Sustainable Finance Disclosure Regulation

Clarity AI: quanto sono sostenibili i fondi Art. 9 SFDR?

I fondi più “green” d’Europa potrebbero non essere così sostenibili come suggerirebbe la loro classificazione. A sostenerlo è Clarity AI, una piattaforma tecnologica per la sostenibilità che annovera tra i suoi clienti BlackRock, Aviva e Deloitte, che nello studio “SFDR: just how sustainable are article 9 funds?” indica che quasi il 20% dei cosiddetti fondi Articolo 9 ha più del 10% dei propri investimenti in società “con violazioni” dei principi del Global Compact delle Nazioni Unite o delle linee guida dell’OCSE per le imprese multinazionali. 

Il regolamento ESG europeo, la Sustainable Finance Disclosure Regulation, avrebbe dovuto diventare il punto di riferimento globale per gli investimenti verdi quando è entrato in vigore nel marzo dello scorso anno. Da allora, però, sono emerse diverse lacune al punto da suscitare alcune critiche, riposta l’analisi, anche da parte di alcuni regolatori europei. 

“La classificazione dei fondi secondo le linee guida SFDR è sempre più utilizzata dai fornitori di fondi come abbreviazione per comunicare che un prodotto è sostenibile“, scrivono gli autori dello studio di Clarity AI. “Tuttavia, la nostra analisi mostra che alcuni dei fondi ex articolo 9 attualmente sul mercato potrebbero non essere conformi ai criteri di assenza di danni significativi definiti dal regolamento”.

L’UE ha cercato di sostenere la credibilità dei prodotti dell’articolo 9 dicendo ai gestori patrimoniali che possono utilizzare la denominazione solo se i loro portafogli sono sostenibili al 100%, con alcune eccezioni per la copertura e la liquidità. Ma una recente analisi di Morningstar ha rilevato che meno del 5% dei fondi ex articolo 9 soddisfa effettivamente tale requisito. 

“La ricerca di Clarity AI ha dimostrato che molti fondi ex articolo 9 non soddisfano i requisiti normativi”, per quanto riguarda lo standard “do-no-significant-harm” (DNSH), si legge nel rapporto.

Lo studio ha rilevato che i fondi dell’Articolo 9 analizzati “investono in 166 diverse società che violano i principi UNGC o OCSE”. Queste violazioni includono “condanne per corruzione e concussione“. Tali violazioni “potrebbero sfuggire” all’attenzione dei gestori di fondi, ma sono rilevate dai modelli di Clarity AI.

Clarity AI ha dichiarato di aver collaborato con consulenti, professionisti del settore e della regolamentazione per garantire che la sua metodologia fosse il più possibile in linea con le intenzioni della normativa.

Il contesto normativo

Rischio di greenwashing

Come riporta Clarity AI nel documento, un’area evidenziata dalla Commissione europea come potenziale spazio per il greenwashing è la “commercializzazione” di prodotti finanziari nell’ambito dell’SFDR. 

Per arginare questo rischio, le autorità di vigilanza europee (ESA – ESMA, EIOPA, EMA) hanno deciso di delineare dei Regulatory Technical Standard (RTS) – standard tecnici di regolamentazione dell’SFDR, che si applicheranno a partire dal 1° gennaio 2023. In particolare, gli RTS si rivolgono agli investitori finali e mirano a fornire loro informazioni comparabili per effettuare scelte di investimento informate in attività economiche ecosostenibili attraverso un codice unico per le informative sulla sostenibilità ai sensi dell’SFDR e del regolamento sulla tassonomia.

Criteri di misurazione della sostenibilità dei fondi 

Il regolamento SFDR prevede alcuni criteri volti a misurare il contributo di un investimento considerato sostenibile. Tra questi, vi sono i Principal Adverse Impact (PAI), ovvero i principali indicatori di impatto negativo, che aiutano a capire ai gestori quali sono gli impatti negativi sulla sostenibilità dei fondi. 

Chiaramente, anche l’allineamento alla tassonomia dell’UE è considerato un importante indicatore del profilo di sostenibilità di un fondo. Unitamente a questo c’è anche la considerazione dei criteri di esclusione, che i gestori da tempo applicano per selezionare le società in cui investire, che sono strettamente connessi al principio della buona governance previsto dall’SFDR. 

Vi è poi il principio “Do Not Significantly Harm” (DNHS), che richiede l’utilizzo degli stessi indicatori riferiti ai PAI, e prevede che gli investimenti non arrechino nessun danno significativo all’ambiente. 

A questi, Clarity AI aggiunge anche la valutazione dei fondi in base al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) delle Nazioni Unite (non menzionati nel regolamento, ma importanti per una gamma di possibili strategie che includono risultati sociali come salute e istruzione).

La metodologia di Clarity AI 

Gli indicatori PAI sono informazioni obbligatorie per i gestori patrimoniali con più di 500 dipendenti, che sono tenuti a fornire informazioni su 18 PAI obbligatori e sceglierne almeno due da una serie di 46 PAI aggiuntivi.

Questi indicatori sono una miscela di misure quantitative (ad esempio, le emissioni di gas serra), esposizioni (ad esempio, l’esposizione a società attive nel settore dei combustibili fossili) e violazioni di codici (ad esempio dei principi dell’UN Global Compact e dell’OCSE).

Clarity AI ha esaminato attentamente le dichiarazioni delle autorità di regolamentazione europee su come applicare il principio DNSH. Inoltre, ha lavorato insieme a consulenti, regolatori e professionisti del settore per garantire che la sua metodologia fosse il più possibile in linea con le intenzioni del regolamento. 

Secondo l’approccio di Clarity AI, i PAI obbligatori, si prefiggono diversi obiettivi, tra cui assicurare che le società partecipate non abbiano alcuna esposizione verso società attive nel settore dei combustibili fossili, nessuna esposizione ad armi controverse, nessuna violazione dei principi UNGC e delle Linee guida dell’OCSE per le imprese multinazionali e nessuna attività che influisca negativamente su aree sensibili alla biodiversità. 

Nello sviluppare il proprio approccio, Clarity AI ha prestato fede ai chiarimenti delle ESA di giugno 2022, che indicavano chiaramente che l’utilizzo degli indicatori PAI per i DNSH è “… obbligatorio per dimostrare che un investimento si qualifica come sostenibile”.

I fondi Articolo 9 sono realmente sostenibili? 

Nonostante la mancanza di una soglia rigida all’interno del regolamento, è implicito che un fondo 9 debba effettuare solo investimenti sostenibili, con l’eccezione della copertura e della gestione della liquidità. 

Per gli investimenti non sostenibili dei fondi ex Articolo 9, sarebbe ragionevole aspettarsi che:

  • L’entità degli investimenti non sostenibili sia molto esigua rispetto agli investimenti sostenibili;
  • Il fondo sia in grado di spiegare lo scopo di ogni investimento non sostenibile (ad esempio, facendo riferimento al ruolo ruolo come strumento di copertura o di gestione della liquidità); 
  • Che, pur non contribuendo a un obiettivo ambientale o sociale, anche gli investimenti non sostenibili rispettino comunque i principi DNSH.

Clarity AI ha valutato 15.000 fondi con informazioni sulla loro classificazione SFDR, concentrando l’analisi su 750 fondi ex Articolo 9 che fanno parte di questo universo. Dai risultati della ricerca è emerso che molti fondi Articolo 9 non sono all’altezza delle loro caratteristiche di sostenibilità quando si considera il principio DNSH.

Infatti, Clarity AI ha riscontrato che circa il 20% dei fondi ex Articolo 9 ha più del 10% dei propri investimenti in aziende che violano i principi UNGC o le linee guida OCSE per le imprese multinazionali – e il 40% ha un’esposizione superiore al 5%.

Distribuzione dei fondi Articolo 9 sulla proporzione di investimenti in compagnie che violano i principi UNGC o le linee guida OCSE

Nello specifico, i fondi ex articolo 9 analizzati da Clarity AI investono in 166 diverse società che violano i principi UNGC o i principi dell’OCSE. Queste violazioni includono condanne per corruzione e concussione, pratiche anticoncorrenziali e gli impatti ambientali (ad esempio, un’azienda del settore turistico ha ammesso di aver scaricato carburante e rifiuti alimentari insieme a migliaia di litri di acque reflue nell’oceano).

Altro punto sensibile è l’esposizione delle società ai combustibili fossili, che rientra nei PAI dell’SFDR. Secondo lo studio, quasi il 10% dei fondi dell’Articolo 9 hanno un’esposizione superiore al 10% ai combustibili fossili. 

Distribuzione dei fondi Articolo 9 sulla proporzione di investimenti in società esposte ai combustibili fossili

In particolare, i fondi ex Articolo 9 analizzati stanno investono in oltre 1.250 società che producono o partecipano alla distribuzione di combustibili fossili. Mentre alcune di queste società hanno una piccola parte dei loro ricavi provenienti da attività legate ai combustibili fossili, più di 500 aziende ottengono la maggior parte dei loro ricavi da questo tipo di attività.

Inoltre, secondo Clarity AI, se si guarda agli altri PAI che non si riferiscono alle esposizioni e alle violazioni, il quadro è tutt’altro che ideale. Infatti, il 38% dei fondi ex articolo 9 pur sostenendo di essere sostenibili, investono in aziende che rientrano nel 5% delle peggiori performance in almeno uno degli indicatori PAI obbligatori.

Distribuzione dei fondi Articolo 9 sulla proporzione di investimenti in società che causano danni significativi tramite altri PAI obbligatori

Scavando più a fondo, l’analisi di Clarity AI mostra che i fondi Articolo 9 investono in società con scarse prestazioni in tutti gli indicatori PAI, ma alcune sembrano ricevere meno attenzione da parte dei gestori. Se si considerano indicatori come “quota di consumo di energia non rinnovabile” e “diversità di genere nei consigli di amministrazione”, si scopre che più del 10% delle società in cui i fondi investono hanno prestazioni scadenti, come si vede nel grafico di seguito. 

Infine, approfondendo l’indicatore “diversità di genere“, Clarity AI nota che i fondi di Articolo 9 investono in 852 società con zero donne nel consiglio di amministrazione (12% delle società per le quali sono disponibili i dati).