie, umane o naturali), garantendone l’adeguata conservazione, lo sviluppo e la rigenerazione per raggiungere la mission aziendale.

Valutare la performance di sostenibilità vuol dire dunque andare a vedere quali sono i presidi messi in atto dalle aziende su quei fattori che possono in qualche modo incidere sul corretto approvvigionamento delle risorse e relazioni necessarie nel medio o lungo periodo.

Il concetto di performance di sostenibilità include la misura dell’impatto di un’azienda sull’ambiente e verso le persone?

Assolutamente sì. Ambiente e persone sono due componenti chiave dell’ecosistema aziendale. Molte aziende, soprattutto piccole e medie imprese, non sono consapevoli di quanto la loro operatività sia dipendente dalle risorse naturali e dal contesto sociale che le circonda. Aspetti che rischiano tuttavia di essere seriamente compromessi, come evidenziano gli studi condotti negli ultimi anni dall’Intergovernmental Panel on Climate Change.

Un’azienda che ha una buona performance di sostenibilità, è un’azienda che ha compreso l’importanza di tali aspetti per il proprio business e si è attrezzata per preservare qualità e accessibilità delle risorse e delle relazioni di cui sopra, gettando così le basi per una buona performance finanziaria nel medio lungo termine, fondata su elementi di resilienza e valore condiviso.

Esiste un concetto olistico per valutare il grado di sostenibilità di una impresa che tenga conto delle esigenze dei diversi stakeholder?

Sebbene possiamo affidarci a standard internazionali settoriali per capire quali siano le “risorse e le relazioni” da cui un’impresa dipende maggiormente, la valutazione del grado di sostenibilità è un concetto che va necessariamente scomposto e compreso nelle sue componenti per non cadere in un eccesso di semplificazione. Possiamo facilmente immaginare come un’azienda possa avere performance ambientali molto buone, magari in relazione a un aspetto come le emissioni di carbonio, ma quanto ciò possa essere tuttavia scorrelato dalla sua performance sociale.  Soprattutto in Italia, dove la maggioranza delle imprese sono medio-piccole, gli standard internazionali possono riscontrare difficoltà nel catturare le peculiarità delle singole imprese e non cogliere in maniera netta i temi materiali di uno specifico business. Per questo suggeriamo sempre ai nostri clienti di integrare un approccio entity-specific, ad uno sector-specific, sebbene quest’ultimo sia un primo step fondamentale da seguire per facilitare il processo di comprensione delle tematiche di sostenibilità materiali.

I rating possono essere un valido strumento per comprendere il grado di sostenibilità di un’azienda?

I rating sono un valido strumento di sintesi che tuttavia racchiude una serie di aspetti molto eterogenei. Come tutte le proxy i rating hanno dei limiti che gli investitori stanno imparando a comprendere e gestire all’interno di un processo decisionale internalizzato e che gli permetta di usare questi strumenti in maniera strategica. Come evidenziato dal report “Rate the Raters” prodotto dal Sustainability Institute di ERM, asset manager che investono sul mercato quotato si affidano ai rating provider principalmente per raccogliere informazioni ambientali, sociali e di governance sulle società che vogliono valutare. Tali informazioni vengono poi integrate all’interno di un modello proprietario, che va a definire l’effettivo “grado di sostenibilità” percepito dell’impresa.

In sostanza, per quanto il lavoro svolto dai rating provider sia un input fondamentale per fare una valutazione olistica sul grado di sostenibilità di un’impresa, l’output dell’analisi non può prescindere da un processo di elaborazione dei dati raccolti e di formulazione di un giudizio finale che deve essere rispondente alla specifica strategia dell’investitore.

Questo tema è infatti stato largamente discusso sia all’interno dei panel della prima giornata della Sustainability Week di Borsa Italiana, sia nei webinar relativi a prodotti della seconda giornata, sia nel side event “ESG at a crossroads” organizzato da ERM.

Quello che sta emergendo è di fatto la necessità di utilizzare più rating, comprenderne i meccanismi e destrutturare l’informazione in modo da potere usare questi elementi come base per scelte strategiche consapevoli. 

Le società di rating utilizzano criteri differenti, giungendo spesso a conclusioni divergenti su una medesima società. Come orientarsi in questo settore?

Dovremmo considerare i rating come un punto di partenza e non come un punto di arrivo. Facendo questo, la diversità sul mercato ci consentirà di farci un’idea più sfaccettata e realistica su una specifica azienda. La nostra valutazione sarà quindi una media, idealmente ragionata e ponderata rispetto alla nostra strategia di investimento, che minimizzerà il nostro rischio di investimento e ci permetterà di essere coerenti con le eventuali caratteristiche ambientali o sociali promosse. La Commissione Europea sta lavorando in tal senso; il 13 giugno 2023 è stata pubblicata una proposta di regolamento riguardo la trasparenza, richiedendo ai rating providers di fornire al mercato informazioni sulla fonte dei dati, i criteri di analisi e le metodologie di calcolo. Tale regolamento potrebbe sicuramente aiutare l’operatore finanziario a capire cosa si cela dietro alle diverse valutazioni relative ad uno stesso asset, potendo inoltre decidere quanto pesare il contributo dato da ognuna alla valutazione finale dell’azienda.

Per un’azienda che vuole iniziare ad affrontare il processo di rating come consiglia di procedere e a suo giudizio da quale provider dovrebbe partire?

La cosa migliore che un’azienda può fare è partire da un’analisi di materialità, così da avere una prima impressione su quali sono le “risorse e relazioni” su cui il proprio piano di sostenibilità debba incentrarsi. Per quanto le valutazioni dei singoli provider possano divergere, concentrarsi sulle tematiche materiali permette sicuramente di partire con il piede giusto. Detto questo quindi, non c’è un provider unico da cui partire ed è necessario approcciarsi a più rating, integrarne le risultanze e definire piani di miglioramento graduali e concreti. Un altro elemento che può essere utile nella definizione delle priorità è guardare ai sistemi di valutazione delle performance ESG più comuni nella propria catena del valore.

E dal punto di vista degli investitori, come comprendere cosa significa uno specifico giudizio?

Questo aspetto è in effetti al momento uno degli elementi maggiormente critici e dibattuti. La direttiva sui rating ESG sicuramente consentirà all’investitore retail ma anche all’operatore finanziario di capire meglio il mondo dei rating. È indubbio però che una maggiore trasparenza da parte dei rating provider non è abbastanza se non si hanno basi solide su concetti ambientali, sociali e di governance. Si tratta quindi di integrare nel vasto concetto di “educazione finanziaria” anche un’“educazione alla sostenibilità”, per assicurare che anche l’investitore retail possa comprendere appieno l’informativa sulla performance di sostenibilità e sul rischio. Inoltre, in questo processo risulta chiave anche il ruolo degli intermediari che devono trasferire le informazioni in modo trasparente, evitando distorsioni dovute ad un utilizzo superficiale o a una non piena comprensione dei meccanismi sottostanti i rating ESG.

Ma alla fine i vari giudizi si basano su dati solidi?

La raccolta di dati utili alla valutazione di sostenibilità ha ancora molta strada da percorrere. È una tematica nuova e, nonostante alcune informazioni siano generalmente raccolte da diverse aree operative perfino dalle piccole-medie imprese, raramente sono integrate nelle discussioni strategiche dei comitati direzionali. L’informazione raccolta non viene sottoposta a revisione, spesso viene considerata di poco rilevante e non le si dedica la medesima attenzione che si riserva ai parametri finanziari, che confluiscono poi nel bilancio di esercizio.

Con la nuova Corporate Sustainability Reporting Directive, l’obiettivo del regolatore è educare le imprese al concetto di “Bilancio di Sostenibilità”, andando a valorizzare di più quelle informazioni che in precedenza erano considerate di importanza secondaria e, di conseguenza, puntare ad un miglioramento della qualità del dato.

Sicuramente il percorso per raggiungere il medesimo livello di qualità del dato finanziario è ancora lungo, ma confido nel fatto che le tecnologie attualmente a disposizione possano consentire di accelerare esponenzialmente questo processo.