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Sustainability Week: ultime tendenze dei finanziamenti ESG, dal reddito fisso al net zero

Quali sono le possibili evoluzioni e sfide legate alla finanza ESG che operatori, emittenti, consulenti e intermediari dovranno affrontare nei prossimi mesi? Se si osservano gli sviluppi degli ultimi anni, una chiara tendenza salta agli occhi, ovvero che la finanza sostenibile sta guadagnando terreno a livello globale, in parte come riflesso della pressione esercitata da regolatori, consumatori e investitori sulle imprese affinché diano priorità alle questioni ESG. Ma quali sono, dunque, gli strumenti di finanziamento ESG, dal reddito fisso ai crediti di carbonio, che aziende e operatori di mercato devono considerare per attuare la transizione verso un modello economico più sostenibile? È questa la domanda a cui hanno cercato di rispondere i relatori del webinar della terza giornata dell’Euronext Sustainability Week, The strategic role of ESG financing: latest trends from fixed income to carbon credits

L’evoluzione ESG nel reddito fisso

Gli ultimi sviluppi del mercato ESG del reddito fisso sono stati argomento di dibattito nel panel moderato da Anna Marucci, Italy Debt and Fund Listing Lead di Borsa Italiana, che ha visto la partecipazione di Annalisa Feliciani, Partner di Dentons, Giada Sonego, Head of Debt Capital Markets di Banca Akros, Paolo Sias, Head of Finance di EniCarolina Marazzini, Head of Debt Capital Markets Italy di UniCreditMarco Clerici, Co-Head of Investment Banking di Equita, Patricia Gentile, Group Head of Finance & Insurance di A2AErica Abisso, Head of ESG Advisory di Intesa Sanpaolo e Giancarlo Pavia, Head of Sustainable Investment Banking Italy di Crédit Agricole

Negli ultimi anni è emerso chiaramente che il mercato del reddito fisso può svolgere un ruolo di primo piano nel processo di transizione. Tutti i relatori del panel, però, convergono sul fatto che sia fondamentale utilizzare consapevolmente gli strumenti che si hanno a disposizione per coinvolgere tutte le aziende impegnate per raggiungere gli obiettivi climatici, anche se appartenenti ai cosiddetti settori “brown”. È estremamente convinto di questo Paolo Sias, che ricorda come Eni, azienda leader nel settore dell’Oil & Gas, sia in realtà da anni impegnata nell’innovazione sostenibile tramite il ricorso a strumenti di finanza ESG. Ne è un esempio il Green Bond che la società ha emesso a gennaio destinato alla clientela retail, uno strumento innovativo perché non indirizzato agli investitori istituzionali, che ha avuto molto successo. Peccato però, sottolinea Sias, che le banche spesso adottino delle politiche che tendono ad escludere dall’universo finanziabile aziende come Eni perché appartenenti a settori ad oggi inquinanti. “Il rischio di queste politiche ESG è che ostacolino la transizione che in realtà vorrebbero facilitare. Le strategie delle banche spesso non discriminano tra le aziende realmente impegnate nella transizione e quelle che non lo sono. Spesso le aziende con obiettivi più concreti sono proprio quelle che ancora inquinano di più. Ma la transizione non è un processo che avviene dall’oggi al domani, necessita di tempi diversi anche a seconda della geografia di provenienza dell’azienda. È importante che le banche recepiscano questo per destinare i finanziamenti laddove ci sono maggiori opportunità”, afferma Sias. 

Ad essere stata coinvolta nell’operazione di emissione del Green Bond per i clienti retail di Eni anche UniCredit. “L’esperienza che abbiamo avuto è stata estremamente positiva”, spiega Carolina Marazzini, “e può fungere da apripista per la diffusione di operazioni simili negli anni a venire. L’operazione di Eni si è conclusa con successo anche nonostante i vincoli temporali e i passaggi burocratici (come la compilazione dei prospetti) legati al mercato degli investitori retail, assenti nel caso degli istituzionali”. 

Il caso di Eni non è però isolato. In Europa e in Italia, infatti, i Bond ESG sono in continua crescita. “Basti pensare che nel 2022 sono stati emessi oltre 200 miliardi di euro di bond sostenibili, con in testa i Green Bond. Anche se anche gli altri strumenti sono sempre più diffusi, compresi i Transition Bond, strumenti che potrebbero essere molto appetibili soprattutto per le aziende “brown”. Il mercato dei Bond ESG è quindi ormai più che consolidato”, afferma Giada Sonego, “e l’Italia rappresenta il 5% del mercato complessivo europeo. A livello nazionale, invece, le obbligazioni ESG sono salite a oltre il 10% del totale”. “La tendenza italiana è simile a quella che vediamo in Europa”, aggiunge Marco Clerici, “probabilmente nei prossimi anni le obbligazioni ESG rappresenteranno quasi la totalità delle emissioni totali. Anche Equita ha partecipato all’operazione di Eni, ma è da almeno 5 anni che sostiene le aziende nell’emissioni di Bond ESG”. 

Un altro esempio di azienda attiva nel mercato delle obbligazioni sostenibili è A2A, che nel 2021 ha adottato il Sustainable Finance Framework basato sui Green Bond Principles. “Il mercato si sta evolvendo e non ci poniamo alcun limite riguardo agli strumenti di finanza ESG da adottare”, sostiene Patricia Gentile, “purché si eviti il greenwashing”. 

L’importanza di combattere il greenwashing è, d’altronde, alla base della decisione della Commissione UE di definire uno standard europeo per i Green Bond, l’European Green Bonds Standard. Si tratta di una misura efficace? Secondo Erica Abisso sì, ma porta con sé, insieme alle opportunità, anche delle sfide. “Lo standard sui green bond dell’UE rappresenta un’opportunità per un approccio più sistemico nel combattere il greenwashing. Dovrebbe farlo concentrandosi in particolare sull’uso dei proventi e dovrebbe anche fornire criteri rigorosi per selezionare le attività sostenibili”, spiega l’esperta di Intesa Sanpaolo, “eppure presenta anche alcune criticità. Si tratta di un documento ancora in fase di preparazione, bisogna ancora capire quanto lo standard sarà utile nel concreto e, infine, vi sono delle sfide tecniche legate all’attuazione e alla flessibilità per gli emittenti. Resta il fatto però che lo standard europeo avrà sicuramente un impatto positivo in termini di trasparenza”. Anche sottolinea Annalisa Feliciani le difficoltà che il nuovo regolamento europeo sui Green Bond potrebbe affrontare, ma ritiene comunque che sia l’evento legislativo più significativo in ambito ESG dell’ultimo anno, seguito dall’entrata in vigore della CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) prevista per inizio 2024. 

In questo contesto, il mercato dei capitali svolge un ruolo cruciale come facilitatore, ma anche “motore” per i progetti legati alla transizione, afferma Giancarlo Pavia. “La crescita del mercato ESG degli ultimi anni è stata sorprendente. La vera sfida è ora allocare il capitale in modo rapido ed efficace. Bisogna attuare delle economie di scala e, per farlo, è necessaria la partecipazione del mercato dei capitali”. 

Il ruolo strategico dell’ESG per una IPO di successo

In un evento di Borsa Italiana dedicato alla finanza sostenibile non poteva mancare una riflessione sul ruolo dell’ESG nel mercato delle IPO (offerte pubbliche iniziali). A questa tematica è stata dedicata infatti la seconda tavola rotonda del 6 settembre, moderata da Patrizia Celia, Head of Large Caps, Investment Vehicles di Borsa Italiana, cui hanno partecipato Veronica Bosco, Director Equity Capital Markets di UniCredit, Marcello Daverio, Head of Capital Markets, Managing Director di Equita e Massimo Catizone, Head of ESG Advisory di UniCredit.

“Per una IPO di successo sono ormai necessarie una mappatura e una profilazione ESG delle aziende”, sostiene Veronica Bosco. Un’altra tendenza osservata dall’esperta di UniCredit è il processo di transizione da un approccio più qualitativo ad uno più scientifico nell’analisi delle caratteristiche ESG di una società. “A ciò si aggiunge il fatto che c’è ormai una consapevolezza diffusa che l’integrazione dei fattori ESG nel business si traduce in valore a lungo termine di un’azienda. Per questo motivo gli investitori si stanno dotando di team dedicati all’analisi delle strategie ESG delle società, che in questa fase si concentra soprattutto sui KPI, che oltre agli obiettivi ambientali riguardano sempre di più anche questioni sociali e di governance, come ad esempio la gestione dei bonus ESG legati dei dirigenti”, aggiunge Bosco. E le società cosa devono fare per posizionarsi meglio nel momento in cui decidono di entrare nel mercato azionario? “Dall’esperienza di UniCredit emergono tre parole chiave che le aziende devono seguire: anticipare le tendenze ESG, divulgare per dare visibilità alla strategia ESG e comunicare in modo efficace”, conclude l’esperta. 

D’altra parte, però, se per una large cap è più facile l’accesso al mercato, lo stesso non si può dire per piccole e medie imprese (PMI). Come sottolinea Marcello Daverio, infatti, le dimensioni hanno un impatto significativo sulla capacità delle aziende di entrare nel mercato. “Ma difficile non significa impossibile. Nel primo semestre 2023, ad esempio, Equita ha quotato tre PMI sui mercati Euronext

Milano ed Euronext Growth Milano. Si trattava di aziende con meno di 50 milioni di fatturato e che non erano dotate di un report di sostenibilità. Per sopperire a questa mancanza, data l’importanza dei fattori ESG per gli investitori, abbiamo somministrato loro un questionario ESG per raccogliere più informazioni possibili sul loro profilo di sostenibilità”, commenta Daverio. L’esperto di mercati di capitali conclude il suo intervento con dei consigli utili per le aziende che vogliono intraprendere una IPO, a partire dal benchmarking ESG, una fase destinata all’individuazione delle migliori pratiche del settore per identificare i gap dell’azienda rispetto alle migliori pratiche. In secondo luogo, è auspicabile che una società definisca chiaramente la propria strategia ESG, insieme a dei target ESG. Infine, è sempre più importante dotarsi di un bilancio di sostenibilità e di un rating ESG che esprime un giudizio sintetico sull’approccio di un’azienda nei confronti dell’ambiente, della società e della governance.

Ancora una volta la normativa sembra andare nella giusta direzione per fornire strumenti sempre più chiari e puntuali che le aziende possano utilizzare per definire e comunicare al meglio il proprio profilo ESG. “Ultimi interventi legislativi rilevanti a riguardo sono i due standard globali per la rendicontazione della sostenibilità pubblicati dall’ISSB a fine giugno”, conclude Massimo Catizone.

Come finanziare la decarbonizzazione

Uno dei principali messaggi emersi fin dal primo giorno dell’Euronext Sustainability Week è che raggiungere l’obiettivo del net zero è un processo complesso e che ha un costo piuttosto elevato. Proprio sul tema degli investimenti necessari per la decarbonizzazione e delle principali sfide che le aziende dovranno affrontare si è concentrato il terzo panel della terza giornata della settimana, moderato da Patrizia Celia, che ha ospitato gli interventi di Davide Tonon, Head of Climate Strategy Southern Europe di Carbonsink, Alfredo Romano, Head of Italy di Greenomy e Ana Victoria Quaas, Investment Director di Fidelity International.

Come sottolinea Davide Tonon, il settore privato ha un ruolo di primaria importanza nella risoluzione della crisi climatica. Gli advisor climatici come Carbonsink intervengono proprio per supportare le aziende nel loro percorso di transizione climatica. “Il nostro obiettivo è assicurarci che la strategia costruita dai nostri clienti sia basata sulla scienza e su dati solidi. Tale strategia si articola generalmente in cinque passaggi fondamentali. La misurazione delle emissioni, la definizione di un obiettivo principale, l’individuazione di una roadmap, il finanziamento dell’azione per il clima e la comunicazione interna ed esterna dei risultati ESG dell’azienda”, spiega Tonon, che sottolinea come siano stati fatti molti progressi dalle società. Persiste però una mancanza: la digitalizzazione delle strategie aziendali per sostenere le organizzazione nella condivisione dei dati e per avvicinare tutti gli stakeholder della catena di produzione alle tematiche della sostenibilità. Cosa possono fare oggi le aziende e qual è il ruolo dei crediti di carbonio?

Se questo è il contributo di società di consulenza climatica nel percorso di decarbonizzazione delle aziende, qual è quello del sistema finanziario? Secondo Alfredo Romano gli istituti finanziari devono fungere da esempio per le aziende e adottare quindi un nuovo approccio nella relazione con loro. “Altre complessità riguardano l’insieme di normative, le nuove pratiche e gli strumenti più innovativi”, aggiunge Romano. 

Se da un lato la via per la decarbonizzazione si trova in una fase ormai avanzata, dall’altro i capitali allocati nel settore non sono ancora abbastanza. Il compito di asset manager come Fidelity International è proprio quello di guidare i clienti nell’allocazione del capitale, destinandolo alle opportunità che supportano la transizione. “Oggi la comprensione di concetti come la crisi climatica o la perdita di biodiversità è molto più completa”, spiega Ana Victoria Quaas, “per questo le opportunità in cui investire si sono moltiplicate.  Ma per sostenere le aziende nell’investire nella giusta direzione, in qualità di asset manager abbiamo anche il compito di guidarle nell’identificazione di dati di qualità”. 

Un importante strumento di finanza sostenibile per la decarbonizzazione sono i crediti di carbonio, menzionati alla fine del dibattito da Tonon. “Si tratta di uno strumento finanziario che permette alle aziende di compensare le emissioni di gas serra che, nonostante lo sforzo di riduzione, sono emanate in atmosfera. Dal 2019 il mercato volontario dei crediti di carbonio è cresciuto del 600% e nel 2021 rappresenta un mercato da 2 miliardi di dollari. È dunque in continua crescita. Un avvertimento importante per le aziende è però di selezionare progetti di alta qualità nel momento in cui si sceglie chi finanziare”, sottolinea Tonon. 

Formazione del prezzo dell’energia elettrica e impatti sulle strategie aziendali

Settore cruciale per la transizione è quello energetico, in particolare quello dell’energia elettrica. Per questo nel quarto panel, moderato anch’esso da Patrizia Celia, è stato dato spazio all’intervento di Pietro Rabassi, Executive Vice President Western and Central Europe di Nord Pool, la borsa elettrica paneuropea Partner della Sustainable Finance Partnership di Borsa Italiana. Lo spunto di riflessione posto dalla Celia all’interlocutore è la formazione del prezzo dell’energia elettrica e gli impatti sulle strategie delle aziende, un tema che ha assunto particolare rilevanza nell’ultimo anno con la crisi energetica. 

“Nord Pool gestisce nel suo complesso il mercato dell’energia elettrica europeo. In qualità di mercato paneuropeo, il nostro obiettivo è quello di offrire a tutti i paesi partecipanti efficienza nella formazione dei prezzi. Questo significa anche rendere il mercato più sostenibile. Come? Dotandosi di un mix più ampio di risorse energetiche e che includa una percentuale più elevata di rinnovabili e elettrificando il sistema”, spiega Rabassi. Altro importante contributo di Nord Pool è quello di trovare un prezzo ottimale dell’energia elettrica, cioè renda le energie rinnovabili le fonti più economiche e accessibili”, conclude Rabassi. 

Il ruolo del CFO nella transizione 

Qual è il ruolo del Chief Financial Officer (CFO) per realizzare la transizione verso modelli basati su un sistema a basse emissioni di CO2? È questa la domanda che Patrizia Celia pone a Fabrizio Palmucci, Senior Advisor della Climate Bonds Initiative. I CFO, infatti, hanno una rilevanza strategica nel raggiungimento del net zero, almeno per tre motivi. “In primo luogo, il CFO è importante perché essere un’azienda a basse emissioni di carbonio oggi assume una rilevanza finanziaria per le aziende. In secondo luogo, il CFO, in quanto custode della strategia aziendale, è responsabile del cambiamento che bisogna esercitare sul modello di business per realizzare la transizione. Infine, il CFO ha una relazione diretta e costante con gli investitori ed è quindi cruciale il modo in cui comunica loro la strategia ESG dell’azienda”, conclude Palmucci.