Dopo giorni di tensione alle stelle tra i paesi riuniti al più importante summit globale dedicato alla lotta al cambiamento climatico, è stato raggiunto un accordo che in molti non hanno esitato a definire “storico”. I delegati presenti ai colloqui sul clima della COP28 a Dubai, infatti, hanno pubblicato il primo “Global Stocktake” in cui hanno concordato per la prima volta di abbandonare i combustibili fossili per evitare di peggiorare i già pesanti effetti del cambiamento climatico. Nonostante sia ormai tristemente noto che le emissioni derivanti dai combustibili fossili sono di gran lunga il principale motore del cambiamento climatico, quasi 30 anni di negoziati internazionali sul clima, fino ad oggi, non avevano ancora mai portato a un accordo globale per ridurne ed eliminarne l’uso.
Il presidente designato della COP28 Al-Jaber ha salutato l’accordo, approvato dai 198 paesi convenuti, come un “pacchetto storico” di misure che offre un “piano robusto” per realizzare l’obiettivo di limitare la temperatura globale a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. “Per la prima volta in assoluto nel nostro accordo finale è presente un testo sui combustibili fossili”, ha affermato Al-Jaber, che è anche amministratore delegato della compagnia petrolifera degli Emirati Arabi Uniti.
Prima di analizzare nel dettaglio ciò che si è convenuto alla COP di Dubai, c’è però un aspetto fondamentale che va tenuto in considerazione. Nel testo non viene citato il “phase out” (“eliminazione”), come avrebbero voluto 100 nazioni che chiedevano un linguaggio forte e deciso, ma si usa l’espressione “transitare fuori dai combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico”. Questa transizione dovrebbe consentire di raggiungere l’obiettivo net zero nel 2050 e di seguire i dettami della scienza del clima. Il termine “transition away” dell’accordo finale, dunque, sembra essere un compromesso tra il “phase out” e il “phase down”. Un compromesso che però non ha reso contenti tutti. Proprio a proposito dell’assenza del riferimento all’eliminazione, infatti, gli esponenti dell’Alleanza dei Piccoli Stati Insulari (Alliance of Small Island States) hanno lamentato la presenza di “scappatoie” nel testo, affermando che “non parla specificamente dell’eliminazione graduale e della mitigazione dei combustibili fossili in un modo che in realtà rappresenta il cambio di passo necessario” (Reuters).
Indice
Dalla bozza all’accordo finale della COP28
L’accordo è stato raggiunto con un giorno di ritardo rispetto alla chiusura prevista del summit a causa di pressioni provenienti da alcuni paesi che scongiuravano l’utilizzo del termine “eliminazione”. Nella bozza diffusa nei giorni scorsi, infatti, non solo era stata omessa l’espressione “phase out”, ovvero “eliminazione” (graduale) dei combustibili fossili, ma era stato privilegiato il termine “phase down”, che indica una riduzione dell’uso dei combustibili fossili, ma non il loro abbandono totale. In particolare, nel documento provvisorio si parlava di riduzione delle emissioni tramite otto strategie che i paesi avrebbero potuto adoperare, tra cui “ridurre sia il consumo che la produzione di combustibili fossili, in modo giusto, ordinato ed equo al fine di raggiungere l’obiettivo net zero entro, prima o intorno al 2050”.
Lo scontento per la bozza era stato talmente forte che l’inviato speciale statunitense per il clima, John Kerry, si era esposto dichiarando che il testo doveva essere rafforzato. Anche il capo negoziatore dell’UE, Wopke Hoekstra, aveva riferito ai giornalisti che la bozza era “chiaramente insufficiente e non adeguata ad affrontare il problema”. E i rappresentanti delle nazioni insulari del Pacifico, Samoa e Isole Marshall, tra i più colpiti dal cambiamento climatico, avevano fatto sentire la propria voce, dichiarando che non sarebbero tornati “in silenzio” nelle loro “tombe acquatiche” (Reuters).
Ma perché è stato così difficile ammettere (la transizione verso) l’eliminazione dei combustibili fossili nel testo? Perché la questione dei combustibili fossili, non è un segreto, è motivo di profonde divisioni internazionali.
Eliminazione combustibili fossili: chi a favore, chi contro
Tra i paesi che hanno provocato lo stallo per l’approvazione del testo così com’è, spiccano i membri dell’OPEC(Organizzazione dei Paesi Esportatori del Petrolio), ovvero Arabia Saudita, Iraq, Iran, Kuwait e Venezuela, che insieme rappresentano circa l’80% delle riserve di petrolio mondiali e un terzo della produzione globale di petrolio. Anche il paese ospitante della COP28, gli Emirati Arabi Uniti, è tra i maggiori produttori di petrolio al mondo (motivo per cui è stata criticata fin dall’inizio la scelta di svolgere lì la conferenza) e per questo particolarmente sensibile alle lobby dell’oil & gas. Ad opporre resistenza all’eliminazione dei combustibili, però, pare ci fosse anche la Russia.
Dall’altra parte, le nazioni che erano rimaste più deluse dall’impasse che si era creata nei giorni precedenti all’accordo sono Stati Uniti, Unione Europea, Canada, Norvegia e tutti i paesi (per la maggior parte in via di sviluppo) più vulnerabili ai terribili effetti del cambiamento climatico.
Capitolo a parte la Cina che, pur mostrando un basso profilo durante la conferenza, aveva appoggiato apertamente la possibilità dell’eliminazione graduale dei combustibili, forte anche del fatto che si è gia posta (insieme all’India) l’obiettivo di raddoppiare le energie rinnovabili entro il 2027.
L’India, dal canto suo, ha ribadito la richiesta di “equità e giustizia” nei negoziati sul clima, sostenendo che i paesi ricchi dovrebbero guidare l’azione globale sul clima. I commenti sottolineano la posizione di lunga data dell’India secondo cui, in quanto paese in via di sviluppo, non dovrebbe essere costretto a ridurre le proprie emissioni legate all’energia, anche se è il terzo paese più grande al mondo per emissioni dopo Cina e Stati Uniti.
Cosa prevede il Global Stocktake approvato alla COP28
L’accordo raggiunto alla COP28 coincide con il primo bilancio globale dei progressi fatti verso i target di Parigi, il cosiddetto “Global Stocktake” (GST) istituito dall’Accordo di Parigi. Esso consiste in un resoconto dell’impatto delle azioni per il clima adottate dai paesi membri dell’UNFCC e nella definizione delle strategie da mettere in pratica per garantire maggiori risultati.
Nella versione definitiva del testo di 21 pagine non compare un riferimento esplicito al “petrolio”, sebbene appaia due volte l’espressione “combustibili fossili” (fatto inedito in un documento della COP). Oltre al “transitare fuori” dai combustibili, altri obiettivi presenti nell’accordo riguardano il “triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale e raddoppiare la media globale del tasso annuo di efficienza energetica entro il 2030”. È prevista anche l’accelerazione degli sforzi globali per ridurre gradualmente l’energia prodotta dal carbone “unabated”, cioè che non prevede tecnologia di cattura e stoccaggio della CO2, così come l’accelerazione degli sforzi “verso sistemi energetici a zero emissioni nette, utilizzare combustibili a zero e a basso contenuto di carbonio ben prima o intorno alla metà del secolo”. Così come annunciato nella bozza, inoltre, si richiede ai paesi convenuti di “accelerare le tecnologie a zero e a basse emissioni, tra cui, tra l’altro, energie rinnovabili, nucleare, tecnologie di abbattimento e rimozione delle emissioni come la cattura, lo stoccaggio e l’utilizzo del carbonio in particolare nei settori ’hard to habate’, e la produzione di idrogeno a basse emissioni di carbonio”. I delegati non trascurano, però, neanche le emissioni di metano, che prevedono di ridurre entro il 2030, né quelle legate al trasporto stradale che vanno ridotte “attraverso una serie di percorsi, compreso lo sviluppo delle infrastrutture e la rapida diffusione di veicoli a zero emissioni”. I paesi riuniti puntano, infine, ad eliminare “sussidi inefficienti ai combustibili fossili che non affrontano la povertà energetica o la transizione giusta, nel più breve tempo possibile”.
Altri risultati principali della COP28
I principali risultati ottenuti dal programma d’azione, che esulano dal testo negoziato, includono:
- Il lancio di ALTÉRRA, il veicolo finanziario privato catalitico da 30 miliardi di dollari degli Emirati Arabi Uniti, che cerca di mobilitare un totale di 250 miliardi di dollari per l’azione globale sul clima;
- La “Dichiarazione COP28 degli Emirati Arabi Uniti su agricoltura, alimentazione e clima”, che include l’agricoltura e i sistemi alimentari sostenibili nella risposta ai cambiamenti climatici. Ha ricevuto approvazioni da 158 paesi;
- La “Dichiarazione COP28 degli Emirati Arabi Uniti su clima e salute”, per accelerare lo sviluppo di sistemi sanitari resilienti ai cambiamenti climatici, sostenibili ed equi. È stato approvato da 144 paesi;
- Il Global Decarbonization Accelerator (GDA), una serie di iniziative energetiche fondamentali nei settori pubblico e privato per accelerare la transizione energetica, tra cui: il Global Renewables and Energy Efficiency Pledge, che mira a triplicare la capacità di generazione di energia rinnovabile installata a livello mondiale portandola ad almeno 11.000 gigawatt e a raddoppiare il tasso medio annuo globale di miglioramento dell’efficienza energetica portandolo a oltre il 4% entro il 2030; la Carta per la decarbonizzazione del petrolio e del gas (OGDC), che impegna i firmatari a zero emissioni di metano e ad operazioni a zero emissioni nette entro il 2050 al più tardi. Ad oggi hanno aderito 52 aziende, che rappresentano oltre il 40% della produzione mondiale di petrolio;
- L’impegno della “Coalition for High Ambition Multilevel Partnerships (CHAMP)” per promuovere l’integrazione dei leader subnazionali nel processo decisionale relativo al clima, che è stato approvato da 67 paesi;
- Ricezione da parte della Presidenza della COP28 della Dichiarazione Globale della Gioventù: le richieste collettive di politica climatica da parte di bambini e giovani di oltre 160 paesi in tutto il mondo. La sua consegna segue un anno di impegno giovanile sostenuto da S.E. Shamma Al Mazrui, la prima Campionessa ufficiale del clima giovanile.
Finanziamenti per il clima: i passi in avanti alla COP28
La questione dei finanziamenti per il clima, in particolare quelli destinati ai paesi in via di sviluppo e maggiormente vulnerabili agli eventi climatici estremi, alla COP28 si è concentrata sull’accordo che ha reso operativo il fondo Loss and Damage che era stato concordato alla COP27.
Tra i paesi che si sono impegnati maggiormente a contribuire al fondo, l’Italia e la Francia, che hanno promesso 108 milioni di dollari (ciascuna), seguite dagli Emirati Arabi Uniti e dalla Germania, che destineranno al fondo 100 milioni di dollari (ciascuno). Il finanziamento complessivo fissato con l’accordo è di 429 milioni di dollari. Il Regno Unito destinerà 75 milioni di dollari, gli Stati Uniti 24,5 milioni e il Giappone 10 milioni. L’erogazione del denaro per il fondo sarà gestita dalla Banca Mondiale, decisione presa dopo un anno di discussioni su chi dovesse farlo e chi dovesse pagare. Altri impegni includono quello della Danimarca con 50 milioni di dollari, dell’Irlanda con 27 milioni, della Norvegia con 25 milioni, del Canada con meno di 12 milioni e della Slovenia con 1,5 milioni.
Il risultato sul fondo Loss and Damage è positivo, ma non sufficiente secondo molti, dato che le perdite e i danni annuali nei paesi in via di sviluppo stimati da un’ONG ammontano a centinaia di miliardi di dollari all’anno. Non a caso, da un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato recentemente emerge che complessivamente i mercati emergenti e i paesi in via di sviluppo avranno bisogno di 2,4 trilioni di dollari all’anno in investimenti per limitare le emissioni e adattarsi alle sfide poste dal cambiamento climatico.
Per quanto riguarda gli investimenti generali in finanza verde, invece, gli Emirati Arabi Uniti hanno promesso 270 miliardi di dollari entro il 2030. Diverse banche di sviluppo, inoltre, hanno avanzato proposte per aumentare i loro sforzi di finanziamento, anche accettando di sospendere il rimborso del debito in caso di catastrofe.
Tutte queste iniziative, per quanto rappresentino dei passi in avanti nell’ambito della finanza climatica, appaiono insufficienti agli occhi dei paesi più vulnerabili al cambiamento climatico, che avrebbero voluto l’istituzione di un fondo che punti a ridurre i rischi climatici e a gestire meglio gli eventi estremi. Portavoce di questa posizione che è intervenuta alla COP28 è Mia Mottley, prima ministra delle Barbados, che ha chiesto ai paesi convenuti di considerare delle tasse come strategia efficace per incrementare i finanziamenti per il clima, sottolineando che imporre una tassa globale pari allo 0,1% sui servizi finanziari consentirebbe di raccogliere oltre 400 miliardi di dollari.
In sostanza, molte questioni finanziarie restano aperte e, pertanto, animeranno almeno le prossime due conferenze sul clima, quella in Azerbaigian (COP29) e quella in Brasile (COP30).