Le modifiche alla MiFID II impongono l’inclusione delle preferenze in materia di sostenibilità nel processo di consulenza, ponendo una nuova serie di sfide ai professionisti e portando un enorme afflusso di dati aggiuntivi sul mercato. Per aiutare il settore a rispondere a questi cambiamenti e agli obblighi di rendicontazione della sostenibilità previsti dal Piano d’azione dell’UE, è stato sviluppato un nuovo modello di settore chiamato European ESG Template (EET).
Morningstar, leader nella ricerca indipendente sugli investimenti, ha pubblicato recentemente un report dove analizza le sfide che i consulenti dovranno affrontare per trovare i prodotti adatti ai clienti, a causa della disomogeneità dei dati e della mancanza di comparabilità diretta tra i prodotti, dovuta ai diversi approcci adottati dai gestori patrimoniali per calcolare l’esposizione agli investimenti sostenibili e all’allineamento delle tassonomie.
Cos’è l’EET?
L’European ESG Template è il modello di scambio dati FinDatEx per i dati ESG, progettato dai rappresentanti del settore per “facilitare il necessario scambio di dati tra produttore e distributore di prodotti al fine di soddisfare i requisiti normativi relativi agli investimenti ESG contenuti nella SFDR, nelle disposizioni pertinenti del regolamento sulla tassonomia e negli atti delegati pertinenti che integrano la MiFID II e la direttiva sulla distribuzione assicurativa”.
Dal 1° giugno, i gestori patrimoniali che distribuiscono fondi nell’UE hanno iniziato a rilasciare la prima versione dell’EET (noto come EET “light”) in vista dell’introduzione della MiFID II in agosto. Il modello completo comprende quasi 580 dati, che Morningstar raccoglierà nel tempo da tutti i gestori patrimoniali che compilano un EET.
La missione di FinDatEx è, in sostanza, quella di facilitare il processo di scambio di dati tra le parti interessate al funzionamento della legislazione europea sui mercati finanziari, attraverso l’uso di modelli tecnici standardizzati.
L’obiettivo dell’EET è quello di fornire una panoramica dei requisiti normativi degli standard tecnici normativi (RTS) previsti dal regolamento sulla divulgazione della finanza sostenibile (SFDR). Questo semplificherà il processo di scambio dei dati ESG per i partecipanti ai mercati finanziari e faciliterà la conformità agli atti delegati che completano la MiFID II (Markets in Financial Instruments Directive) e la IDD (Insurance Distribution Directive).
Indice
Il Report di Morningstar
Nel report, Morningstar rileva di aver raccolto dati EET al 18 luglio su 70.580 classi di azioni, pari al 43% di tutte le classi di azioni, che rientrano nel campo di applicazione della MiFID II. Questi includono 10.316 fondi offerti da 207 gestori patrimoniali e comprendono 4.297 fondi classificati come articolo 8 e 556 come articolo 9, che rappresentano circa il 46% del numero totale di fondi articolo 8 e articolo 9 presenti nel database Morningstar. Il grafico seguente mostra la ripartizione dei fondi intervistati in base al tipo di prodotto SFDR dichiarato.
Principali risultati
Il primo dato che emerge dalla ricerca di Morningstar è che i gestori patrimoniali hanno dato priorità ai prodotti considerati come articolo 8 e articolo 9 per la prima fase della rendicontazione EET. Ma i dati sono frammentari. Meno della metà dei fondi ex articolo 8 e ex articolo 9 intervistati ha dichiarato di aver preso in considerazione i PAI e l’esposizione agli investimenti sostenibili secondo la definizione dell’SFDR. Poco più di un quarto ha comunicato l’allineamento alla tassonomia, ma tra questi il 90% ha fornito valori pari allo 0%, mentre solo il 2% ha individuato una potenziale esposizione superiore al 10%.
In secondo luogo, come avevano previsto gli analisti di Morningstar, i fondi ex articolo 9 prevedono di detenere più investimenti sostenibili rispetto ai fondi ex articolo 8. Oltre la metà dei fondi dell’articolo 9 ha un obiettivo di allocazione superiore al 70%, ma solo il 2,3% ha un obiettivo superiore al 90% e quasi il 40% ha un obiettivo inferiore al 50%. Inoltre, circa due terzi dei fondi ex articolo 8 puntano a un’esposizione minima agli investimenti sostenibili compresa tra lo 0% e il 10%, mentre il 10% prevede di superare il 40%.
Un altro aspetto cruciale che emerge dall’analisi di Morningstar è che diverse interpretazioni dell’SFDR e della tassonomia UE hanno portato i gestori patrimoniali ad adottare approcci differenti per il calcolo dell’esposizione agli investimenti sostenibili e dell’allineamento alla tassonomia, rendendo impossibile un confronto diretto tra i prodotti.
Pertanto, secondo gli analisti di Morningstar, è molto probabile che a causa della disomogeneità dei dati e della mancanza di comparabilità diretta tra i prodotti, i consulenti finanziari avranno difficoltà ad adempiere ai loro nuovi obblighi.
“Senza informazioni corrette è difficile costruire portafogli, per cui il problema della carenza di dati e della loro disomogeneità è cruciale”, afferma Jono Broome, Manager EU Action Plan Solutions Morningstar Sustainalytics.
Diversi approcci al calcolo dell’esposizione agli investimenti sostenibili
Calcolare la percentuale minima di investimenti sostenibili di un fondo secondo la definizione dell’SFDR o della tassonomia UE non è facile. Come sottolineano gli esperti di Morningstar, oltre al ben noto enigma della disponibilità di dati sugli emittenti, c’è un problema di definizione.
L’articolo 2(17) della SFDR, infatti, definisce il termine investimento sostenibile come:
- Un investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo ambientale, misurato, per esempio, da indicatori chiave di efficienza delle risorse, sull’uso delle energie rinnovabili, delle materie prime, dell’acqua e del suolo, sulla produzione di rifiuti e sulle emissioni di gas a effetto serra, o sul suo impatto sulla biodiversità e sull’economia circolare;
- O un investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo sociale, in particolare rispetto alle disuguaglianze o alla coesione sociale;
Le condizioni poste dall’SFDR è che tali investimenti non danneggino in modo significativo nessuno di questi obiettivi (Do Not Significant Harm, DNSH), e che le società partecipate seguano pratiche di buon governo, in particolare per quanto riguarda le strutture di gestione, i rapporti con i dipendenti, la remunerazione del personale e la conformità fiscale.
“Il problema di questa definizione di investimento sostenibile è che lascia troppo spazio all’interpretazione, soprattutto quando si tratta della condizione “non danneggiare in modo significativo” (DNSH)”, spiega Hortense Bioy, responsabile della ricerca sulle strategie passive e sostenibili in Europa per Morningstar
Ai fini del test DNHS, infatti, è necessario prendere in considerazione un elenco di indicatori PAI (Principal adverse sustainability impact), eppure le autorità di regolamentazione non hanno specificato alcuna soglia, per cui la determinazione di questi indicatori è stata lasciata alla discrezione dei gestori patrimoniali.
Un altro aspetto lasciato alla discrezione dei gestori che viene sottolineato dagli analisti di Morningstar riguarda il modo in cui le società sostenibili vengono conteggiate nei portafogli. Mentre un’azienda potrebbe contare la totalità di una società sostenibile (oltre un certo livello di ricavi derivanti da attività sostenibili), un’altra potrebbe contare solo la percentuale di ricavi attribuiti a tali attività. Questi due approcci, definiti in generale “revenue-weighted” e “pass- fail”, produrrebbero risultati opposti: percentuali elevate di investimenti sostenibili nel primo caso e livelli molto più bassi nel secondo.
Le diverse interpretazioni della normativa hanno portato i gestori patrimoniali ad adottare approcci differenti al calcolo dell’esposizione agli investimenti sostenibili, rendendo impossibile un confronto diretto tra prodotti concorrenti. Prodotti con mandati e portafogli simili riporteranno esposizioni divergenti agli investimenti sostenibili a seconda della metodologia scelta dai loro fornitori.
Le richieste di chiarimento delle ESA alla Commissione UE
Sebbene la recente tassonomia dell’UE e la SFDR siano state concepite per chiarire la definizione di investimento sostenibile e ridurre le opportunità di greenwashing, siamo agli inizi e c’è ancora molto lavoro da fare, avvertono gli esperti di Morningstar.
Per questo, le autorità di vigilanza europee (EBA, EIOPA ed ESMA – ESA) hanno recentemente posto delle domande di chiarimenti alla Commissione europea su alcuni importanti aspetti dell’SFDR. In particolare, le principali domande rivolte alla Commissione dalle autorità hanno toccato i seguenti punti:
- Un investimento in una società che genera solo una parte dei suoi ricavi da attività sostenibili può essere considerato un “investimento sostenibile” nel suo complesso?
- Un’attività economica può contribuire a un obiettivo di E/S semplicemente perché viene svolta in modo sostenibile?
- Un investimento in un’azienda che ha un piano di transizione può essere considerato “sostenibile”?
- I prodotti che tracciano i PAB (Paris-aligned Benchmark) (PAB) o i CTB (Climate Transition Benchmark) possono essere classificati come articolo 9?
- Un prodotto finanziario con un obiettivo di riduzione delle emissioni di carbonio può essere classificato come articolo 8?
- “Considerare i principali impatti negativi” significa semplicemente divulgare o intraprendere azioni per affrontare gli impatti?
L’auspicio, sottolineano gli esperti di Morningstar, è che arrivino presto delle risposte chiare dalla Commissione europea.
Il sostegno di Morningstar
In questo momento così delicato in cui la regolamentazione è in continuo divenire, ma allo stesso tempo si fa sempre più stringente, Morningstar ha previsto di contribuire a sostenere i produttori e i distributori di fondi sostenibili nel ricorso all’EET Template o a futuri strumenti che verranno proposti nel contesto europeo.