Non scegliere i primi della classe, quelle società che già presentano dei valori di emissioni molto bassi e consentono a un portafoglio di mostrare da subito caratteristiche virtuose. Al contrario, puntare su quelle società che hanno ancora molta strada da fare verso il Net Zero, accompagnandole verso progressi nella direzione green. È questa la scelta di Nordea nella promozione di un’economia più sostenibile, come spiega Elin Noring, Senior ESG Analyst della società di asset management, in un’intervista a ESGnews. Nordea AM vanta una lunga esperienza nella gestione di soluzioni d’investimento climatiche, con il primo fondo Climate strategy lanciato nel 2008 che è diventato una delle maggiori strategie sul clima in Europa, ma con il nuovo prodotto vuole dare una scossa ai settori più difficili da portare sulla strada del Net Zero, che, proprio per questo, sono ancora più importanti da coinvolgere in un percorso di decarbonizzazione.
Nordea AM ha recentemente lanciato un fondo dedicato all’engagement per il clima, la strategia Global Climate Engagement. In che modo questa soluzione si differenzia dalle più tradizionali strategie sul clima?
La particolarità di questa strategia, che la differenzia rispetto alla maggior parte di quelle che seguono uno stile più tradizionale, è che le società selezionate in portafoglio sono i cosiddetti “climate laggard” (ritardatarie nella transizione climatica, ndr), quindi quelle aziende che non presentano buoni risultati dal punto di vista della sostenibilità ambientale, ma che sono essenziali alla nostra economia e che hanno l’ambizione e il potenziale per diventare player rilevanti in un’economia a basse emissioni. . Il nostro intento è quello di coinvolgere e di collaborare, attraverso pratiche di engagement, con queste società, permettendo loro di migliorare le prestazioni e abbattendone le emissioni, fino a portarle ai livelli dei leader di mercato. Società già caratterizzate da buone strategie ambientali, basse emissioni, una elevata trasparenza o che forniscono soluzioni al problema del cambiamento climatico sono già generalmente presentai nei portafogli di diverse strategie. Ma investire solo in questo tipo di imprese escludendo semplicemente i business meno “green” non porta a un reale cambiamento nella lotta al cambiamento climatico e nel raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
La nostra ottica è differente. Per riuscire a contribuire alla riduzione delle emissioni non possiamo non coinvolgere quelle aziende che sono oggi definite “hard to abate”, cioè che operano in settori e con tecnologie per le quali è difficile arrivare a zero emissioni. Mi riferisco per esempio alle imprese dell’acciaio o di altri metalli pesanti, che sono critiche per la produzione delle infrastrutture delle energie rinnovabili. Abbiamo bisogno che queste aziende si immettano in un percorso di decarbonizzazione, altrimenti l’economia non raggiungerà mai gli obiettivi Net Zero.
In quali aziende e settori investe il fondo?
Sicuramente ci sono aziende attive nei settori dell’energia, dei metalli pesanti o altri comparti industriali cosiddetti “brown”, cioè più inquinanti. Ma dal momento che il clima è un tema trasversale consideriamo anche industrie tech, del consumo o istituzioni bancarie. La composizione del fondo è molto varia da questo punto di vista. Non vogliamo scommettere solo sull’industria pesante o focalizzarci solo su un comparto specifico di mercato, anche in ottica di diversificazione di portafoglio.
Come si svolge il processo di engagement di Nordea AM?
L’attività di engagement è una componente cruciale nella nostra strategia, pertanto richiede un set di regole interne molto robusto. Il processo può essere suddiviso in quattro fasi. Nella prima, che possiamo definire di pre-investimento, analizziamo i possibili candidati che potrebbero entrare a fare parte del portafoglio. Devono essere società che presentano le caratteristiche di “climate laggard”, ma al contempo mostrano delle potenzialità di poter avviare un percorso virtuoso. Poi esaminiamo se sono disponibile all’engagement, individuando le persone del management con le quali instaurare un dialogo e verificando che condividano la nostra stessa missione. Una volta selezionate le società, inizia la seconda fase che prevede l’impostazione dei KPI e degli obiettivi, quali per esempio aumento della trasparenza, target di emissioni e l’allocazione del capitale dedicato al raggiungimento degli obiettivi. Si entra poi nella terza fase, ossia quella dell’engagement vero e proprio, in cui il dialogo e il monitoraggio si intensificano, e che è il momento in cui “avviene la magia”, ossia si innescano i processi costruttivi che portano al cambiamento. Infine in caso l’azienda non dovesse rispettare le attesa possiamo entrare nella fase di escalation, ossia pensiamo a misure più forti quali il voto negativo in assemblea.
Un elemento che rende credibili le nostre ambizioni è che Nordea AM gestisce anche la strategia Global Climate and Environment, che da quasi 15 anni investe nelle migliori società dal punto di vista del riseptto dell’ambiente e sappiamo dunque quali sono i modelli di riferimento come migliori standard e, a oggi, una delle maggiori strategie articolo 9 in Europa
Su quale tipo di azienda è necessario concentrarsi maggiormente?
Ci sono società più in ritardo in termini di impatto rispetto ad altre. Ma il livello di attenzione e consapevolezza da parte di investitori e aziende è piuttosto elevato. Esistono molte valide ed efficaci iniziative di partnership su questo tema, come la Climate Action 100+, guidata dagli investitori per garantire che le maggiori aziende al mondo che emettono gas a effetto serra intraprendano le azioni necessarie per allinearsi alla transizione climatica. Ma non è lo stesso per le aziende più piccole che invece non sono abituate ad avere una pressione dagli investitori o lo sono di meno.
Può indicare alcuni risultati che la strategia ha già ottenuto?
Il fondo è stato lanciato a fine aprile e i nostri obiettivi non sono misurabili nel breve periodo, bensì ci vogliono alcuni anni affinché si materializzino. Ma alcuni progressi possiamo già osservarli. La società energetica tedesca RWE è un buon esempio in questo senso. Quando abbiamo iniziato l’engagement, una delle nostre richieste era di abbandonare il carbone prima della data che avevano stabilito nel loro piano e qualche settimana fa hanno firmato un accordo con il governo tedesco nel quale si sono impegnati ad abbandonarlo entro il 2030, prima del 2038 previsto.
In questo momento le condizioni geopolitiche, la crisi energetica e le sanzioni russe ci fanno sorgere dei dubbi su cosa accadrà con la transizione. Penso che nel breve periodo assisteremo a una frenata dei progressi, considerando che molti paesi UE, come la Germania e l’Italia, stanno riattivando le centrali a carbone, ma al contempo osserviamo anche che i governi sono più che mai incentivati ad accelerare la transizione verso le fonti rinnovabili per non dipendere da fonti fossili altrui, come è stato per il gas russo. Quindi nel medio periodo gli investimenti in infrastrutture per le rinnovabili sono destinati ad aumentare notevolmente e aziende come RWE che stanno già facendo progressi in questa direzione dovranno farsi trovare pronte.
Quali sono le principali difficoltà che la strategia ha incontrato?
Al momento non ne abbiamo ancora affrontare molte, perché siamo ancora per lo più nella fase dell’analisi degli investimenti e costruzione del portafoglio. Stiamo investendo molto in Europa e negli USA perché le aziende sono più pronte dal punto di vista della materialità e la cultura della sostenibilità è un passo avanti. Abbiamo anche società di mercati emergenti in portafoglio ed è per noi una scommessa perché presentano profili di maggiore incertezza. Tendiamo ad escludere le aziende di quei paesi, come la Cina, che spesso in tema di governance non posseggono i requisiti da noi richiesti per essere vincenti nella strategia di engagement.
Ci sono delle esclusioni?
Non investiamo nelle big del petrolio, sia perché alcune dovrebbero riformare la struttura del business da zero, sia perché le più ambiziose o strutturate hanno già stabilito target e strategie per affrontare la transizione ed essere parte della soluzione e quindi non pensiamo ci sia molto da fare per noi. Poi ci sono le stesse restrizioni di Nordea in generale, quindi quelle che riguardano per esempio il settore del carbone o delle armi.
C’è interesse da parte degli investitori italiani nella strategia proposta?
Si, anche in Italia la strategia climate engagement ha riscosso molto successo. Anche Mediobanca, per esempio, ha scelto di diventare nostro sottoscrittore. Ritengo il mercato italiano sia molto focalizzato nell’integrare la questione climatica negli investimenti e finanziare la transizione. È più aperto a una strategia come quella che proponiamo rispetto ad altri paesi del Nord Europa dove la cultura predominante è quella della completa esclusione delle attività “brown”.
Misurate e comunicate l’impatto del fondo in termini di emissioni?
Si, su base annuale riportiamo sia le emissioni aggregate del portafoglio sia quelle delle singole aziende per osservare i progressi. Crediamo nella trasparenza sull’impatto emissivo del fondo, ma bisogna ricordare che i dati riguardanti le emissioni vanno valutati sul lungo periodo, osservando il trend per capire se la strategia stia davvero funzionando al di là delle contingenze di un particolare periodo come quello di crisi che stiamo vivendo ora.