L’impegno verso le tematiche ESG e la corretta comunicazione dei propri obiettivi di sostenibilità coinvolge ormai tutte le società italiane, comprese le PMI. Anzi, secondo Angelo Meda, Portfolio Manager di Banor SIM, sono proprio le PMI a dover insistere in questo percorso, soprattutto nel miglioramento della comunicazione dei propri impatti sulla società e sull’ambiente, nonché delle proprie politiche di governance. Secondo Meda, infatti, le piccole e medie imprese spesso fanno meglio ma non hanno gli strumenti adeguati a rendere noti i propri progressi.
Banor SIM, società di gestione con oltre 10 miliardi di AuM, integra ormai in tutti i suoi prodotti i fattori di sostenibilità e si pone come obiettivo principale quello di sostenere le aziende nel loro percorso di investimento e di impegno in tutti gli ambiti della sostenibilità.
Come asset manager quali sono gli elementi che prendete in considerazione per valutare la sostenibilità di un’azienda?
La nostra filosofia di gestione ci impone di analizzare ogni caso aziendale dal punto di vista della sostenibilità. Per farlo, non ci basiamo solo su modelli quantitativi, società di rating o bilanci di sostenibilità: questi sono il punto di partenza, ma non quello di arrivo. Noi ci focalizziamo piuttosto sui punti di forza e di debolezza di ogni settore e di ciascuna azienda, per rispettare e tenere nella giusta considerazione tutte le diversità che emergono.
Dopodiché andiamo a vedere i piani a lungo e a breve termine dell’azienda. I piani a lungo termine sono necessari perché per raggiungere gli obiettivi legati agli aspetti ambientali, sociali o di governance (ESG), spesso ci vogliono anni. Tuttavia, anche i piani di breve periodo ricoprono un ruolo estremamente importante perché, di solito, l’amministratore delegato rimane in carica dai 3 ai 5 anni, ed è quindi fondamentale che porti a termine gli obiettivi che si è prefissato prima della scadenza del suo mandato.
Il nostro processo di analisi dell’impegno di un’azienda rispetto ai temi della sostenibilità è lungo e richiede tempo, perché non esiste un percorso unico. La fatica e il tempo vengono però ripagati perché in questo modo riusciamo a capire realmente quali sono le aziende che tengono nella dovuta considerazione i fattori di sostenibilità senza pensare soltanto alla propria immagine superficialmente.
Le variabili che esaminate sono soprattutto concentrate su obiettivi di decarbonizzazione?
Dipende dal settore che viene esaminato. La parte legata alla governance è il “cervello”, quindi la analizziamo per capire le procedure e l’attenzione che viene posta su queste tematiche. La “E” (Environmental) è la più facile da misurare ed è quella su cui fare valutazioni più oggettive. Infine, la parte social è più legata alla sensibilità del singolo analista, che esamina le procedure e le controversie in cui è coinvolta l’azienda. Tutte e tre le dimensioni sono ugualmente importanti.
Possiamo dare una stima di quanto queste variabili incidono sulla valutazione di un’azienda?
Tra la società migliore e quella peggiore l’impatto in termini di ritorno atteso è del 20% circa, all’interno dello stesso settore e a parità di parametri. Tecnincamente questo significa un aumento del costo dell’equity di un punto percentuale circa.
Prevedete delle esclusioni?
La politica di esclusione è sul tema delle controversie, abbiamo una lista di una ventina di società escluse perché hanno delle controversie troppo estese, Russia inclusa perché non rispetta i principi dell’Onu. Ma ci sono anche, ad esempio, società minerarie in Sud America, società Usa che si sono macchiate di crimini contro i dipendenti e altro. Tuttavia, non escludiamo a livello settoriale, a meno che non sia il cliente a chiederlo perché vuole seguire determinati filtri etici (ad esempio l’esclusione dei titoli del tabacco o degli alcolici).
La capacità di definire una strategia contro il cambiamento climatico è al centro dell’attenzione. Come le sembra che le società italiane stiano affrontando la questione?
Credo che le società più grandi abbiano delle idee chiare nel percorso verso la decarbonizzazione. Le società più piccole sono arrivate da poco e c’è stata una rapida accelerazione del loro ingresso in seguito allo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina. È risultato evidente che le società che hanno già piani di decarbonizzazione o di riduzione dei consumi, sono anche quelle che riescono a gestire meglio la crisi energetica che stiamo affrontando. Quindi, investire su questi temi non è stata solo una “pennellata di verde”, ma ha aggiunto un vantaggio competitivo.
Nella vostra attività di engagement, vi è capitato di spingere società verso il progresso?
Ci è capitato di spingere delle piccole società a fare un piano sia a breve che a lungo termine per la riduzione delle emissioni. Tuttavia, mi preme sottolineare che il nostro engagement tende ad essere più collaborativo che aggressivo, distinguendo le grandi aziende dalle piccole. Nelle società più piccole, dove c’è un solo azionista di riferimento, cerchiamo di metterlo a conoscenza di queste tematiche e di collaborare con lui per fissare gli obiettivi.
Le tematiche sociali stanno diventano sempre più importanti, come le analizzate nei vostri modelli?
In questo caso è l’analista, che conosce meglio le società, ad analizzare il loro impegno rispetto alle tematiche sociali. L’analisi viene condotta su due filoni: quello interno all’azienda, che riguarda i dipendenti; quello esterno all’azienda, ovvero il suo impatto sulla società. Il concetto di impatto varia a seconda del settore, ad esempio per quello energetico spesso si analizza come l’azienda ingaggia le comunità locali.
Il nostro metodo si basa su una ricerca di fonti esterne, successivamente analizziamo le notizie sulle società oggetto di valutazione.
L’economia è una scienza sociale e le tematiche sociali sono troppo difficili da tradurre in numeri, quindi procediamo con un’analisi qualitativa.
Gli indicatori numerici, come ad esempio la differenza salariale tra uomini e donne, sono dei punti di partenza della nostra analisi, ma non di arrivo. È necessario poi analizzare caso per caso per non irrigidire i risultati della valutazione di un’azienda rispetto ai temi sociali.
Siamo sommersi dai dati. Quali sono i vostri suggerimenti per le imprese per comunicarli nel modo più opportuno?
Sposiamo l’idea di comunicare pochi dati ma significativi. Siamo sommersi e non è possibile una standardizzazione. Per questo motivo, consigliamo di identificare da 3 a 5 fattori numerici che si vogliono comunicare al mercato e sui quali si vuole prendere un impegno. Dopodiché il nostro obiettivo è quello di intervenire e giudicare se gli indicatori sono completi e corretti, attivando l’engagement e il confronto. Il nostro obiettivo è quello di trovare una chiave di lettura per questi indicatori, che dovrebbero poi anche essere un tema di analisi da parte del Consiglio di Amministrazione. Ho visto raramente Consigli di Amministrazione dotati di un comitato su queste tematiche, sarebbe bene che invece questa analisi venisse fatta per consigliare la società sui miglioramenti da mettere in atto per raggiungere gli obiettivi.
Due indicatori che non dovrebbero mancare e che valgono per tutti i settori?
Il tema ambientale è chiave, per cui i dati sulle emissioni saranno sempre più importanti. Per comunicarli in modo corretto e trovare la giusta chiave di lettura, però, le aziende dovrebbero farsi aiutare sempre di più da società specializzate, vedendo questo impegno come un investimento e non come una spesa.
Per società specializzate non intendo tanto le società di revisione, che tendono a dare il risultato senza la chiave di lettura strategica, ma piuttosto i consulenti specializzati, che non solo fanno la misurazione ma guardano anche soprattutto all’impatto. Dotarsi di questa consulenza permette alle società di avere poi un vantaggio competitivo e dei benefici.
In Italia questi consulenti specializzati da chi sono rappresentati?
Sono soprattutto società di consulenza francesi e tedesche. Si stanno creando delle figure specializzate sulla consulenza per l’analisi del rischio climatico, che loro chiamano rischio di esternalità. Lavorano sulla misurazione appoggiandosi alle società di revisione, poi interpretano i dati e forniscono consulenze.
Sul fronte della sostenibilità quale distinzione bisogna fare tra società di maggiori dimensioni e piccole e medie imprese?
Le società di grandi dimensioni comunicano molto bene i successi ottenuti. Le PMI, invece, spesso fanno meglio ma non sono in grado di comunicarlo in modo ugualmente efficace. Quindi, il consiglio è rendere partecipi tutti gli stakeholder dei successi ottenuti.
Anche le società dell’AIM?
Soprattutto le società dell’AIM (Alternative Investment Market), perché saranno le “star” del futuro. Le Pmi dell’AIM sono aziende che vogliono crescere e arrivare nel listino principale, quindi arrivare pronte è fondamentale.
Quanto è importante saper comunicare?
È fondamentale comunicare a tutti gli stakeholder – clienti, fornitori e dipendenti – oltre che al mercato.