Monica Elena Maria Fanecco Nedcommunity, Associazione Italiana Amministratori non esecutivi e indipendenti, Direttore generale

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Fanecco (Nedcommunity): ai board spetta ispirare e guidare le aziende sulla rotta della sostenibilità

Cambiano i modelli di corporate governance, in risposta agli obblighi di rendicontazione sulla sostenibilità. Le novità introdotte dalle nuove norme, come la CSRD e la CSDD, non vanno intese solo come un esercizio di trasparenza, ma come un nuovo approccio gestionale per l’impresa. Lo dimostra, ad esempio, la crescita dei comitati di sostenibilità all’interno dei cda, quasi triplicati negli ultimi 5 anni, ha messo in luce in questa intervista a ESGnews Monica Fanecco direttore generale di Nedcommunity, Associazione Italiana Amministratori non esecutivi e indipendenti. L’associazione, che da vent’anni è impegnata per la buona governance societaria, oggi conta più di 800 associati.

A guidare l’evoluzione di questi organi endoconsiliari anche la constatazione, sempre più diffusa, che non può esserci profitto di lungo termine se non vengono identificati gli impatti prospettici dell’azienda sulla comunità e gli stakeholder rilevanti oltre agli azionisti. 

Se la sostenibilità deve diventare una strategia operativa trasversale a tutte le aree di attività aziendali allora al cda spetta il compito di ispirare e guidare questa transizione, ad esempio cooptando amministratori con le competenze necessarie e indipendenti, cioè non influenzati da management o azionisti di controllo. Un altro elemento utile sarebbe l’incentivazione delle retribuzioni in base a parametri ESG, ma i kpi sottostanti sono spesso generici a seguito di piani di trasformazione sostenibile ancora non sufficientemente chiari. 

Qual è il ruolo del consiglio di amministrazione nel promuovere e sovrintendere la strategia di sostenibilità dell’azienda?

Sempre maggiore. Gli obblighi non sono più di pura informativa, ma di condotta: l’adozione anche in Italia di due nuove normative europee – la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) e la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CS3D) – sta già oggi portando ad un cambio di passo sull’approccio che le aziende hanno rispetto al tema della sostenibilità. L’obbligo di rendicontare in maniera molto più puntuale e dettagliata – secondo standard europei e lungo tutta la catena di fornitura – i propri impegni e risultati rispetto all’impatto ambientale e sociale implica un’evoluzione anche nei modelli di corporate governance. Come conferma l’ultimo rapporto Consob sulla Corporate Governance delle società italiane quotate c’è una crescente attenzione rispetto al tema: negli ultimi 5 anni, il numero dei comitati di sostenibilità all’interno di un CdA è quasi triplicato, passando da 45 società nel 2017 a 123 a fine 2022 e in ogni comitato dedicato agli aspetti dei rischi, delle nomine e delle remunerazioni il tema, per gli aspetti di competenza, è sempre più attenzionato. Il crescente impegno dovuto alle nuove normative europee è già stato espresso nel Codice di Corporate Governance e il ruolo del CdA rispetto a questi temi è in continua e costante evoluzione. Una buona governance orientata alla creazione del valore nel lungo periodo contribuirà a rendere sempre più competitive le imprese.

Oltre il profitto. Quali sono i valori e gli obiettivi che dovrebbero guidare il board nella scelta dei KPI verso cui indirizzare il purpose aziendale?

La pandemia prima e l’attuale instabilità macroeconomica ci hanno insegnato, negli ultimi anni, che non c’è profitto di lungo termine senza purpose aziendale, senza cioè l’identificazione degli impatti di lungo termine dell’azienda sulla comunità e gli stakeholder rilevanti oltre che gli azionisti. Oggi la maggioranza dei Ceo ritiene la sostenibilità ambientale e sociale un tema strategico, e il board deve essere in grado di ispirare e governare l’implementazione da parte del management di questa strategia. 

A livello operativo, come dovrebbe essere svolto il dialogo tra cda e management nella definizione e monitoraggio della strategia ESG?

Attraverso una leadership di tipo collaborativo. La capacità di una impresa nel gestire le tematiche ESG è strettamente legata alla capacità della stessa di mantenere un dialogo continuativo di confronto e monitoraggio con i propri stakeholder in modo da assicurare un corretto flusso di informazioni tra top management e l’organo decisionale. 

Il consiglio di amministrazione, organo di governo di un’azienda, si deve assumere oneri ed onori nel promuovere la costruzione di una strategia di trasformazione sostenibile dell’azienda chiara, concreta, efficace, innovativa e misurabile negli impatti e nella progressione, grazie anche al fondamentale supporto dei comitati endoconsiliari che hanno funzioni propositive e consuntive. In questo, un ruolo centrale è svolto dall’amministratore indipendente, generalmente coinvolto nei comitati che, in quanto non appartenente al management e neppure agli azionisti di controllo, è la figura più adeguata a ispirare, controllare, sostenere e diffondere una cultura ambientale, sociale e di governance. Trasparenza e immediatezza nel passaggio delle informazioni nonché attitudine alla cooperazione sono gli elementi essenziali alla base di ogni impresa di successo.

Non trascurabile la recente pubblicazione dell’ESMA, Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, con le linee guida sulla denominazione dei prodotti finanziari che utilizzano termini ESG o legati alla sostenibilità. Le nuove indicazioni contribuiranno nel fare chiarezza e rendere più coerenti le denominazioni dei prodotti con le caratteristiche realmente ESG degli investimenti che li compongono e implicheranno una conseguente maggiore attenzione all’engagement con le società investite sui temi ESG. 

Ma alla fine, il board a chi deve rispondere: agli azionisti o a tutti gli stakeholder?

La responsabilità di un Board, alla luce delle recenti normative europee deve tenere conto delle ricadute e degli impatti dell’azienda sugli stakeholder rilevanti per la propria attività (quindi non TUTTI gli stakeholder). Tra questi anche, ma non solo, gli azionisti. 

Quali competenze in tema di sostenibilità dovrebbero essere presenti all’interno del consiglio di amministrazione e come dovrebbero influenzare la scelta dei candidati?

Il profilo stesso di chi si occupa di sostenibilità in azienda è ancora in via definizione, perché il tema è trasversale e richiede la collaborazione tra diverse funzioni. Una parte più tecnica e ingegneristica che presidia la rendicontazione ambientale, una in ambito risorse umane invece monitora la “S” degli ESG e l’importanza strategica di una “cultura della trasformazione sostenibile” trasversale a tutti i processi aziendali e poi una parte più amministrativa che garantisce la conformità nella rendicontazione e la coerenza e progressiva integrazione delle forme di rendicontazione finanziaria e sostenibile.  A livello di CDA è importante assicurare il presidio consapevole della strategia di trasformazione sostenibile della società e dei suoi temi più rilevanti oltre che avvalersi di approfondimenti ad hoc con esperti per le tematiche più tecniche.

Sono efficaci i sistemi di incentivazione basati sugli incentivi ESG?

Come Nedcommunity abbiamo promosso diversi momenti di confronto su questo tema e possiamo dire che si tratta di una pratica in divenire, non ancora arrivata a piena maturazione: spesso i kpi sottostanti sono ancora generici e poco rilevanti sul totale del pacchetto di remunerazione anche perché spesso c’è poca chiarezza sul Piano di Trasformazione sostenibile e le iniziative e tempi che prevede. Pertanto, si fa fatica a declinare obiettivi specifici di breve corto, medio e lungo periodo nei sistemi di incentivazione. Ma siamo sulla via giusta.