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L'opinione di Peter De Coensel di DPAM

Settore degli idrocarburi: lost in transition?

L’industria del petrolio e del gas è persa nella transizione? Noi crediamo di no. La scienza è stata il principale motore del suo successo: per questo motivo permettiamo che sia sempre lei a guidare la trasformazione del settore degli idrocarburi e condurci verso soluzioni d’investimento innovative e di successo oltre il 2050.  

Nel 2022, il mercato petrolifero globale si è riassestato ai livelli di domanda-offerta del periodo precedente alla pandemia, con un fragile equilibrio di circa 100 milioni di barili al giorno. Il prezzo medio trentennale del Brent si aggira intorno ai 75 dollari, ma nel 2022 esso è aumentato di circa il 30%, arrivando a 98 dollari. Lo scenario geopolitico destabilizza i mercati petroliferi, come dimostra l’aggressivo taglio della produzione di 1,2 mld dell’OPEC+ annunciato di recente, di cui la Russia rappresenta 500k milioni di barili al giorno. Nonostante ciò, gli osservatori notano una maggiore interconnessione e consistenti flussi di sostituzione tra le nazioni amiche per garantire l’approvvigionamento energetico e prevenire un altro ciclo di accelerazione dell’inflazione energetica. Negli ultimi due anni, le condizioni di mercato hanno portato a guadagni superiori alla media per le principali compagnie del settore petrolifero e del gas.

Gli investimenti complessivi nel settore rimangono inferiori ai livelli pre-COVID nonostante i guadagni record. L’EBITDA combinato di BP, Chevron, ExxonMobil, Shell e TotalEnergies è passato dai 178 miliardi di dollari del 2017 ai 332 miliardi del 2022, con un tasso di crescita annuali pari a circa l’11%. Ciò è in netto contrasto con il CAPEX combinato, che si è stabilizzato intorno ai 95 miliardi di dollari.  La differenziazione avvenuta tra il flusso di cassa operativo e CAPEX è stellare. In effetti, il CAPEX in percentuale del flusso di cassa operativo è diminuito in modo significativo. Nel periodo 2018-2022, le sei major europee (Shell, TotalEnergies, BP, Eni, Repsol ed Equinor) hanno restituito agli azionisti circa 240 miliardi di dollari sotto forma di dividendi e riacquisti (87 miliardi di dollari). Il loro CAPEX complessivo in termini assoluti è diminuito di quasi il 50% rispetto ai livelli del 2012-2013. Gli investimenti in soluzioni a basse emissioni di carbonio, dalla bioenergia ai biocarburanti, alla ricarica dei veicoli elettrici, alle energie rinnovabili, all’idrogeno o alla cattura e allo stoccaggio del carbonio, hanno oscillato tra il 7,5% e il 25% del CAPEX. L’obiettivo del CAPEX in alternative a basse emissioni di carbonio dovrebbe crescere fino a raggiungere una quota del 25% – 45% nei prossimi 3-5 anni. Tuttavia, tali ambizioni rivelano ancora che il CAPEX per la crescita della produzione petrolifera si mantiene tra il 30% e il 50% di quello totale.

Il “trilemma” del settore – bilanciare l’affidabilità energetica, l’accessibilità economica e la sostenibilità – non si riflette attualmente in modo adeguato nelle strategie commerciali delle major del settore petrolifero e del gas. Solo la sicurezza energetica e l’approvvigionamento al giusto prezzo vengono spinti attivamente. In effetti, agli attuali ritmi di produzione, le riserve di petrolio esistenti dureranno circa dieci anni. Ciò, unitamente alla lentezza degli investimenti in attività future caratterizzate da basse emissioni di carbonio, si traduce in una condizione che giustifica l’esplorazione di nuove riserve nel momento in cui i consumatori rimangono ancorati ai combustibili fossili. Il comportamento e la responsabilità dei consumatori sono parte della soluzione. La loro volontà di schierarsi a favore della sobrietà energetica e della predilezione -di fonti di energia non fossili è un catalizzatore per il cambiamento sul lato dell’offerta.

Ma per risolvere veramente il trilemma occorre anche salvaguardare gli investimenti al di là dell’offerta e della domanda di energia. L’approccio a breve termine si traduce in rischi finanziari più elevati nel medio e lungo periodo (ancora non valutati) dovuti all’impatto climatico con conseguenze importanti e che saranno difficili da valutare e mitigare. Pertanto, l’integrazione del terzo pilastro, ovvero la sostenibilità, consente un approccio più credibile e caratterizzato da effetti positivi a lungo termine.

Questo ci porta al settore dei servizi, in cui la crescita del CAPEX risulta quasi essere -in sincronia con quella dell’EBITDA. Soprattutto, la quasi totalità del flusso di cassa generato si riversa nel CAPEX per le energie rinnovabili e le reti. I servizi ricoprono un ruolo di primo piano nella transizione energetica. Il settore ha smesso di investire in centrali a carbone, riducendo al minimo anche la costruzione di centrali a gas. Questo dato invia un messaggio importante al settore degli idrocarburi. La transizione è una strategia e l’attivismo degli azionisti è un ingrediente necessario.

Il livello di crescita di emissioni di gas serra, ancora in aumento, deve essere ridotto e invertito in favore dell’adozione di strategie di decarbonizzazione credibili. In particolare, sebbene le attività delle major petrolifere siano responsabili di circa il 9%-10% della totalità dei gas serra  prodotti dall’uomo,, esse producono i combustibili che generano circa un terzo delle emissioni globali (ex-O&G). Per essere chiari, l’ambito 1 rappresenta l’8%, l’ambito 2 solo l’1% e l’ambito 3, sì, il 33% di cui sopra. L’ambito 3 è quindi molto rilevante.

Ciò significa che gli azionisti dovrebbero spingere per ottenere politiche climatiche significative e piani di riduzione delle emissioni in tutte le principali aziende petrolifere. La parità di condizioni per tutti può generare un impatto. L’inclusione dell’ambito 3 è essenziale per sostenere i migliori interessi a medio e lungo termine di tutti i nostri investimenti. Dall’upstream al midstream, fino al downstream, l’industria degli idrocarburi può ridurre le emissioni puntando a una maggiore efficienza nella perforazione (elettrificazione), a una riduzione delle perdite o del flaring (meno metano), a un aumento della cattura, dell’uso e dello stoccaggio del carbonio (CCUS) o alla promozione dell’idrogeno verde. Le opzioni per l’industria sono numerose.

Tuttavia, è bene ricordare che la domanda di combustibili fossili deve essere ridotta in modo aggressivo. Nell’ultimo decennio i costi di produzione delle energie rinnovabili si sono ridotti e continueranno a farlo. Entro il 2030, si stima che l’energia solare diventerà la fonte energetica più economica. Per rispondere al raddoppio della domanda di elettricità previsto entro il 2050, è necessario costruire reti efficienti e aventi grande capacità di stoccaggio. L’economia delle rinnovabili, legata a un panorama politico in continua evoluzione, sposta il rendimento del capitale proprio delle rinnovabili rispetto al costo del capitale dei combustibili fossili a favore delle prime, portando le aziende a rivedere le loro strategie tradizionali. Molti interessi contrastanti si trovano a un bivio.

L’industria del risparmio gestito è un facilitatore che guida il capitale verso il suo utilizzo migliore. Le prove scientifiche del cambiamento climatico causato dall’uomo sono note, e i rischi identificati e riconosciuti dal settore degli idrocarburi. È necessario supportare risoluzioni per spingere le major del settore petrolifero e del gas a modificare radicalmente le loro strategie di dividendo e le loro ambizioni strategiche complessive. L’applicazione di vere e proprie strategie di mitigazione del clima è diventata fondamentale.