Il 95% delle 250 maggiori aziende mondiali per il fatturato ha fissato e pubblica i propri obiettivi di riduzione delle emissioni di carbonio, mentre il 56% ha un responsabile della sostenibilità. Inoltre, quasi un terzo delle 100 principali aziende al mondo considera la sostenibilità nei sistemi di remunerazione del management, valore che sale al 41% considerando il gruppo delle 250. Sono questi alcuni dei dati che emergono dall’indagine di KPMG Sustainability Reporting 2024, ricerca che offre un’analisi dei progressi attuali in ambito di reporting di sostenibilità delle più grandi aziende del mondo.
Lanciata per la prima volta nel 1993 e pubblicata ogni due anni, l’indagine KPMG Sustainability Reporting fornisce un’analisi dei report di sostenibilità di 5.800 aziende in 58 paesi e giurisdizioni. L’analisi include dati sulle 100 principali aziende mondiali (N100) per i singoli paesi analizzati e sulle 250 maggiori aziende mondiali per fatturato (G250) sulla base delle classifiche Fortune 500 del 2023.
Con l’obbligo di rendicontazione della sostenibilità, ormai imminente, lo studio di KPMG rivela che le più grandi aziende del mondo stanno adottando un approccio proattivo, con il 96% delle 250 maggiori imprese (e il 29% delle 100 aziende principali al mondo) che pubblicano un’informativa di sostenibilità, includendo nella propria prospettiva anche i target di riduzione delle emissioni di carbonio.
Stando all’analisi, alcune aziende hanno già modificato le loro prassi di reporting in vista del passaggio alla rendicontazione obbligatoria sulla sostenibilità ai sensi della CSRD dell’UE che quest’anno riguarderà solo le imprese di grandi dimensioni, ma la cui applicazione sarà progressivamente ampliata a tutte le attività aziendali entro il 2029. E infatti, alcune aziende, principalmente con sede in Europa o con attività in Europa, hanno iniziato un percorso per essere pronte a rispondere alla CSRD, per esempio esempio fornendo una prima disclosure sull’analisi di doppia materialità. Inoltre, quasi la metà delle aziende europee nella ricerca ha già rendicontato gli indicatori previsti dalla Tassonomia UE.
Doppia materialità
Per quanto riguarda l’analisi di doppia materialità, il 78% delle maggiori aziende G250 l’ha già integrata e valuta quindi sia gli impatti delle attività aziendali su società e ambiente sia come i rischi e le opportunità a questi associati influenzano le performance finanziarie dell’azienda.
Attualmente, il 45% delle aziende europee effettua la valutazione seguendo i criteri della doppia materialità, una percentuale che probabilmente aumenterà con l’introduzione obbligatoria prevista dal CSRD nei prossimi anni. Considerando diverse aree del mondo, il Nord America è quella con la percentuale di adozione più bassa, con solo il 25% delle imprese in media che ha integrato questo tipo di analisi.
ESRS vs tassonomia UE
La tassonomia UE è più utilizzata rispetto agli ESRS, con il 14% delle aziende G250 e il 22% delle aziende N100 che rendicontano seguendone i criteri in tutto il mondo. Percentuale che sale, considerando entrambi i cluster, al 12% e al 45% in media in Europa.
In particolare, più della metà delle aziende N100 nei paesi dell’UE (Germania, Italia, Portogallo, Romania, Spagna e Svezia) utilizza la tassonomia. Mentre non vale lo stesso per gli ESRS che, al netto della Spagna (66%), vengono utilizzati da molto meno della metà.
Tra i Paesi non UE il 79% delle aziende N100 in Islanda rendiconta secondo la tassonomia UE percentuale che invece scende all’11% delle aziende N100 del Regno Unito e il 9% di quelle in Svizzera nonostante la medesima vicinanza della prima ai paesi dell’UE.
GRI e SABS sono ampiamente utilizzati
In generali, le linee guida e gli standard volontari rimangono ampiamente utilizzati. Il GRI rimane lo standard più diffuso, con tre quarti delle aziende G250 che lo utilizzano e una proporzione quasi altrettanto alta dei gruppi N100. Ci sono stati aumenti maggiori nell’uso sia del SASB che delle linee guida delle borse valori negli ultimi due anni, sebbene da basi inferiori. La loro adozione varia significativamente per paese e regione, con tutte le aziende intervistate in Arabia Saudita che utilizzano le linee guida della loro borsa valori locale e due terzi di quelle nelle Americhe che utilizzano il SASB.
Il GRI rimane lo standard più diffuso, con tre quarti delle aziende G250 che lo utilizzano e una proporzione quasi altrettanto alta dei gruppi N100. Ci sono stati aumenti maggiori nell’uso sia del SASB che delle linee guida delle borse valori negli ultimi due anni, sebbene da basi inferiori. La loro adozione varia per paese e regione, con tutte le aziende intervistate in Arabia Saudita che utilizzano le linee guida della loro borsa valori locale e due terzi di quelle nelle Americhe che utilizzano il SASB.
Infatti, gli standard stabiliti dal Sustainability Accounting Standards Board (SASB) sono aumentati in popolarità sia tra le aziende G250, passando dal 49% nel 2022 al 56% attuale, sia tra i gruppi N100 più ampi, salendo dal 33% di due anni fa al 41%. Le aziende che utilizzano gli standard SASB sono meglio preparate per soddisfare anche gli standard ISSB, in particolare se seguono anche le raccomandazioni TCFD.
Gli standard SASB sono utilizzati dal 67% delle aziende nelle Americhe, quasi il doppio della proporzione in qualsiasi altra regione, inclusi oltre il 70% delle aziende N100 in Brasile, Canada, Cile e Stati Uniti. Al di fuori delle Americhe, le aziende a Taiwan (96%), Corea del Sud (86%) e Irlanda (65%) sono più propense rispetto ad altre a fare uso degli standard SASB.
Dal report emerge inoltre che la proporzione di aziende che utilizzano gli standard o le linee guida pubblicate dalle borse valori è aumentata significativamente dal 2022, sebbene restino meno utilizzati rispetto al GRI e al SASB. Gli standard delle borse valori sono utilizzati da una proporzione maggiore di aziende nei gruppi nazionali N100, pari al 31% quest’anno rispetto al 23% nel 2022, percentuale superiore anche al campione globale G250 che si attesta al 28% (comunque in aumento rispetto al 23% di due anni fa).
Gli standard o le linee guida delle borse valori sono più comunemente utilizzati dove le borse locali hanno stabilito tali requisiti. Sono popolari in Medio Oriente e Africa, dove il 62% delle aziende intervistate li utilizza, seguiti dal 47% delle aziende nell’Asia Pacifico. Tuttavia, meno di un quinto delle aziende li ha adottati nelle Americhe, dove l’uso del SASB è più forte, e in Europa, dove l’uso della CSRD diventerà presto obbligatorio. Più dell’80% delle aziende in Cina, India, Malesia (99%), Arabia Saudita (100%), Singapore, Sud Africa e Emirati Arabi Uniti utilizzano gli standard o le linee guida delle borse valori.
Biodiversità
La rendicontazione sulla biodiversità continua ad aumentare. Circa la metà sia dei gruppi G250 che N100 ora riportano sulla biodiversità, rispetto a circa un quarto quattro anni fa, sebbene la crescita sia stata più lenta negli ultimi due anni. Le differenze significative tra le regioni sui tassi di adozione riscontrate due anni fa si sono ridotte da allora, con le aziende in Medio Oriente e Africa che si avvicinano alla media globale.
In particolare, Paesi Bassi (83%), Giappone (80%) e Brasile (76%) hanno la percentuale più alta di aziende che riportano sulla biodiversità. Estonia, Italia e Vietnam hanno i livelli più bassi di rendicontazione sulla biodiversità, con meno di un quinto delle aziende campionate che lo fanno.
I settori più propensi ad avere impatti diretti significativi sulla biodiversità e gli ambienti locali sono anche quelli che in media sono più trasparenti e rendicontano su tali temi con il 68% delle aziende minerarie nei campioni N100, il 62% di quelle nel settore petrolifero e del gas e il 55% di quelle nel settore della carta e della foresta che lo fanno. I settori meno propensi a riportare sulla biodiversità sono la sanità (36%) e il trasporto e tempo libero (37%).
Adozione del TCFD
L’adozione delle raccomandazioni del TCFD continua a crescere. Quasi tre quarti delle aziende G250 riportano i rischi climatici in linea con le richieste della Task Force on Climate-Related Financial Disclosures.
Il Task Force on Climate-related Financial Disclosures (TCFD) ha sviluppato un framework progettato per aiutare le organizzazioni a migliorare la divulgazione dei rischi e delle opportunità legate al cambiamento climatico. Il lavoro del TCFD ha portato a un’adozione diffusa del suo framework da parte delle aziende, che è aumentata ulteriormente negli ultimi due anni.
La proporzione di aziende che rendicontano i rischi climatici in linea con le raccomandazioni del TCFD è aumentata dal 61% nel 2022 al 72% quest’anno per le aziende G250 e dal 34% di due anni fa al 43% attuale per il gruppo N100. La rendicontazione TCFD è più diffusa nella regione dell’Asia del Pacifico, con il 54% delle aziende intervistate che la utilizza ora, rispetto al 34% nel 2022.
In particolare, tutte le aziende in Giappone intervistate riportano i rischi climatici in linea con le raccomandazioni del TCFD. La Malesia ha registrato un aumento significativo, passando dall’8% delle aziende che riportavano in linea con il TCFD due anni fa al 69% attuale. Un aumento significativo nella divulgazione TCFD da parte delle aziende negli Stati Uniti, dal 64% nel 2022 all’82% quest’anno, ha contribuito all’incremento del dato G250, dato che un terzo del gruppo ha sede negli Stati Uniti.
Aspetti sociali e governance
Nonostante alcuni progressi nella rendicontazione climatica, ci sono ancora passi avanti da fare, in particolare sugli aspetti sociali e di governance.
KPMG ha iniziato a monitorare i rischi sociali e di governance nell’edizione del 2022. L’indagine di quest’anno rileva che il 74% delle imprese del G250 riporta sui rischi sociali, rispetto al 49% di due anni fa, insieme al 51% di quelle del cluster N100 (in crescita rispetto al 43% nel 2022). La rendicontazione sui rischi di governance è cresciuta ancora più rapidamente e tra le aziende del G250 è ora più diffusa dei rischi climatici e sociali, con il 77%, in aumento di 33 punti percentuali rispetto al 2022, quando era il più basso dei tre con il 44%. Tra le imprese dell’N100, la rendicontazione sulla governance è passata dal 41% di due anni fa al 51% attuale.
La maggior parte delle aziende fornisce solo descrizioni narrative dei rischi potenziali legati agli impatti ESG. Solo il 12% delle aziende del G250 e il 14% delle aziende dell’N100 include una modellazione degli impatti potenziali dei rischi climatici utilizzando l’analisi degli scenari, mentre solo il 2% di entrambi i gruppi quantifica gli impatti finanziari potenziali. Le aziende in Europa e nella regione dell’Asia Pacifico fanno un maggiore uso della modellazione degli impatti, con percentuali rispettivamente del 16% e del 15%, mentre quelle del Nord America ne fanno il minor uso, con appena il 3%.
Responsabili nella sostenibilità e retribuzione
La percentuale di aziende con un responsabile della sostenibilità è in aumento. Più della metà delle aziende G250 ha ora un membro dedicato del consiglio di amministrazione o del team dirigenziale responsabile per le questioni legate alla sostenibilità, con il 56% nel 2024 rispetto al 45% nel 2022. Tra i gruppi N100, il 46% ha ora un leader dedicato alla sostenibilità, rispetto al 34% di due anni fa.
Le aziende nella regione Asia del Pacifico sono più inclini rispetto a quelle di altre regioni ad avere un responsabile ESG, con il 61% che lo fa, rispetto al 20% di quelle in Medio Oriente. Almeno l’80% delle aziende intervistate in Malesia, Corea del Sud, Taiwan, Thailandia (con il dato più alto al 94%) e Regno Unito ha un rappresentante.
Per le aziende G250, la retribuzione legata alla sostenibilità è aumentata di 1 punto percentuale dal 2022, con il 41% che lega la retribuzione dei membri del consiglio o del team dirigenziale alla performance in questo ambito. Le aziende N100 hanno registrato un aumento dal 24% nel 2022 al 30% nel 2024.
Includere la sostenibilità nei calcoli della retribuzione è più comune in Europa (34%) e nell’Asia del Pacifico (33%), e meno nel Medio Oriente con il 15%.
Focus: Italia
L’Italia è tra i Paesi con i più alti livelli di imprese N100 che fanno riferimento alla Tassonomia dell’UE (61%) e, insieme a Estonia e Vietnam, ha i livelli più bassi di rendicontazione della biodiversità, con meno di un quinto delle aziende campionate che rendicontano questa tematica in modo approfondito e con indicatori dedicati.