Pubblicata la Survey of Sustainability Reporting 2020

KPMG: l’80% delle maggiori aziende di tutto il mondo pubblica il Report di sostenibilità

L’80% delle grandi aziende mondiali redige un rapporto di sostenibilità e la quota sale addirittura al 96% tra le top 250. Un miglioramento rispetto all’ultima fotografia, datata 2017, in cui erano rispettivamente il 75% e il 90%. E’ quanto emerge dall’undicesima edizione della Survey of Sustainability Reporting 2020 pubblicata da KPMG, una delle più esaustive analisi sulla reportistica ESG, in cui sono state esaminate 5200 Relazioni di sostenibilità pubblicate tra luglio 2019 e giugno 2020 dalle maggiori 100 società di 52 paesi.

Passi ancora più grandi sono stati fatti da quando KPMG ha avviato l’iniziativa nel lontano 1993 quando, su un campione che all’epoca era più ristretto, la percentuale di quelle che pubblicavano il rapporto di sostenibilità era pari al 12%. Ed è probabile che i prossimi anni vedranno un’ulteriore accelerazione perché la consapevolezza delle aziende stesse e la normativa internazionale spinge per standard di maggiore trasparenza.

Dal 2011, il 90% delle 250 maggiori società del Fortune500 pubblica un report di sostenibilità. A livello geografico, circa un quarto (14) dei 52 paesi coperti dall’indagine di KPMG 2020, ha un livello di rendicontazione sulla sostenibilità superiore al 90% per le proprie 100 maggiori società, con un picco per Giappone e Messico dove lo fanno il 100%.

Come macro area, le Americhe sono quelle dove è più praticata la rendicontazione di sostenibilità con una quota del 90%, mentre i paesi del Middle East e Africa, con il 52% sono più indietro. Solo quattro Paesi hanno una quota di rendicontazione inferiore al 50%. Arabia Saudita (36%), Ecuador (31%), Angola (30%) e Cipro (23%). In Italia, l’86% delle aziende esaminate presenta un report non finanziario.

Il campione N100 comprende le 100 più grandi società in ciascuno dei 52 paesi analizzati (5.200 società). Il G250 comprende le prime 250 società della classifica Fortune Global 500 per il 2019.

A livello di settori, più del 70% presenta una rendicontazione della sostenibilità. I 6 settori alla guida sono tecnologia, media e telecomunicazioni, estrazione, olio e gas; chimico, la silvicoltura e carta. 

Nel 2020, una significativa maggioranza delle società, in entrambi i campioni delle top 100 nazionali (77%), e delle top 250 mondiali (l’84%), ha utilizzato uno modello di riferimento per supportare il proprio reporting di sostenibilità. Il GRI rimane lo standard più comunemente utilizzato con circa il 70% dei report N100 e  circa 75% dei report G250.

E’ in crescita in alcuni paesi il numero di aziende che redige una reportistica integrata, a guidare il gruppo di chi lo fa sono Sud Africa (96%), Giappone (73%), Sri Lanka (53%) e Francia 43%, quest’ultima con un notevole incremento dal 2% precedente. Inoltre è in aumento il numero delle aziende che si affida alla verifica dei dati da parte di una terza parte indipendente.

La Survey of Sustainability Reporting 2020 di KPMG si è poi focalizzata su tre tematiche andando a vedere come erano trattate all’interno dei Report: biodiversità, cambiamento climatico e obiettivi UN.

La biodiversità non è particolarmente sotto lo spot dei riflettori. Solo il 25% delle aziende intervistate, ad alto o medio rischio di perdita di biodiversità, rivela tale rischio nella propria rendicontazione aziendale. Il settore minerario attualmente è l’unico settore altamente coinvolto in cui la maggioranza delle società N100 riferisce sui rischi che devono affrontare per la perdita di biodiversità con il 51%. Si nota che meno del 10% delle società di servizi finanziari, in entrambi i campioni N100 e G250, attualmente rivela rischi legati alla biodiversità.

Il numero di aziende che riconoscono il rischio del cambiamento climatico nella propria rendicontazione finanziaria è aumentato in modo significativo dall’ultimo sondaggio di KPMG nel 2017. Tra le società del gruppo N100, si registra un aumento del 43%, sulla base dell’analisi dello stesso gruppo di paesi sia nel 2017 che nel 2020 ora riconosce il rischio climatico nella propria rendicontazione finanziaria. Questa crescita è in gran parte dovuta al lavoro della Task Force on Climate-related Financial Disclosures, TCFD, nel sensibilizzare le aziende e le autorità di regolamentazione sul cambiamento climatico come rischio finanziario e nello sviluppo di raccomandazioni per la divulgazione del rischio correlato al clima. Comunque solo una società su cinque riferisce in linea con le raccomandazioni del TCFD.

L’indagine mostra un notevole aumento dal 2017 nel numero di aziende che rivelano obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2, il 70% delle N100 e il 75% delle G250 ora lo fanno. Qualsiasi grande azienda che non riporta ancora gli obiettivi di CO2 è ora chiaramente fuori dal passo con le buone pratiche globali. A livello settoriale, le aziende dei settori automobilistico, minerario, dei servizi pubblici e della tecnologia, dei media e delle telecomunicazioni sono in testa con il 70%  che rivela obiettivi di CO2. Le aziende del settore sanitario sono in coda, con meno della metà, circa il 40%, che rivela obiettivi per ridurre le proprie emissioni di carbonio.

La ricerca suggerisce che la rendicontazione aziendale sugli SDG si concentri quasi esclusivamente sui contributi positivi che le aziende apportano al raggiungimento degli obiettivi e manchi la trasparenza dei loro impatti negativi. Una significativa maggioranza delle società, l’86% delle N100 e il 90% delle G250, riporta una visione unilaterale incentrata solo sugli impatti positivi riguardo gli SDG. Circa la metà delle società nei campioni N100 e G250 riporta obiettivi di prestazione relativi agli SDG. 

In conclusione, le aziende si concentrano sulla crescita economica e sugli SDG climatici, ma ignorano in gran parte la biodiversità. Il sondaggio di KPMG ha mostrato un’ampia disparità e nessun modello chiaro nel numero di SDG a cui le aziende danno la priorità come focus per le loro attività. Di quelle aziende N100 che identificano specifici SDG come rilevanti per la loro attività, circa la metà, il 51%, identifica da uno a otto SDG. L’ 8% identifica tutti i 17 SDG come rilevanti.

La ricerca ha anche rivelato quali SDG hanno la priorità più o meno comune nelle 5.200 società che compongono il gruppo globale N100. Le priorità più spesso sono: SDG 8 – Lavoro dignitoso e crescita economica, SDG 13 – Azione per il clima e SDG 12 – Consumo e produzione responsabili. D’altra parte, poche aziende danno la priorità ai due SDG che si concentrano sulla biodiversità: SDG 14 – Life Below Water e SDG15 – Life on Land.