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L'analisi di Jana Harvey, Senior Portfolio Manager Emerging Markets di BlueBay

Mercati emergenti e transizione climatica: progressi, sfide e opportunità

Nel 2022 gli analisti di RBC BlueBay AM avevano definito i mercati emergenti un “tassello chiave nel puzzle climatico”. “Con questo intendevamo che, sebbene i mercati sviluppati siano stati storicamente i principali contributori al cambiamento climatico, in futuro i mercati emergenti rappresenteranno la maggior parte dell’aumento delle emissioni di gas serra”, spiega Jana Harvey, BlueBay Senior Portfolio Manager Emerging Markets. Pertanto, il successo o il fallimento dei mercati emergenti avrà un impatto significativo sulla capacità del mondo di raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050, evitando così gli effetti peggiori del cambiamento climatico.

I paesi emergenti avvertono un senso di urgenza quando si tratta degli impatti del cambiamento climatico. Le devastanti inondazioni in Pakistan e la carestia indotta dalla siccità in Uganda nel 2022 sono solo alcuni dei tanti probabili disastri naturali legati al clima che colpiranno i paesi emergenti, dove la capacità di farvi fronte è limitata. “Sfortunatamente, sono proprio alcuni dei paesi più vulnerabili dal punto di vista climatico che si trovano anche ad affrontare la più grave crisi debitoria, come lo Sri Lanka e lo Zambia”, sottolinea Harvey.

In questo caso, sebbene sia certamente necessario concentrarsi sulla ristrutturazione dei debiti pregressi, secondo l’analista di RBC BlueBay AM si risolve solo metà del problema. Ciò di cui questi paesi hanno realmente bisogno sono nuovi motori di crescita economica che consentano loro di sostenere più (e non meno) debito, su una base sostenibile. Oltre a ciò, con l’aiuto della comunità internazionale, devono investire in progetti di mitigazione e adattamento climatico per proteggere le loro popolazioni dagli effetti negativi del cambiamento climatico.

Nell’articolo, la portfolio manager esamina i progressi che stanno facendo i paesi emergenti. Infatti, nonostante la natura schiacciante della sfida e un contesto di mercato esterno ostile, i mercati emergenti continuano a portare avanti le loro agende sulla sostenibilità. 

Obiettivi climatici sempre più ambiziosi 

Più di 15 paesi emergenti hanno presentato un nuovo obiettivo NDC (contributi determinati a livello nazionale) dall’inizio del 2022. Certo, la maggior parte di questi impegni, sebbene più ambiziosi rispetto ai precedenti NDC, stanno ancora portando ad un aumento delle emissioni e non sono tuttora compatibili con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Tuttavia, è bene sottolineare che i paesi emergenti costituiscono la maggioranza nel gruppo di nazioni con un obiettivo NDC “quasi sufficiente”, come definito dall’iniziativa Climate Action Tracker. Ancora più importante, sottolinea Harvey, l’anno scorso l’Uruguay ha aperto la strada alla creazione di un collegamento diretto tra l’adempimento del suo impegno NDC e il costo del finanziamento del debito, attraverso la prima obbligazione sovrana legata alla sostenibilità “step-up, step-down”. “Questo è stato un risultato significativo, che si è potuto raggiungere solo attraverso una lunga attività di engagement con le parti interessate del mercato, impegnandosi al tempo stesso nella Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici per fungere da verificatore esterno”, afferma l’analista. Collegando gli impegni volontari dell’NDC a una sanzione per il mancato rispetto, l’Uruguay sta sperimentando un nuovo meccanismo per motivare i paesi a dare seguito ai propri impegni climatici, rendendo questi obiettivi più immuni dai cicli politici. Tale passo riconosce anche la realtà che molti paesi emergenti non dispongono dei fondi interni necessari per raggiungere i propri obiettivi NDC. Secondo l’esperta di RBC BlueBay, altri paesi, compresi quelli sviluppati, farebbero bene a seguire il loro esempio e collegare i futuri programmi di finanziamento ai loro obiettivi climatici nazionali.

Climate Action Tracker

Fonte: Climate Action Tracker.

Il panorama delle tassonomie ambientali negli emergenti

Mentre il lavoro dell’UE sullo sviluppo di una tassonomia ambientale (un dizionario che descrive quali attività economiche possono essere considerate sostenibili) è ormai noto, è forse meno risaputo che anche i paesi emergenti stanno sviluppando le proprie tassonomie. Questi quadri sono importanti perché possono fornire indicazioni utili su come le future attività economiche saranno sostenute dalle politiche governative e dal settore privato. “Le tassonomie, quindi, possono consentire ai paesi di aumentare i finanziamenti sostenibili in modo sistematico e ordinato”, sostiene Harvey. 

Le tassonomie ambientali di molti paesi riflettono le sfide uniche che i singoli Stati si trovano ad affrontare e, sebbene questi quadri possano non essere perfetti, rappresentano un punto di partenza estremamente necessario.

Panoramica delle tassonomie ambientali e vari stadi di sviluppo

Source: Green Taxonomies Around the World: Where Do We Stand? (ECOFACT).

Investimenti in energie alternative

Con l’aumento di fabbisogno energetico a livello globale, in conseguenza della rapida crescita della popolazione e della crescente importanza della sicurezza energetica a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, i paesi emergenti stanno intensificando i loro sforzi per ridurre la dipendenza sui combustibili fossili e aumentare la capacità di energia pulita e rinnovabile. Il finanziamento complessivo necessario per sfruttare appieno il potenziale dell’energia rinnovabile nei mercati emergenti è pari circa a 1,1 trilioni di dollari all’anno (il World Energy Investment Report dell’IEA per il 2023 ha mostrato che i paesi in via di sviluppo necessitano di investimenti in energie rinnovabili per circa 1,7 trilioni di dollari ogni anno). 

Tuttavia, secondo l’Emerging Markets Investors Alliance (“EMIA”), i paesi con accesso ai fondinon stanno perdendo tempo a indirizzare gli investimenti in questo settore in rapida crescita, Cina in primis, seguita da India e Brasile.

Al centro dell’interesse dei paesi emergenti anche l’idrogeno verde. Secondo le stime della Bank of America, l’idrogeno verde ha il potenziale per diventare un mercato da mille miliardi di dollari entro il 2050. I paesi del Medio Oriente, con elevati livelli di risparmio nazionale e un potenziale di indebitamento molto forte, sono particolarmente ben posizionati per trarne vantaggio, dati i notevoli investimenti necessari per sviluppare la tecnologia necessaria allo sviluppo dell’idrogeno verde. 

Crescita degli investimenti annuali in energia pulita in paesi e regioni selezionate (2019-2023)

Fonte: World Energy Investment 2023, IEA.

Produzione di idrogeno del Medio Oriente entro il 2030

Fonte: Bank of America, maggio 2023.

Un dato che Harvey sottolinea, però, è il sempre più evidente divario tra i vari mercati emergenti in termini di capacità di attrarre investimenti nell’energia pulita. I paesi meno sviluppati, così come i piccoli stati insulari, trovano particolarmente difficile attrarre investimenti, come evidenziato in un rapporto dell’UNCTAD. Mentre organizzazioni come l’IEA, la Banca mondiale e il World Economic Forum stanno lanciando programmi per mobilitare gli investimenti in energia pulita, secondo l’analista anche le strutture che aiutano a sfruttare il capitale privato sono essenziali per affrontare il problema.

Carenza di investimenti internazionali in rinnovabili nei paesi emergenti

Fonte: UNCTAD. LDCs= least developed countries, LLDC= landlocked developing countries, SIDS= small island developing states.

Gli strumenti finanziari innovativi per rispondere alle sfide dei paesi emergenti

Date le sfide future, le multinazionali, i partecipanti al mercato e gli emittenti sovrani hanno intensificato gli sforzi per sviluppare strumenti finanziari innovativi al fine di mobilitare i finanziamenti verso progetti tanto necessari per i mercati emergenti. 

La recente conferenza di Wilton Park, che RBC BlueBay ha contribuito a organizzare nel settembre 2023 e che ha esplorato le opzioni per la ristrutturazione del debito per i mercati emergenti in difficoltà, è un buon esempio di iniziativa del settore pubblico-privato per trovare soluzioni creative. “Un aspetto positivo è che, sebbene quest’anno abbiamo assistito a deflussi netti dai fondi creditizi dei mercati emergenti, i flussi dei fondi ESG sono rimasti positivi, dimostrando che, nonostante la stretta di liquidità, gli investitori sono disposti a impegnare fondi in attività che ritengono importanti per la sostenibilità e la resilienza future”, evidenzia Harvey.

Ultimamente, si è assistito all’emissione di obbligazioni sovrane dei mercati emergenti “use-of-proceed” (“UoP”), che sono strumenti di debito che finanziano progetti predefiniti con benefici ESG, e di green bond, che finanziano progetti ambientali e che costituiscono ancora la maggioranza di nuove emissioni obbligazionarie ESG. L’emissione di social bond (ovvero il finanziamento di progetti sociali) ha registrato una leggera accelerazione rispetto al calo post-Covid del 2022, sebbene stia ancora assorbendo una quota minore delle emissioni ESG sovrane dei mercati emergenti, al terzo posto dopo le obbligazioni di sostenibilità (ovvero il finanziamento di un mix di progetti ambientali e sociali). “A livello regionale, abbiamo visto un’accelerazione delle emissioni verdi dal Medio Oriente – una tendenza che prevediamo rimanga salda negli anni a venire, con un numero maggiore di paesi (come l’Oman) che stanno attualmente lavorando sui loro quadri finanziari sostenibili”, commenta l’analista.

In tempi recenti, si è diffuso sempre di più anche l’utilizzo da parte degli emittenti sovrani delle obbligazioni legate alla sostenibilità (Sustainability-linked Bond, SLB), ovvero finanziamenti di debito emessi con specifici obiettivi ESG che contengono indicatori chiave di performance. A fare da apripista il Cile, con il lancio di un SLB di successo utilizzando una struttura di cedole step-up, 

seguita poco dopo dalla già citata emissione in Uruguay. Attualmente, con 216 miliardi di dollari di emissioni in circolazione a livello globale, il mercato SLB rimane la parte più piccola dell’universo obbligazionario con etichetta ESG. “Tuttavia, crediamo che rimanga un’area da tenere d’occhio”, avverte Harvey. Questi strumenti, infatti, rappresentano una nuova interessante opzione per i paesi che potrebbero non avere abbastanza progetti per le obbligazioni UoP ma vogliono comunque attrarre capitali orientati ai criteri ESG. “Potrebbero anche fungere da potente strumento per ritenere i paesi responsabili del rispetto dei loro impegni ESG in generale, e non solo degli NDC. Qualcosa che il Cile ha dimostrato con il suo bond SLB lanciato all’inizio del 2023, mirato ai KPI sociali”, afferma l’esperta di RBC BlueBay AM.

Infine, si sono verificati anche i cosiddetti scambi “debito per natura”, recentemente completati dal Gabon e dall’Ecuador. Queste transazioni piuttosto complesse consentono ai mutuatari sovrani di scambiare parte del loro debito con finanziamenti più economici, solitamente potenziati da miglioramenti del credito, in cambio di finanziamenti futuri incanalati verso progetti legati alla conservazione della natura e a cause rispettose dell’ambiente. Questi strumenti richiedono molto tempo per essere utilizzati e attualmente mancano di scalabilità poiché sono appropriati in circostanze davvero uniche (ad esempio per i paesi fortemente indebitati). “Tuttavia, riteniamo che rimarranno parte della soluzione per molti stati sovrani più piccoli con elevate dotazioni di biodiversità e accesso limitato ai finanziamenti”, conclude Harvey.

Conclusioni

Secondo l’analista di RBC BlueBay AM, sebbene ci siano stati molti segnali positivi nell’ultimo anno, è necessario incanalare molto più capitale nei paesi emergenti per raggiungere i loro obiettivi di transizione climatica. Il settore finanziario può svolgere un ruolo fondamentale, indirizzando questo capitale. Perché ciò sia possibile, risorse pubbliche come quelle messe a disposizione dalla Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e da altre istituzioni per lo sviluppo avranno un ruolo determinante. Allo stesso tempo, i finanziamenti tramite iniziative guidate dai paesi, come i partenariati per una transizione energetica giusta per il Sudafrica, l’Indonesia o il Vietnam, devono essere ampliati, ulteriormente sfruttati e potenziati. Secondo Harvey, anche gli strumenti di emissione con etichetta ESG devono essere migliorati per diventare più adatti allo scopo quando si tratta di prestiti ai paesi a basso e medio reddito, che spesso non hanno la capacità di sviluppare e monitorare questi quadri, in modo tale che gli investitori si sentano sicuri che i fondi stanno raggiungendo gli obiettivi auspicati. 

I miglioramenti del credito con l’aiuto del mondo sviluppato e delle istituzioni internazionali possono anche consentire tassi agevolati sui nuovi finanziamenti. Altrettanto importante è che gli attuali processi di ristrutturazione siano sfruttati come un’opportunità per progettare soluzioni per aiutare in futuro i paesi emergenti ad uscire dalle difficoltà del debito attraendo nuovo capitale in progetti ben definiti e aumentando le proprie prospettive di crescita. 

Il mondo non può effettuare la transizione senza che i mercati emergenti siano accompagnati nel viaggio. In un momento in cui molti investitori sono scoraggiati dall’investire nei mercati emergenti e i capitali defluiscono dalle regioni, è il momento di riconoscere che, in realtà, questi investimenti hanno il potenziale maggiore per generare un impatto positivo e risultati concreti per tutti noi. È quindi giunto il momento che il mondo smetta di considerare i paesi emergenti come un peso e li veda invece come un fattore chiave nella transizione a basse emissioni di carbonio”, conclude l’esperta.