In un momento in cui si parla sempre più spesso di equilibrio tra vita privata e lavorativa (work-life balance), di lavoro agile e, in alcuni casi, di riduzione della settimana di lavoro da 5 a 4 giorni, in Cina è in corso una tendenza opposta. È quanto ha constatato l’esperta del debito dei mercati emergenti di RBC BlueBay AM, Polina Kurdyavko, in una recente visita nel paese. L’analista, nonostante sia cresciuta in un contesto sovietico in cui lo spirito competitivo e la resilienza erano alla base dell’educazione, parla di “workaholic” (“maniaci del lavoro”) riferendosi ai lavoratori cinesi e fa delle riflessioni sui vantaggi e sui limiti di una forte etica del lavoro.
La parola che è emersa ripetutamente nel viaggio in Cina, sottolinea Kurdyavko, è “involuzione”. “La maggior parte delle persone in Cina lavora dalle 9:00 alle 21:00 sei giorni alla settimana (il cosiddetto “996”) o fa turni di 24 ore, sette giorni alla settimana (il cosiddetto “007”)”, sottolinea l’esperta di RBC BlueBay AM. Questi ritmi hanno avuto pesanti conseguenze quali esaurimento, ansia e aumento degli episodi di malattia mentale. Una spinta, forse eccessiva, sulla capacità di resistenza e dedizione degli individui che contrasta con le tendenze del mondo occidentale attraversato da fenomeni quali il “quite leaving”. Ossia alla tendenza, manifestatasi soprattutto dopo la panedemia del Covid-19, a lasciare posizioni di lavoro ritenute non più consone rispetto al proprio progetto di vita. Per quanto riguarda la Cina l’enfasi prestazionale tende anche a esacerbare l’attuale problema della disoccupazione, soprattutto giovanile. Il tasso di disoccupazione nella fascia 16-24 anni ha continuato a crescere dal 2020 e secondo quanto riferito dal professore Lu Feng dell’Università di Pechino al South China Morning Post si tratta “della peggior periodo per la disoccupazione giovanile dall’epoca di aperture e riforme del 1978”
Inoltre, evidenzia l’analista, nonostante i benefici che la forte etica del lavoro ha prodotto in Cina negli ultimi vent’anni, recentemente questo atteggiamento operoso non si è tradotto in un continuo miglioramento della crescita e della fiducia dei consumatori.
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I dati più deboli deludono
Osservando i dati macroeconomici cinesi più recenti, l’aumento del PIL del 6,3% su base annua nel secondo trimestre del 2023 è stata inferiore alle aspettative del mercato, con la maggior parte degli analisti che ora si aspetta che la crescita rallenti ulteriormente fino a un minimo del 4,8-5% nel secondo semestre 2023. “Si tratta di un risultato modesto nel contesto di una ripresa post-Covid, soprattutto rispetto ai paesi sviluppati. È inoltre degno di nota il fatto che la Cina abbia spazio, sia monetario che fiscale, per stimolare una ripresa, dato il tasso ufficiale del 2,65%, zero inflazione e un modesto deficit fiscale del 3%”, sottolinea Kurdyavko.
“I dati più deboli sono stati principalmente guidati da un ulteriore deterioramento nel settore immobiliare, dalla performance più debole del settore bancario e dai dati sulle esportazioni leggermente più debolirispetto al recente picco del 2022”, prosegue l’esperta. In combinazione con tre anni di blocco a causa della pandemia di Covid, questo si è tradotto in una crisi di fiducia senza precedenti all’interno del paese. “Qual è il percorso per il recupero?”, si domanda l’analista. “Si spera che la pandemia di Covid sia alle nostre spalle e il rallentamento delle esportazioni è in gran parte il risultato di un rallentamento globale e del deterioramento delle relazioni USA/Cina”, spiega. Tuttavia, la riabilitazione del settore immobiliare, i cui danni hanno avuto ripercussioni in tutti i settori dell’economia cinese, appare più discutibile.
Il calo dei prezzi degli immobili
Le vendite di proprietà in Cina sono diminuite di oltre il 50% rispetto ai livelli di picco del 2021. Inoltre, la maggior parte degli sviluppatori privati (persone o aziende che acquistano e sviluppano case, edifici e terreni per venderli e trarne profitto) si trova ancora in uno stato “congelato” senza attività di costruzione, data la mancanza di finanziamenti ai progetti completati che vietano agli sviluppatori di condurre vendite. Alla fine del 2022, il governo ha introdotto diverse misure per sostenere la ripartenza delle vendite degli sviluppatori, ma queste misure non sembrano aver prodotto risultati, con le nuove vendite in calo del 37% su base annua a partire dal 17 luglio 2023. “Mentre il governo può iniettare liquidità nel settore bancario, l’obiettivo politico di rendere gli alloggi più accessibili significa che non può/non costringerà le banche a prestare denaro agli sviluppatori”, sottolinea l’esperta, “A nostro avviso, ciò si tradurrà in un calo lento e graduale dei prezzi degli immobili bilanciato da un lento rilascio dell’offerta immobiliare”. Nel frattempo, nonostante siano piene di liquidità, le banche non prestano prestiti al settore immobiliare. Stanno lottando con la redditività, vedendo i loro margini di interesse netti (NIM) appena sopra l’1%. Lo status quo sta inoltre mettendo a dura prova i bilanci delle amministrazioni locali, dato che tradizionalmente le vendite di immobili rappresentavano circa la metà dei loro ricavi totali.
“Sappiamo che, per ora, il governo sta permettendo ai governi locali di vendere terreni a LGFV (Local Government Financing Vehicles) per usarli come garanzia mentre gli LGFV raccolgono fondi attraverso il mercato obbligazionario”, prosegue Kurdyavko, “Questo approccio è una tattica a breve termine che non è sostenibile a medio o lungo termine. Il governo sta inoltre consentendo ad alcune “banche politiche” di investire capitale nelle società di infrastrutture delle imprese statali per consentire il finanziamento degli acquisti di terreni.
Nuove soluzioni necessarie
Qual è la soluzione per evitare che i governi locali seguano la strada degli sviluppatori immobiliari? A lungo termine, secondo l’esperta di RBC BlueBay AM, il governo deve introdurre una riforma fiscale strutturale, che comprenda un’imposta sulla proprietà, una sulle plusvalenze e un sistema di dichiarazione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche che consentirebbe ai governi locali di ampliare la propria base di reddito e ridurre la dipendenza dal settore immobiliare.
“Tuttavia, è necessario uno stimolo a breve termine per far crescere la domanda”, suggerisce Kurdyavko, “L’obiettivo politico generale del governo si concentra su alloggi a prezzi accessibili e miglioramenti delle case, ovvero ristrutturazioni di baraccopoli. Dati questi obiettivi e il riconoscimento che il settore immobiliare rappresenta l’80% della ricchezza dei consumatori, è desideroso di progettare un graduale rallentamento dei prezzi degli immobili. Il governo può raggiungere questo obiettivo gestendo l’offerta sul mercato, il che spiega perché finora non abbiamo assistito a un aumento significativo degli stimoli al settore”.
L’attuale eccesso di offerta immobiliare è impressionante, prosegue l’analista. “Durante il viaggio, ho visitato diversi progetti venduti nelle città Tier 1 negli ultimi anni. Anche questi progetti erano occupati solo per il 40% e la maggior parte ancora non era arredata. Data la prevista riduzione graduale dei prezzi e gli attuali rendimenti locativi bassi dell’1%-1,5%, è improbabile che questo mercato attragga nuovi investitori”, afferma l’esperta. Pertanto, ci si aspetta che il volume delle vendite diminuisca gradualmente ulteriormente. In questo contesto,in che modo i governi locali guadagnano entrate e gli sviluppatori immobiliari hanno una possibilità di sopravvivenza?
“Una soluzione potrebbe essere un accordo di compartecipazione alle entrate tra gli sviluppatori privati e i loro appaltatori, ripristinando la fiducia nelle banche affinché prestino denaro a nuovi progetti. In questo caso, alcuni sviluppatori privati potrebbero almeno avere una possibilità di inversione di tendenza, beneficiando del basso costo di finanziamento e della bassa leva finanziaria dei loro partner una volta che il mercato immobiliare si riprenderà a medio termine. Senza tali strategie, non importa quanto possano sembrare allettanti le varie proposte di ristrutturazione oggi, solo una manciata di promotori immobiliari privati rimarrà probabilmente un’azienda in attività a lungo termine”, conclude Kurdyavko.
Tutti gli occhi puntati sui politici
Mentre la crisi immobiliare è stata al centro dell’attenzione finora, vi sono anche altre importanti aree di sviluppo per rimettere in moto l’economia. Il governo sta dando la priorità alla tecnologia e al consumo, una mossa che richiede la partecipazione del settore privato. “Troviamo incoraggiante la recente nomina come primo ministro di Li Qiang, noto per essere a favore delle imprese e della riduzione delle interferenze burocratiche nel mercato. Riteniamo positivi inoltre alcuni aspetti sociali della forza lavoro cinese, in particolare dalla sua diversità di genere. La maggior parte degli alti funzionari che abbiamo incontrato durante il nostro viaggio erano donne. In alcuni casi, come nel caso del ministero delle Finanze, le donne rappresentano oltre il 50% della forza lavoro”.
Notiamo anche che sebbene la stampa occidentale si sia concentrata molto sulla posizione filorussa della Cina durante la guerra, si può argomentare che la Cina abbia comunque cercato di mantenere una posizione ufficiale neutrale per tutto il tempo”, spiega l’analista.
La fiducia è un bene raro in tempi di tensioni geopolitiche e recessioni economiche. Il mercato è anche ipersensibile al flusso di notizie. Norme recenti che includono procedure onerose per gli stranieri che interagiscono con i responsabili politici e ampliano le politiche anti-spionaggio sollevano più domande che risposte. “La dinamica che circonda queste preoccupazioni può portare rapidamente a un ulteriore deterioramento della fiducia e diventare una profezia che si autoavvera”, avverte l’esperta, “Sarebbe un peccato, visti i numerosi vantaggi economici e politici ottenibili attraverso la cooperazione globale”.
Trovare l’equilibrio
“È interessante notare che, durante il mio viaggio, l’etica del lavoro cinese è stata sicuramente un vantaggio per il nostro programma, consentendo otto incontri il venerdì e sei il sabato. Detto ciò, ci si deve interrogare sui maggiori rischi di un carico di lavoro eccessivo che crea più sfide per i cinesi, indipendentemente dall’impatto marginale sulla produttività”, commenta Kurdyavko. Anche l’Occidente è alle prese con il concetto di equilibrio tra lavoro e vita privata, soprattutto dopo la pandemia e in seguito al rallentamento della crescita.
“L’evoluzione delle nostre priorità per trovare il giusto equilibrio – individualmente, come società e dalla posizione di un decisore politico – è necessaria per offrire un ampio benessere personale e una crescita economica sostenibile”, conclude l’analista di RBC BlueBay AM.