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I fondi pensione britannici criticano i dirigenti di BP e Shell per gli obiettivi climatici

Continua la stretta degli istituti finanziari sulle società del settore dei combustibili fossili. Due dei più grandi schemi pensionistici del Regno Unito hanno dichiarato che voteranno contro il rinnovo dei vertici di BP (British Petroleum) e Shell – in occasione delle loro assemblee annuali – a meno che entrambe le società non rafforzino gli impegni per affrontare le emissioni di carbonio, secondo quanto riportato dal Financial Times.

La decisione dell’Universities Superannuation Scheme e del Borders to Coast, che insieme gestiscono un patrimonio di 130 miliardi di sterline, rientra nei più ampi sforzi dei due fondi pensione volti a spingere le compagnie petrolifere e le banche a compiere progressi più rapidi nell’ambito degli impegni sul cambiamento climatico.

In una dichiarazione a Reuters, l’Universities Superannuation Scheme ha dichiarato che la nuova politica di stewardship e di voto che metterà in atto sarà rivolta a votare in modo più attivo contro gli amministratori responsabili, laddove una società non avrà reso noto il suo piano di transizione climatica o quando non soddisfa le aspettative di diversità o quando la retribuzione dei dirigenti non è in linea con i risultati dell’azienda.

Al momento né Shell né BP hanno riportato dei commenti sulla decisione dei fondi pensione. A febbraio, BP aveva dichiarato di voler ridurre le emissioni dei carburanti venduti ai clienti del 20-30% entro il 2030, meno di un precedente obiettivo di riduzione del 35-40%, e di voler ridurre le proprie emissioni totali a zero entro il 2050. Anche Shell si è impegnata a diventare un’azienda a zero emissioni di carbonio entro il 2050 e ha dichiarato che le sue emissioni complessive di carbonio hanno raggiunto il picco nel 2018 a circa 1,7 miliardi di tonnellate.

La pressione dei fondi pensione sulle società del settore dei combustibili fossili non è la sola. Shell, ad esempio, negli ultimi mesi è finita nel mirino di diverse ONG ambientaliste con l’accusa di avere una strategia climatica troppo debole o, addirittura, di gonfiare i risultati dei propri investimenti nelle rinnovabili.