Le donne italiane percepiscono pensioni inferiori del 36% circa rispetto agli uomini: un divario in continuo aumento, riconducibile soprattutto al gap retributivo di genere e alla discontinuità che caratterizza la carriera delle donne. La retribuzione media annua degli uomini, infatti, è pari a 26.227 euro contro i 18.305 euro delle donne, con una differenza di quasi 8.000 euro all’anno che si traduce inevitabilmente in un assegno più basso per le future pensionate. Secondo quanto riportato dall’indagine svolta da Moneyfarm, il tema è strettamente legato al costo “sommerso” della cura di figli e familiari: le donne italiane si fanno carico della quasi totalità (74%) del tempo dedicato all’assistenza e alla cura della persona non retribuite, che se venisse retribuito con i valori del salario minimo una lavoratrice potrebbe avere un guadagno pari a circa 7.000 euro in più.
“Il lavoro di cura a titolo gratuito ha un impatto diretto sul reddito delle donne, dal momento che limita le ore di lavoro retribuito e la possibilità di accumulare risorse per il futuro: il divario di ore lavorate si traduce infatti in minori guadagni e minori contributi previdenziali versati rispetto agli uomini, quindi in una pensione futura più bassa. La maternità, le pause lavorative per crescere i figli o il caregiving possono influire significativamente sulla costruzione di un patrimonio solido e su una pensione adeguata” ha commentato Patrizia Franchi, Investment Consultant Manager di Moneyfarm. “Queste variabili rendono essenziale un approccio personalizzato alla pianificazione finanziaria e previdenziale, per assicurarsi che le donne possano proteggere e far crescere il loro capitale nel tempo, nonostante le difficoltà e gli imprevisti che potrebbero emergere durante il cammino. In un simile contesto, diventa fondamentale mettere da parte risorse in proporzione alle proprie possibilità, per migliorare la propria situazione finanziaria e costruirsi un domani più sicuro e indipendente”.
I risultati
Secondo l’ultimo rapporto annuale dell’INPS di settembre, nel 2023 la pensione media è stata pari a 1.750 euro lordi per gli uomini e 1.069 euro lordi per le donne, ossia, rispettivamente, circa 1.430 e 947 euro netti. Le donne italiane percepiscono dunque pensioni inferiori del 36% circa rispetto agli uomini, un divario in continuo aumento, che non è riconducibile tanto al tasso di sostituzione netto, cioè al rapporto tra la retribuzione pensionistica netta e l’ultima retribuzione netta da lavoro dipendente o autonomo, sostanzialmente sovrapponibile tra uomini e donne, quanto al gap retributivo di genere e alla discontinuità lavorativa, che penalizzano pesantemente le lavoratrici italiane.
Proprio a causa del carico di lavoro legato alla cura della famiglia, il 21% delle donne italiane in età lavorativa dichiara di non cercare attivamente un impiego o di non essere disponibile a lavorare. Nel complesso, le donne tra i 30 e i 59 anni hanno un tasso di occupazione medio del 63% circa, contro l’83% degli uomini, ma per le madri di bambini di età inferiore ai sei anni il tasso di occupazione cala al 53,3%. Le madri con tre o più bambini piccoli lavorano in media tre ore in meno rispetto alle donne senza figli o con figli più grandi e addirittura nove ore in meno rispetto agli uomini senza figli. Per quanto l’Italia resti tra i Paesi con la più elevata proporzione di occupati rispetto alla popolazione in età lavorativa, dunque, le disuguaglianze di genere nel mondo del lavoro restano evidenti, anche rispetto a Paesi europei come Francia e Germania, dove la percentuale di lavoro non retribuito di assistenza e cura svolto dalle donne è inferiore di oltre 10 punti percentuali (Francia 61%, Germania 62%).
Sul fronte della previdenza complementare la situazione non è migliore: se degli oltre 24,2 milioni di cittadini in età lavorativa, nati tra il 1965 e il 1994, quelli che hanno un fondo pensione sono solamente il 26%, tra le giovani donne di età compresa tra i 30 e i 39 anni il tasso di adesione alla previdenza integrativa crolla al 17%. Il motivo è da ricondurre non soltanto al fatto che le giovani lavoratrici aderiscano meno degli uomini ai fondi pensione (27% vs 33%), ma soprattutto, ancora una volta, al fatto che vi siano ben 17 punti di tasso di occupazione a separarle dai loro coetanei uomini.