L’accordo di Parigi del 2015 per limitare il riscaldamento globale ben al di sotto di 2° C, preferibilmente 1,5° C è una pietra miliare nella lotta al cambiamento climatico. La relazione annuale di CDP «Running hot: accelerating Europe’s path to Paris» mostra notevoli progressi nella riduzione delle emissioni di carbonio da parte di molte grandi aziende europee.
Il 25% di quelle con le migliori performance ha già ridotto le emissioni del 15% e i “gas serra per unità di ricavo” del 20%. Ma questo progresso non è uniforme infatti i dati mostrano che il 25% delle aziende con le migliori prestazioni abbia una efficienza doppia nella riduzione dei ” gas serra per unità di ricavo” rispetto al 25% delle aziende peggiori, indicando ampi disallineamenti, nonché differenze nei modelli di business.
L’attuale definizione degli obiettivi delle società europee è in linea con il livello di riduzione delle emissioni associato al riscaldamento globale di 2,7 ° C, ben al di sopra dell’obiettivo di Parigi e molto lontano dall’ambizione politica dell’Unione europea.
Nel contesto attuale però si deve prendere atto di iniziative virtuose come quella intrapresa da Science Based Targets, associazione nata dalla collaborazione tra CDP e WWF che verifica se gli obiettivi di emissioni sono allineati con accordo di Parigi, a cui hanno aderito oltre il 50% delle maggiori aziende europee per capitalizzazione di mercato. E’ stato riscontrato che il 56% del campione ha già sviluppato un piano di transizione ma soprattutto è stato rilevato un impegno superiore nei settori a maggior impatto come quello energetico dove oltre il 75% ha in essere iniziative per contrastare il climate-change. Nei casi migliori, questi piani includono obiettivi scientifici convalidati esternamente, investimenti significativi a lungo termine iniziative e sviluppo di prodotti a basse emissioni di carbonio, nonché governance e responsabilità chiare. Ma come evidenziato, la maggioranza di queste progetti e piani esistenti non sono all’altezza degli Accordi di Parigi.
La valutazione dei dati e di conseguenza anche quella complessiva però rimane parziale e soggetta a modifiche poichè le emissioni Scope 3, ossia quelle che si verificano oltre i confini aziendali nelle rispettive catene del valore, che pesano oltre l’80% del totale, sono molto volatili rispetto a Scope 1 e Scope 2; una variazione del prezzo del petrolio ad esempio può cambiare in modo significativo il dato. La mancanza di regole certe di misurazione e le frequenti oscillazioni dei risultati ottenibili evidenziano l’importanza di guardare alle singole aziende, nella comprensione dei rischi e delle opportunità da cambiamento climatico piuttosto che ampi settori.
Attualmente, meno del 35% delle aziende in settori ad alto impatto stanno divulgando informazioni significative sulle emissioni di Scope 3. Questo aspetto si ripercuote negativamente su istituzioni finanziarie, asset manager e assicurazioni che, in mancanza di dati di alta qualità Scope 3 forniti dalle aziende, non possono valutare correttamente la temperatura e ridurre i valori nominali di emissioni.
Questo decennio sarà un periodo critico per le aziende poiché bisognerà costruire piani di transizione più ambiziosi e solidi rispetto ai precedenti. Affrontare questo problema richiede nuove forme di collaborazione, e di monitoraggio esterno e molte aziende ambiziose si stanno già impegnando affinchè questo accada.