Se il 2022 sarà l’anno in cui i temi sociali saranno al centro delle politiche di sostenibilità, la prima sfida potrebbe arrivare dal settore dell’auto elettrica. A dare un segnale di allarme senza troppi giri di parole è Carlos Tavares, Ceo di Stellantis, che dalla sua tolda di comando guida il gruppo nato dall’unione di due protagonisti storici dell’industria automobilistica europea, Fiat e PSA.
“L’elettrificazione delle auto è una tecnologia scelta dai politici, non dall’industria. C’erano modi più economici e veloci di ridurre le emissioni”, ha affermato Tavares in un’intervista al Corriere della Sera, “il rischio di tagliare fuori i ceti medi c’è, se non riduciamo i costi. Ma sono anche le nuove tecnologie a far salire i prezzi, in particolare quelle elettriche, che sono del 50% più costose di quelle dei motori termici”.
Secondo il ceo di uno dei principali produttori di auto del Vecchio continente, quindi, la decisione della Commissione europea di puntare sull’auto elettrica per centrare gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e limitare l’aumento della temperatura terrestre agli 1,5 gradi previsti dall’Accordo di Parigi rischia di aprire altre problematiche. Non solo dal punto di vista dei lavoratori, dato che le nuove tecnologie porteranno a un riassetto delle catene produttive con riflessi sull’occupazione, ma anche dei consumatori.
Con auto che avranno un prezzo medio di circa 30 mila euro ci potranno essere fasce di popolazione che non si potranno più permettere di acquistare un veicolo nuovo. La Commissione europea ha stabilito che entro il 2030 in Europa potranno essere vendute solo auto elettriche, ma il passaggio è giudicato da Tavares troppo “brutale”. Molti esperti sottolineano che un approccio più morbido e che contemplasse nuove tecnologie e nuovi carburanti (come l’idrogeno) avrebbe potuto rappresentare una valida alternativa per rispettare l’esigenza improcrastinabile di una convergenza verso un mondo a zero emissioni. Non dimentichiamo che il trasporto su strada secondo i dati dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) è responsabile del 74% delle emissioni totali di CO2 del settore dei trasporti. Il punto quindi non è non agire, ma comprendere le implicazioni delle trasformazioni per non lasciare indietro nessuno.
Nel 2021 in Italia sono state acquistate 136.754 auto elettriche (+128% rispetto al 2020, fonte Motus-E), mentre il totale delle immatricolazioni è stato pari a 1.457.952 (fonte Promotor). Attualmente il parco auto in Italia è stimato attorno ai 40 milioni di veicoli, con una quota di auto elettriche del 9,3% (contro il 26% della Germania e il 18,3% della Francia, fonte UNRAE). Considerando che il reddito medio in Italia è di 21 mila euro, quante potranno essere le persone in grado di spendere 30 mila euro per un’auto nuova? E quanti anni ci vorranno per completare la transizione del parco macchine esistente? Se da domani tutti gli acquisti di auto convergessero improvvisamente sull’elettrico ci vorrebbero poco più di 25 anni, giusto in tempo per l’appuntamento al 2050.
Un obiettivo per mitigare il costo sociale della transizione è il controllo dei costi, ma la sfida non è banale. Per limitare l’impatto dei costi supplementari del 50% dell’auto elettrica, spiega il manager, bisognerebbe avere un incremento della produttività del 10% all’anno nei prossimi cinque anni, contro un incremento medio attuale per i produttori europei del 2/3%. Una soluzione, difficilmente percorribile da parte degli Stati, potrebbe essere mantenere gli incentivi pubblici fino al 2025. “Non credo che i governi potranno continuare a sovvenzionare la vendita di veicoli elettrici ai livelli attuali. Quindi torniamo al rischio sociale” afferma Tavares.
E qui torna centrale il punto del concetto di just transition, cioè che il passaggio a un’economia decarbonizzata non avvenga a scapito delle persone. “La transizione verso minori emissioni non può avvenire senza una transizione equa per lavoratori, comunità, consumatori e cittadini. L’espressione ‘Just Zero’ potrebbe iniziare a diventare popolare insieme a ‘Net Zero’” osserva My-Linh Ngo di BlueBay Asset Management.
Oltre ai clienti il problema tocca anche la filiera produttiva. In Italia stiamo parlando di un settore che impiega 161.400 addetti e con un fatturato stimato pari a 44,8 miliardi di euro (fonte Anfia 2020).