Diventare un hub specializzato nella consulenza alle piccole e medie imprese sulle tematiche ESG, a partire dalle necessità relative alla rendicontazione delle proprie dimensioni ambientali, sociali e di governance, ma affiancandole in tutto il processo necessario ad adattare il proprio modello di business a questi temi. È questo l’obiettivo di Soluzioni Sostenibili, società benefit nata a Napoli su iniziativa di sette professionisti con competenze complementari in ambito contabile-gestionale, accomunati dall’esperienza maturata in oltre 30 anni di esercizio e dalla convinzione che i commercialisti siano chiamati a giocare un ruolo fondamentale nell’accompagnare le aziende nel percorso di transizione sostenibile e di adempimento degli obblighi normativi in ambito ESG.
Con l’entrata in vigore della CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) il prossimo gennaio, solo in Lombardia, sono oltre 3000 le aziende che saranno chiamate a rendicontare sugli aspetti di sostenibilità, senza considerare quelle che, pur se non incluse nella direttiva, saranno assorbite dal fermento normativo in quanto fornitori delle imprese che rientrano negli obblighi.
Aumenta, dunque, la domanda di consulenti con competenze ESG, ma l’offerta non sembra essere adeguata con solo l’1% dei commercialisti formati e preparati sul tema. Fattore che ha spinto Soluzioni Sostenibili ad aprire una sede anche a Milano e a proporsi sul mercato come partner di altri studi di commercialisti ben avviati che, tuttavia, non hanno ancora maturato al proprio interno l’expertise in ambito di sostenibilità e che quindi non sono in grado di assistere i propri clienti sulle tematiche ambientali, sociali e di governance e su tutta la loro rendicontazione.
Esperti di analisi e gestione del rischio d’impresa, Alfredo D’Angelo ed Emmanuela Saggese, due dei componenti del Consiglio di Amministrazione della società Soluzioni Sostenibili società Benefit s.r.l., sono convinti che integrare la sostenibilità nella propria strategia industriale significhi oggi garantire al proprio business un vantaggio competitivo e dimostrare di aver compreso l’urgenza delle istanze climatiche e sociali. In questa intervista spiegano come affrontare la necessità di incorporare nell’equazione del profitto i rischi relativi alle variabili ESG per poter garantire la continuità dell’attività imprenditoriale.
Quali sono a vostro avviso le priorità per le aziende che vogliono avvicinarsi a un modello di business sostenibile?
È necessario un cambiamento culturale del modo di fare business e di svolgere la propria attività. Un’azienda che voglia realmente avvicinarsi a un approccio ESG dovrà in primo luogo ridisegnare la propria visione e inserire nell’ambito della mission societaria la sostenibilità come principio e valore cardine. Questo implica a cascata una serie di azioni che partono dall’analisi dei processi aziendali, al fine di poterli rivedere in ottica di ottimizzazione delle risorse e quindi di economia circolare, e comprendono il coinvolgimento degli stakeholder. Da questo punto di vista recepire le istanze della sostenibilità in azienda segna un passaggio epocale da una visione di governance direttiva a una inclusiva, che considera l’ambiente nella propria equazione e si interfaccia con tutti i portatori di interesse, condivide idee e risultati e definisce in maniera congiunta gli obiettivi. Ciò non significa mettere da parte il raggiungimento degli scopi aziendali e del profitto, ma farlo tenendo conto di quanto la propria attività impatta sull’ambiente e sugli individui.
È importante che le aziende comprendano come questo modello di business non implichi solo un costo di adeguamento, bensì rappresenti un’opportunità. Per fare un esempio concreto, tenere in conto del benessere dei propri dipendenti ha un impatto diretto sulla qualità del lavoro e a lungo termine sulla redditività. Rendere partecipi gli stakeholder tende ad aumentare il senso di appartenenza alla mission aziendale e migliorare le relazioni. Non sentirsi pedine di una scacchiera già decisa, bensì attori determinanti del successo imprenditoriale favorisce il progresso e la propensione all’innovazione e a nuove idee che possono poi anche trasformarsi in nuove linee di business, quindi ricavi, e/o evoluzione del proprio prodotto o servizio.
In quest’ottica, la sostenibilità emerge come priorità in quanto è uno dei fattori principali (se non l’elemento cardine) per assicurare la cosiddetta business continuity, ossia la continuità operativa di un’azienda, dunque, la capacità di restare competitiva sul mercato. Inoltre, è impensabile oggi, considerando anche il fermento normativo in atto, non comprendere la rilevanza delle dimensioni ESG e non adeguarsi agli stimoli (e ormai per molte aziende obblighi) provenienti dalle direttive europee, non ultima la CSRD.
Cosa cambierà per le imprese con l’entrata in vigore della CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive)? Sono pronte?
La CSRD, approvata a novembre 2022 entrerà in vigore a gennaio 2024 ed estenderà l’obbligo della rendicontazione in campo ESG. Innanzitutto, amplierà il numero delle aziende obbligate a rendicontare sugli aspetti di sostenibilità in maniera integrata rispetto alla strategia industriale ed avrà impatti indiretti anche su quelle imprese di dimensioni minori che, pur se non incluse nella direttiva, fanno parte della catena di approvvigionamento di quelle comprese.
Riteniamo che ad oggi le imprese non siano adeguatamente preparate e pertanto debbano essere supportate da professionisti specializzati in materia poiché è irragionevole pensare, data la vastità delle questioni, che se ne possa occupare l’imprenditore – soprattutto in riferimento alle piccole e medie imprese. È prevista una proporzionalità degli standard di rendicontazione, anche se l’EFRAG non ha ancora fissato le regole per le PMI. Rispetto ai primi standard già approvati sarà necessaria una semplificazione in termini di onerosità, non qualitativa, ma applicativa.
In ogni caso, nonostante le sfide, l’adeguamento alla CSRD porterà senza dubbio a una maggiore trasparenza, proprio perché tenderà a normalizzare anche per le piccole la divulgazione delle informazioni in ambito ambientale, sociale e di governance.
In questo contesto quali sono i professionisti che possono aiutare le imprese al cambiamento?
Sicuramente i commercialisti ricopriranno un ruolo fondamentale, perché già si occupano di rendicontazione e hanno ampia competenza nell’analisi e nella gestione del rischio d’impresa in cui rientrano anche le dimensioni ESG. Ci riferiamo ai commercialisti formati in ambito di sostenibilità, aspetto su cui il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili ha puntato i riflettori di recente.
La figura del commercialista sarà chiamata a lavorare in concerto con tecnici, ingegneri, analisti di footprint e sustainability manager. Ciascuno ha il proprio ruolo da giocare nella partita della sostenibilità dal momento che occuparsi di questi temi significa ampliare la visione delle attività aziendali e includere elementi differenti tra loro tra cui l’analisi e il monitoraggio dell’uso delle risorse naturali e umane, le valutazioni in ambito di efficienza energetica e aspetti organizzativi. I commercialisti, con la loro visione a 360 gradi delle attività aziendali, dovranno poi tirare le somme.
Esiste un attestato che certifichi che il commercialista sia formato? Come fa un cliente a capirlo?
No, al momento non esiste un elenco di commercialisti formati in tale ambito. Ma riteniamo che la complessità delle tematiche ESG, ricche di interconnessioni, presuppone una nuova consapevolezza da parte del professionista, che si acquisisce solo con la reale conoscenza dei temi. Pertanto, questa è la bussola per un cliente che può facilmente riconoscere un consulente formato.
Quali sono le caratteristiche distintive di una realtà come Soluzioni Sostenibili?
Siamo sette soci ciascuno con competenze differenti, ma accomunati dall’esperienza maturata in oltre 30 anni di carriera. Negli ultimi anni abbiamo intuito che quello della sostenibilità sarebbe stato uno tsunami pronto a colpire anche i nostri clienti e, al contempo, abbiamo riconosciuto il servizio che potevamo offrire alle imprese di cui ci occupiamo. Il nostro punto di forza è stato poi comprendere l’importanza delle relazioni per affrontare questa sfida ed essere di reale supporto all’azienda. A partire, per esempio, dal calcolo delle emissioni, ci siamo dotati di strumenti nuovi tramite l’ausilio di esperti.
Inoltre, quello che ci spinge è un reale commitment ai temi ESG. Da questo punto di vista, anche il nostro lavoro acquisisce un valore diverso, volto alla comunità in senso ampio. Supportare le aziende nella transizione sostenibile significa accompagnare il sistema verso una trasformazione necessaria per lasciare un Pianeta vivibile alle future generazioni. Attraverso il nostro operato, quindi, dedichiamo il nostro tempo a qualcosa che garantisce non solo un ritorno in termini finanziari per noi e per le nostre famiglie, ma anche soddisfazione di impiegare le giornate in qualcosa di utile e buono per il mondo.
Come mai avete creato un team specializzato nella sostenibilità?
In primo luogo, abbiamo capito che integrare la sostenibilità rappresenta un vantaggio competitivo a lungo termine per le imprese. Inoltre, la domanda di consulenti con competenze ESG è aumentata, ma l’offerta non è adeguata.
I commercialisti sono preparati alla trasformazione in arrivo e hanno compreso la portata del cambiamento?
Se guardiamo solo alla Lombardia, sono oltre 3000 le aziende che saranno sottoposte agli obblighi di rendicontazione ESG l’anno prossimo, ma il numero dei commercialisti formati è circa l’1%, molto inferiore rispetto alle necessità. E questa fotografia vale per tutto il territorio nazionale.
Inoltre, il divario tra domanda e offerta non potrà essere colmato nel breve periodo dal momento che la formazione per i commercialisti in ambito sostenibilità dura minimo 12 mesi con frequenza costante di corsi preparatori, mentre gli obblighi di rendicontazione scattano a inizio gennaio.
Importante poi considerare che sono materie su cui bisogna sempre restare aggiornati, ma è una necessità a cui noi commercialisti siamo abituati.
Quali sono i benefici per le aziende di incorporare la sostenibilità nel proprio modello di business?
Tra i benefici principali ci sono la capacità di essere resilienti al nuovo contesto, sia economico che ambientale, in cui le imprese operano oggi e di riuscire a mantenere la competitività nel lungo periodo. Sicuramente poi, abbracciare la filosofia della sostenibilità significa riuscire a fidelizzare i clienti giovani, attenti agli impatti dell’azienda sul territorio e sensibili a queste tematiche perché colpiti in prima persona dagli effetti negativi che il vecchio modello ha avuto.
Integrare la sostenibilità nella propria strategia industriale significa accogliere l’innovazione e giovare delle potenzialità che ne derivano anche in termini di accesso ai nuovi mercati. Significa, inoltre, dimostrare di aver compreso l’urgenza delle istanze climatiche e sociali e la necessità di incorporare i rischi a esse legati nella propria equazione del profitto per poter garantire la continuità del proprio business. Tale approccio determina alla fine vantaggi anche in termini di reputazione e fiducia.
Come rispondere alle aziende che hanno timore di vedere un incremento dei costi e degli adempimenti?
L’analisi iniziale della propria attività, che il percorso di integrazione degli elementi ambientali sociali e di governance prevede, permette di rendersi conto degli sprechi e delle inefficienze dell’azienda e quindi di abbattere i costi nel lungo periodo. Per esempio, la crisi energetica dell’anno scorso e il conseguente rincaro ha dimostrato il vantaggio conseguito da chi con lungimiranza aveva già investito in energie rinnovabili. Inoltre, come detto, gli investimenti in innovazione possono innescare lo sviluppo di nuove linee di business e quindi nuovi ricavi e maggiore produttività.
Ma soprattutto, è importante comprendere che le risorse non sono infinite e stanno terminando. Nessuna azienda potrà fuggire a questo destino, nemmeno grandi colossi come la Apple. I componenti dell’iphone, per esempio, utilizzano alcuni elementi presenti in natura che nel giro di 20 anni potrebbero sparire. È quindi nell’interesse della big di Cupertino affrontare questa sfida, innovarsi e probabilmente convertirsi a un approccio circolare.