Scongiurato all’ultimo il fallimento della COP29, che si è conclusa il 24 novembre all’alba con un accordo su un pacchetto finanziario da 300 miliardi di dollari all’anno che saranno versati dalle nazioni più ricche ai paesi in via di sviluppo e più vulnerabili agli eventi metereologici estremi, per aiutarli a contrastare la crisi climatica. Quello del New Collective Quantified Goal, ossia l’accordo finanziario sulle misure di sostegno ai Paesi emergenti era una dei principali obiettivi della Cop29 di Baku. La cifra su cui si è trovato la convergenza è superiore ai 250 miliardi su cui si erano arroccate le nazioni più ricche, ma ben lontana dai 1.300 miliardi a cui ambivano i G77, ossia i Paesi più arretrati dal punto di vista dello sviluppo e che spesso subiscono maggiormente le conseguenze del cambiamento climatico.
E comunque rappresenta una soluzione insufficiente a coprire gli investimenti necessari a portare in sicurezza, sul fronte della protezione ai danno dal clima, le nazioni più povere. Il rapporto evidenzia, infatti, che i bisogni finanziari stimati nei “contributi determinati a livello nazionale” (ossia i piani nazionali che contengono le misure che ogni nazione prevede per affrontare il cambiamento climatico) dei Paesi in via di sviluppo ammontano a 5,1–6,8 trilioni di dollari fino al 2030, ovvero tra i 455 e i 584 miliardi di dollari all’anno, a cui si aggiungono i bisogni di finanziamento per l’adattamento sono stimati tra i 215 e i 387 miliardi di dollari all’anno fino al 2030.
Il documento conclusivo della COP29 inoltre “invita tutte le parti a collaborare per consentire l’incremento dei finanziamenti destinati ai Paesi in via di sviluppo per l’azione climatica, provenienti da tutte le fonti pubbliche e private, ad almeno 1,3 trilioni di dollari all’anno entro il 2035”. Una formula che è considerata troppo vaga e non stringente da molti osservatori, anche se il commissario europeo per il clima Wopke Hoekstra, si è dichiarato “fiducioso che i 1,3 trilioni di dollari saranno raggiunti”.
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L’ombra di Trump sulla Cop29
Sull’esito del compromesso finale ha inciso anche l’aspettativa sulle possibili decisioni che il presidente in pectore degli Stati Uniti, Donald Trump, potrebbe prendere una volta installato alla Casa Bianca. Trump, che ha bollato il climate change come una bufala e ha nominato come nuovo capo dell’EPA Lee Zaldin allineato su posizioni scettiche sul cambiamento climatico, ha dichiarato di volere uscire dall’Accordo di Parigi, come del resto aveva fatto nella precedente amministrazione. Dal punto di vista dei Paesi in via di sviluppo questo timore ha motivato ad acconsentire a un accordo giudicato insufficiente. D’altro canto i Paesi finanziatori non volevano esporsi troppo temendo di trovarsi a dovere coprire le quote USA, in caso questi ultimi si ritirassero dagli impegni.
Cina, India, Russia e Emirati Arabi, le posizioni dei grandi emettitori
L’India, che fa parte delle nazioni che dovrebbero ricevere i sussidi, ha cercato di fermare fino all’ultimo questo accordo considerato “oltraggioso”. Il rappresentante del governo di Modi avrebbe additirruta cercato di predentare la propria opposizione alla mozione (cosa che nel meccanismo di voto delle Cop avrebbe impedito di raggiungere un accordo), ma è stato ignorato dal Presidente Mukhtar Babayev.
L’India è anche uno dei grandi utilizzatori mondiali di carbone. E non sembra che a breve sia in grado di migliorare la propria situazione, anche per insufficienti mezzi finanziari. Entro la fine dell’anno dovrebbe cessare il periodo di moratoria per l’aggiornamento tecnologico dotando di apparecchiatura in grado di ridurre le emissioni delle centrali a carbone più vecchie ed inquinanti. Ma si andrà probabilmente verso una proroga ulteriore visto non solo la difficoltà di reperire le risorse finanziarie, ma anche l’impossibilità di trovare energia sufficiente da altre fonti per il periodo di blocco delle centrali necessario all’aggiornamento.
Cina e Arabia Saudita sono ancora classificati come Paesi in via di sviluppo. Un paradosso vista la loro situazione economica e in particolare il livello di emissioni. Eppure la mozione per includere la Cina tra i Paesi finanziatori in modo obbligatorio e non volontario non è passata. Al contempo, secondo le indiscrezioni, i rappresentati dell’Arabia Saudita e della Russia avrebbero cercato di utilizzare la loro influenza per evitare che fossero approvate misure per implementare la decisione della Cop28 dello scorso anno (tenutasi a Dubai) sull’uscita graduale dalle fonti fossili e non solo dal carbone.