È stato presentato a Trieste, ospitato dallo Urban Center, il Rapporto “La Bioeconomia in Europa”, giunto alla sua settima edizione, redatto dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo in collaborazione con il Cluster SPRING e ASSOBIOTEC – Federchimica. Alle analisi contenute in questa edizione hanno collaborato anche gli economisti di SRM -Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (centro studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo).
Il ruolo della Bioeconomia, ovvero il sistema che utilizza le risorse biologiche, inclusi gli scarti, per la produzione di beni ed energia, è molto rilevante: la sua natura fortemente connessa al territorio, la sua capacità di creare filiere multidisciplinari integrate nelle aree locali e di restituire, grazie a un approccio circolare, importanti nutrienti al terreno la pongono come uno dei pilastri del Green New Deal lanciato dall’Unione europea, al centro anche di molti progetti del PNRR italiano.
Nel 2020 la Bioeconomia in Italia, intesa come sistema che utilizza le risorse biologiche, inclusi gli scarti, come input per la produzione di beni ed energia, ha generato un output pari a 317 miliardi di euro, occupando poco meno di due milioni di persone.
Dopo aver chiuso il 2019 con un incremento dell’1,4%, nel 2020 la Bioeconomia ha perso nel complesso il 6,5% del valore della produzione, un calo inferiore rispetto a quanto segnato dall’intera economia (-8,8%): il peso della Bioeconomia in termini di produzione è pertanto salito al 10,2% rispetto al 10% del 2019 e al 9,9% del 2018.
In tutti i paesi europei il valore della Bioeconomia, che comprende molte attività essenziali, ha registrato un calo meno rilevante rispetto al totale dell’economia, evidenziando una maggiore resilienza allo shock pandemico.
Il potenziale di sviluppo della Bioeconomia in ottica circolare è elevato nel nostro paese e diffuso lungo tutto il territorio nazionale. Le stime originali del valore aggiunto della Bioeconomia nelle regioni italiane, realizzate in collaborazione con SRM-Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, evidenziano un ruolo particolare della Bioeconomia nelle regioni del Nord-Est e del Mezzogiorno, con un peso della Bioeconomia sul valore aggiunto regionale dell’8,2% e 6,7% rispettivamente (anno 2018). Sotto la media italiana (6,4%) invece il peso della Bioeconomia nel Nord-Ovest (5,3%) e nel Centro (5,7%).
Basilicata e Trentino-Alto Adige, con un’incidenza del 9,3%, si posizionano ai primi posti per valore aggiunto della Bioeconomia sul totale. Seguono Toscana, Veneto ed Emilia-Romagna, con un peso compreso tra l’8% e l’8,7%.
Le specificità del tessuto produttivo delle diverse regioni italiane si rispecchiano anche nell’interesse verso le nuove frontiere della chimica bio-based, attività che fatica ad essere colta attraverso le sole statistiche ufficiali vista la sua trasversalità e innovatività. La mappatura, realizzata con il supporto del Cluster SPRING attraverso una pluralità di fonti, mette in luce un sistema dinamico e complesso, con più di 830 soggetti, dalle 84 Università e centri di Ricerca (pubblici e privati) alle circa 730 imprese (con più di 500 start-up), a cui si affiancano altre istituzioni ed associazioni con ruolo di supporto e promozione.