Il fondo Loss and Damage, che era stato approvato proprio nelle ultime ore dell’incontro della COP27 per evitare che ne venisse dichiarato il totale fallimento, continua a incontrare diversi ostacoli. Si tratta di un fondo richiesto dalle economie più arretrate che in passato non hanno contribuito alle emissioni che hanno causato l’emergenza climatica ma che ne pagano spesso, per ragioni geografiche e di mancanza di infrastrutture, le conseguenze più di quelle che hanno beneficiato dello sviluppo industriale ed economico. È da 30 anni che non si trova un punto di convergenza e l’illusione della COP27 sembra già svanita. Infatti, in un incontro preliminare per la prossima COP28 di Dubai che ha visto gli esponenti delle varie nazioni riunirsi per preparare le discussioni del vertice, i paesi ricchi si sono scontrati con le economie in via di sviluppo.
Dopo quasi un anno di difficili trattative su come rendere operativo il fondo, il quarto round di colloqui sul tema si è concluso con disaccordi su chi dovrebbe finanziarlo, dove dovrebbe avere sede e chi ne avrebbe diritto.
Il mancato raggiungimento di un accordo aggiunge pressione al vertice COP28 del mese prossimo, che ha già un’agenda fitta. Ciò include un “inventario” di come i paesi stanno rispondendo al cambiamento climatico e la definizione di un obiettivo per aiutare i governi ad adattarsi alla gestione del riscaldamento globale.
Dopo il fallimento dei colloqui preliminari, pare che vi sarà un altro round di negoziati ad Abu Dhabi a inizio novembre. Secondo il Financial Times, se i membri del comitato di transizione composto da 24 persone che negoziano il fondo globale per perdite e danni non riescono a raggiungere un terreno comune nella riunione finale ad Abu Dhabi, i negoziati di Dubai saranno molto difficili e si rischierà ancora una volta di perdere un’occasione per accordarsi su una questione così importante.
Anche Al Jaber, presidente designato della COP28, ha sottolineato che un accordo sul fondo è essenziale e avrebbe degli impatti decisivi su miliardi di persone vulnerabili a causa del cambiamento climatico.
Secondo quanto riportato dal Financial Times, una questione chiave alla base delle dispute riguarda il fatto che il gruppo di 77 economie in via di sviluppo più la Cina si è opposto alla gestione del fondo da parte della Banca Mondiale. Altre ragioni delle tensioni sono legate alla posizione dell’inviato statunitense per il clima, John Kerry, che in passato ha dichiarato che paesi come Cina e Arabia Saudita, che oggi sono tra i maggiori inquinatori al mondo, dovrebbero finanziare il fondo.