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Regolamentazione UE

ESA: contro il greenwashing serve definire cos’è un investimento sostenibile

Per mitigare i rischi di greenwashing è importante partire dalla base, cioè chiarire cosa si intende per investimento sostenibile. E’ questa la prima raccomandazione, definita “cruciale” da parte delle autorità di vigilanza europee (EBA, EIOPA e ESMA – ESA), in tre rispettivi rapporti indirizzati alla Commissione europea. Nelle rispettive raccomandazioni, pubblicate nei giorni scorsi, le tre autorità di vigilanza propongono una visione comune di alto livello del greenwashing applicabile agli operatori di mercato nei rispettivi settori di competenza: banche, assicurazioni, pensioni e mercati finanziari.

La risposta delle ESA fa seguito a uno scambio con la Commissione, in aprile, partito da una domanda presentata dalle stesse tre autorità di vigilanza su come debbano essere intesi gli investimenti sostenibili nel contesto della legislazione UE contro il greenwashing, nell’ambito del regolamento sulla divulgazione della finanza sostenibile (SFDR). La Commissione ha affermato che spetta ai gestori degli investimenti stabilire la propria definizione di investimento sostenibile ai sensi dell’SFDR, a condizione che gli investimenti soddisfino i tre criteri di contribuire a un obiettivo ambientale o sociale, non arrecare danni significativi agli obiettivi (DNHS – Do Not Significant Harm) e rispettare le pratiche di buona governance.

Tuttavia, nei documenti le ESA hanno sottolineato che la definizione di investimento sostenibile ai sensi dell’SFDR è caratterizzata da “un elevato livello di flessibilità e dall’assenza di metriche e soglie condivise e predefinite per il contributo di un investimento a un obiettivo sostenibile“, in contrasto con la definizione di attività sostenibili dal punto di vista ambientale contenuta nella tassonomia europea, “che utilizza criteri tecnici di selezione chiari e basati sulla scienza”.

Secondo le ESA, quindi, potrebbe essere “utile” un ulteriore chiarimento sulle migliori pratiche per definire il contributo minimo a un obiettivo sostenibile nell’ambito dell’SFDR, “nonché per quanto riguarda la selezione di indicatori di sostenibilità adeguati per misurarlo”. Per raggiungere questo obiettivo, le autorità si sono mostrate disponibili a fornire il chiarimento tramite esempi concreti di ciò che considerano migliori pratiche, “o pratiche irragionevoli/subottimali sugli indicatori di sostenibilità in generale e sulle misure di impatto in particolare”. In alternativa, le ESA suggeriscono di modificare l’SFDR, “in particolare per quanto riguarda la definizione di contributo a un obiettivo sostenibile e l’inclusione di un riferimento a misure adeguate per tale contributo”.

Greenwashing, la definizione

Nell'”interpretazione comune di alto livello” di ciò che costituisce il greenwashing, le ESA definiscono il fenomeno come “una pratica in cui le affermazioni, le dichiarazioni, le azioni o le comunicazioni relative alla sostenibilità non riflettono in modo chiaro ed equo il profilo di sostenibilità sottostante di un’entità, di un prodotto finanziario o di un servizio finanziario. Tale definizione si basa su riferimenti contenuti in altri regolamenti ed è concepita per fornire “un punto di riferimento condiviso” per le autorità di regolamentazione e gli operatori di mercato.

Il rapporto delle autorità di vigilanza europee risponde a una richiesta della Commissione in merito a un feedback sui rischi e sui casi di greenwashing nel settore finanziario europeo e sulle misure adottate in materia. Le risposte ufficiali alla consultazione dovrebbero essere pubblicate nelle prossime settimane, ma gli attori finanziari europei hanno già reso note le loro opinioni denunciando la presenza di definizioni troppo ampie e vaghe di greenwashing.

Affermazioni fuorvianti

Le autorità di vigilanza europee sottolineano nel documento che le affermazioni ingannevoli legate alla sostenibilità possono verificarsi e diffondersi sia intenzionalmente sia involontariamente e in relazione a entità e prodotti che rientrano o meno nell’ambito di applicazione del quadro normativo dell’UE.

Nello specifico, l’EBA nel suo rapporto alla Commissione ha rivelato che un’analisi quantitativa ha mostrato un chiaro aumento del numero totale di casi di greenwashing in tutti i settori, anche per le banche dell’UE. I casi di presunto greenwashing nel settore finanziario dell’UE (comprese le banche) sono aumentati significativamente negli ultimi anni, con circa 206 casi segnalati nel 2022 contro i 40 del 2018. Inoltre, l’EBA sottolinea che il settore finanziario dell’UE rappresenta una quota maggiore del totale dei casi di presunto greenwashing segnalati dagli stakeholder sulle aziende dell’UE. Nel 2022, il settore finanziario europeo rappresentava il 23% (compreso il 9% per le banche) del totale dei casi di presunto greenwashing che coinvolgevano un’azienda europea.

Numero di presunti episodi di greenwashing nel settore finanziario e bancario dell’UE

Fonte: RepRisk ESG Data Science.

L’EIOPA, dal canto suo, ha sollevato il problema della competenza dei regolatori nazionali, osservando che solo 10 ANC (Autorità Nazionali Competenti) ritengono di avere risorse e competenze sufficienti per affrontare il greenwashing, mentre 17 ritengono di non averne.

Le dichiarazioni di sostenibilità relative all’engagement sono una delle aree che l’ESMA ha ritenuto particolarmente esposte al rischio di greenwashing. Un tema specifico di engagement esposto al rischio di greenwashing individuato dall’ESMA è l'”attività di lobbying generale” svolta dagli operatori di mercato: il problema è l’incoerenza tra le attività di lobbying effettivamente svolte dall’operatore e le altre dichiarazioni di sostenibilità promosse a livello di entità e/o di prodotto (ad esempio, l’attività di lobbying contro le politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici mentre si promuovono i propri impegni net zero).

Prossimi passi

Le ESA pubblicheranno i rapporti finali sul greenwashing nel maggio 2024 e valuteranno la possibilità di formulare raccomandazioni finali, anche su eventuali modifiche al quadro normativo dell’UE.