È ormai evidente che, negli ultimi anni, il problema dei cambiamenti climatici sia diventato sempre più centrale per i governi e per l’opinione pubblica in generale, che spinge affinché le imprese adottino linee di business sempre più sostenibili. Uno degli ambiti che ha maggiormente beneficiato di questo trend è sicuramente quello dell’energia pulita, con le imprese attive in questo settore che hanno visto crescere costantemente il valore delle loro azioni. In particolare, il picco massimo è stato registrato nel 2020, con i mercati che hanno anticipato l’incremento della capacità produttiva che si è effettivamente verificata nel 2021. Tuttavia, da inizio 2022, l’esplosione del conflitto in Ucraina, l’aumento dell’inflazione, l’aumento dei costi delle materie prime e della logistica (soprattutto per quanto riguarda i trasporti navali) e i vari colli di bottiglia che si stanno creando nella catena di approvvigionamento hanno fatto registrare delle contrazioni anche nel mercato delle energie rinnovabili, tanto che alcuni stanno iniziando a metterne in dubbio la solidità e a chiedersi se in futuro sarà in grado di attrarre investimenti come ha fatto negli ultimi anni.
Per rispondere a questi interrogativi, LGIM ha pubblicato il suo Clean Energy Outlook, intitolato “Clean energy: What has driven YTD returns and where do we go from here?”, in cui si esaminano le ripercussioni che l’attuale scenario macroeconomico ha avuto e ha sul comparto renewables e in quali segmenti si possono ancora trovare eventuali opportunità di investimento.
Per quanto riguarda il primo punto, se si confrontano l’andamento del Solactive Clean Energy Index NTR da inizio anno a oggi e l’andamento del MSCI World NTR Index e del Nasdaq 100 Stock Index, rispetto al -20,5% del primo e del -29,5% del secondo, il Solactive Clean Energy Index ha ceduto “solamente” del 13,9%. Sebbene questi dati non rappresentino una garanzia per le performance future del settore, mostrano come questo stia resistendo alle attuali condizioni economiche avverse meglio di altri mercati, anche grazie al supporto che riceve da parte di numerosi governi.
Il quadro delineato porta a pensare che gli ostacoli che la transizione verso l’energia green sta affrontando non dovrebbero avere una lunga durata; tuttavia, gli investitori continuano comunque a chiedersi come gestire i loro portafogli di investimento fino a quando la tempesta non sarà passata. Secondo la nostra analisi, per rispondere è necessario suddividere i player di questo mercato in tre differenti categorie:
- I produttori di apparecchiature originali (o OEM)
- Le utility company e i produttori indipendenti (IPP)
- I fornitori di componenti e di servizi
La prima di queste tre categorie è senza dubbio quella che ha subito e subisce maggiormente la situazione attuale. Se si esamina un OEM attivo nel segmento dell’energia solare, questo si ritroverà a dover fare i conti con il prezzo maggiorato dei suoi prodotti, dovuto alla mancanza dai materie prime e in particolare di silicio policristallino (o polisilicio), ma soprattutto dovrà affrontare l’escalation della tensione tra Stati Uniti e Cina, in merito alle importazioni di celle solari fotovoltaiche, che ha fatto aumentare l’incertezza sui paesi coinvolti e in particolar modo sul secondo, dove il solare dovrebbe arrivare a rappresentare il 49% di tutto il mix energetico entro il 2045. Esistono tuttavia dei casi virtuosi, come le cinesi Jinko, Longi, Trina o la canadese Solar, che negli ultimi anni hanno significativamente aumentato le loro riserve di magazzino di prodotti finiti, trovandosi oggi meno esposti alla mancanza di materie prime e quindi meglio posizionati.
Se, invece, si considera un OEM attivo nell’eolico, questo si ritrova in una situazione ancora peggiore, in quanto la guerra, i problemi sulla supply chain, l’inflazione e il conseguente aumento dei tassi d’interesse hanno ripercussioni particolarmente negative su questo settore. In particolare, il conflitto tra Russia e Ucraina e le politiche particolarmente restrittive della Cina per il contenimento del Covid-19 hanno fatto aumentare i costi legati alla logistica e, soprattutto, il prezzo dell’acciaio, il quale determina circa l’84% del costo complessivo delle turbine onshore, le quali, a loro volta, rappresentano tra il 64% e l’84% di un intero parco eolico. Inoltre, mentre un progetto basato sul solare richiede circa un anno per essere avviato, uno connesso al vento potrebbe veder passare anche cinque anni tra la presentazione e l’inizio dei lavori.
Se tra gli OEM, è importante fare un processo di ricerca attiva per trovare i casi virtuosi, per le utility company e gli IPP, questa è addirittura imprescindibile. Infatti, questo sottosettore presenta al suo interno un’elevata volatilità dei rendimenti, determinata principalmente da quanto un player è legato alla Russia e/o all’Ucraina e, più in generale, in quale area geografica opera. Per fare alcuni esempi, Eon ha subito ripercussioni negative dopo il taglio delle sue attività in Russia, mentre Scatec ha dovuto affrontare i danni riportati dai suoi impianti un Ucraina. Infine, ci sono realtà che non hanno attività o capitali in questi due paesi, ma che adottano un sistema basato sulla tariffa fissa, che impedisce loro di scaricare sugli utenti i costi più alti e le porta a subire maggiormente gli eventuali tetti ai prezzi che alcuni governi hanno imposto. Tuttavia, soprattutto tra le utility company, è possibile individuare delle società che sono riuscite a ottenere ottime performance, come PNE AG e Energiekontor.
Il comparto dei fornitori di componenti e di servizi legati all’energia pulita, a nostro avviso, presenta opportunità di investimento, in quanto sono molteplici le realtà che, da inizio anno, hanno fatto registrare rendimenti positivi, pur avendo a che fare con colli di bottiglia, inflazione e tutte le altre problematiche già espresse in precedenza. Fugro, per esempio, ha fatto registrare rendimenti a due cifre YTD, in quanto è riuscita a beneficiare sia dell’aumento dei prezzi di gas e petrolio, sia della spinta che questo ha dato al comparto rinnovabili, portando il quantitativo di ordini a livelli pre-pandemia. Worley ha ottenuto lo stesso risultato, grazie alle sue attività nel campo dell’idrogeno e ai sistemi di cattura e immagazzinamento di CO2, che le hanno permesso di aggiudicarsi numerosi progetti. Sebbene i player di questo segmento abbiano aspettative più rosee rispetto ai due visti in precedenza, un investitore attento dovrebbe comunque fare una distinzione e prediligere quelle imprese che sfruttano i rendimenti più elevati, legati all’aumento dei prezzi di greggio e gas, per investire ancora di più nel sostenibile e nella transizione energetica. Infatti, l’Agenzia Internazionale per l’Energia riporta che nel 2022 il reddito netto da petrolio e gas sarà 2,5 volte superiore alla media dei cinque anni precedenti; abbastanza per coprire quanto servirebbe per raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni nette entro il 2050. È evidente, che quelle imprese che dovessero iniziare già da oggi queste operazioni, puntando su idrogeno verde e biocombustibili, diventeranno le protagoniste di questa autentica rivoluzione.