Impatto

Ninety One: gli asset manager sono pronti a finanziare una transizione verso il net zero?

Per il 60% degli asset owner il contrasto al cambiamento climatico è uno degli obiettivi strategici del proprio fondo e il 51% afferma che questo ha obiettivi di riduzione delle emissioni. Solo il 19%, però, dice di ricorrere alla transition finance. Sono i principali risultati del Planetary Pulse Report annuale di Ninety One, dal titolo “The rise of transition finance”, che si sofferma sul tema della finanza di transizione, su cosa significhi per i proprietari di asset e sul suo ruolo nell’evitare un cambiamento climatico dannoso.

Lo studio ha intervistato 300 professionisti senior nel Regno Unito, in Africa meridionale (Sud Africa, Botswana e Namibia), Asia Pacifico (Hong Kong, Singapore e Australia), Europa occidentale (Germania, Paesi Bassi, Danimarca e Svizzera) e Nord America (Canada e Stati Uniti), presso fondi pensione, compagnie di assicurazione, dotazioni finanziarie, fondazioni, banche centrali e fondi sovrani.

La finanza di transizione è un approccio di investimento che si concentra sull’impatto nel mondo reale per far sì che una società partecipata realizzi una strategia orientata al cambiamento climatico. Il suo obiettivo è aiutare a ridurre le emissioni di carbonio ottenendo allo stesso tempo rendimenti interessanti e può portare a:

  • Investimenti in alcuni dei settori più sfidanti in modo che chi emette alti rendimenti riceva il capitale e l’influenza di cui ha bisogno per trasformare le proprie operazioni;
  • Investimenti in innovazioni e progetti che inizialmente potrebbero non essere redditizi;
  • Finanziamento di vaste trasformazioni infrastrutturali;
  • Aumento dell’esposizione ai mercati emergenti, dove le emissioni continuano a crescere più rapidamente e la necessità di tutte le forme di sostegno è maggiore.
Strategie di investimento ESG

Il mondo degli investimenti ha ampliato le strategie, i fondi e i servizi ESG. Nel 2022, secondo Bloomberg gli asset ESG globali dovrebbero aumentare a 41 trilioni di dollari, ovvero quasi il doppio del 2016 (22,8 trilioni di dollari). Entro il 2025, si prevede che supereranno i 50 trilioni di dollari USA e rappresenteranno un terzo dell’AUM globale totale. Tuttavia, molti asset etichettati come ESG non incoraggiano di fatto una transizione nell’economia reale. Nel 2021, secondo l’IEA (international Energy Agency) è stata rilasciata più CO2 rispetto a qualsiasi altro anno fino ad oggi, con il carbone come principale fattore dietro questo aumento. 

Nazmeera Moola, Chief Sustainability Officer di Ninety One

“Gli asset ESG sono spesso disegnati per mostrare impronte di carbonio ridotte, ma questo a volte significa che non stanno affrontando la decarbonizzazione del mondo reale. Vengono creati portafogli che evitano il problema, invece di risolverlo, spesso limitando semplicemente l’universo di investimento solo ai settori più puliti. La purezza del portafoglio non è la via per risolvere la crisi climatica. Aggrava la crisi”, ha dichiarato Nazmeera Moola, Chief Sustainability Officer di Ninety One.

Tra le stesse aziende, alcune nel settore dei combustibili fossili, ad esempio, hanno ceduto business unit altamente inquinanti, o appaltato processi inquinanti a terzi, sottraendo le emissioni – sulla carta – alla loro responsabilità, senza ridurre l’impatto del settore nel mondo reale.

Investire per il net zero?

La nostra ricerca mostra che tra gli asset owner con obiettivi legati al clima, il 48% li fissa a livello di portafoglio complessivo, mentre il 46% stabilisce obiettivi per mandati, portafogli o fondi specifici. Solo il 28% fissa i propri obiettivi a livello di asset class.

L’indagine inoltre ha rilevato che il 60% dei proprietari di asset afferma che la lotta al cambiamento climatico è uno degli obiettivi strategici del proprio fondo, con il 51% che afferma che il proprio fondo ha in atto obiettivi di riduzione delle emissioni. Ciò dimostra che la maggior parte sta facendo qualcosa in risposta ai rischi e alle opportunità legati al clima. I risultati sono meno positivi quando si va a vedere l’impatto nel mondo reale. Solo il 19% afferma di ricorrere in qualche misura alla finanza di transizione. Ancora meno sono quelli che affermano che il proprio fondo investe in attività legate alla transition finance nei mercati emergenti (16%), le regioni in cui le emissioni e la popolazione stanno crescendo più rapidamente.

Per la maggior parte (87%), non più della metà dell’AUM della propria organizzazione rientra nelle strategie legate al clima e il 46% non ha più di un quarto in questi portafogli. Inoltre, solo l’11% investe da metà a tre quarti del proprio AUM in strategie legate al clima e meno dell’1% ne ha più di tre quarti. Nei prossimi tre anni, il 19% prevede di investire da metà a tre quarti del proprio AUM nelle strategie legate al clima e il 2% ne dedicherà più di tre quarti.

Ostacoli alla transition finance

Il 55% degli asset owner intervistati afferma che il proprio fondo non è focalizzato su alcun obiettivo oltre al rischio e rendimento dei propri asset. C’è un’opinione, diffusa tra il 40% degli asset owner, secondo cui gli investimenti legati al clima portano a rendimenti inferiori.

Per i fondi con risultati climatici positivi come obiettivo esplicito, il breve termine è un orizzonte temporale sfidante. Con l’aumento dei costi energetici nel 2022, alcune delle aziende con le emissioni più elevate del mondo hanno realizzato grandi profitti. Molti fondi incentrati sul clima non avrebbero posseduto queste società e avrebbero perso i relativi rendimenti. Tuttavia, secondo l’indagine di ninety One, l’ostacolo al finanziamento della transizione più citato (dal 60% degli intervistati) è la mancanza di aziende con piani di transizione credibili e fattibili. Il 55% afferma che è difficile per gli asset owner misurare o quantificare i progressi di un’organizzazione nella strategia o nei prodotti climatici, anche se è probabile che vi sia un trend di miglioramento con i continui passi avanti nella divulgazione e nella regolamentazione dei dati. 

Mercati emergenti

I mercati emergenti rappresentano una sfida e un’opportunità enormi. La finanza di transizione sarà qui fondamentale per raggiungere il net zero. Gli investimenti possono trasformare la produzione di energia, le infrastrutture, l’efficienza, i trasporti e molte delle industrie a più alte emissioni al mondo. Solo il 16% degli asset owner intervistati investe nella finanza di transizione rivolta ai mercati emergenti e questi sembrano avere un’elevata convinzione sulla strategia.

Sebbene l’espansione della finanza di transizione in questi mercati sia una priorità moderata o alta per l’86% di coloro che hanno adottato l’approccio, il 53% degli intervistati afferma che il proprio fondo è attento ai profili di rischio-rendimento disponibili nell’universo delle attività legate transition finance orientate ai mercati emergenti. Il 41% degli asset owner afferma che il proprio fondo sta cercando di investire in società dei mercati emergenti che pur avendo alte emissioni hanno piani di decarbonizzazione misurabili e basati su risultati scientifici.

“Questo non è il momento per i paesi ricchi, i loro investitori, gli asset owner e le istituzioni di abbandonare i mercati emergenti. Se prende piede la tendenza del “buy developed, sell developing”, questi mercati potrebbero essere a corto di capitale di investimento proprio nel momento in cui ne hanno bisogno per finanziare le loro transizioni energetiche. Dobbiamo concentrarci su piani di transizione a lungo termine coerenti con il net zero entro il 2050 per aziende e paesi, non su riduzioni delle emissioni di portafoglio a breve termine”, ha aggiunto Namzeera Moola. “Gli asset owner che adottano un approccio di disinvestimento per raggiungere gli obiettivi dello zero netto stanno abbandonando alcune delle leve più potenti nella lotta al cambiamento climatico, così come le opportunità di rendimento. Hanno la capacità di utilizzare il loro capitale e la loro influenza per catalizzare e consentire la transizione verso alternative a basse emissioni di carbonio e avvicinarsi agli obiettivi dell’accordo di Parigi, un percorso che spesso può andare a unirsi al cammino verso una crescita a lungo termine e una gestione responsabile del rischio”.

Il clima non aspetta

Più della metà degli asset owner (56%) ritiene che senza maggiori investimenti negli asset legati alla transition finance, il mondo non sarà in grado di raggiungere gli obiettivi di cambiamento climatico dell’accordo di Parigi. Il tempo è essenziale nella lotta al cambiamento climatico.

Hendrik du Toit, Founder e Ceo di Ninety One

“Per raggiungere gli obiettivi climatici internazionali, nazionali e aziendali, dobbiamo decarbonizzare l’energia, sostituire una miriade di processi industriali con alternative pulite, migliorare l’efficienza energetica e trasformare le infrastrutture. La finanza di transizione è l’alternativa legittima ed efficace che consente la transizione rispettando gli obiettivi standard di rischio e rendimento. Finanziare anche le aziende che emettono di più, purché siano su un percorso verificabile verso lo zero netto e promettano interessanti rendimenti corretti per il rischio, porterà a benefici per gli investitori e per il pianeta. Dobbiamo potenziare la transition finance insieme agli investimenti green. Assegnando finanziamenti alla transizione, gli asset owner possono partecipare proficuamente all’impegno globale per il net zero e contribuire a mitigare il cambiamento climatico. La finanza di transizione non è in conflitto con l’obbligo fiduciario degli asset owner. Si tratta di un’interessante opportunità di rendimento che a livello macro attenua il più grande rischio sistemico del nostro tempo”, ha dichiarato Hendrik du Toit, Founder e Ceo di Ninety One.