In una fase storica di profonde sfide globali e di ridefinizione degli equilibri geopolitici, gli occhi del mondo sono puntati, in maniera crescente, verso l’India, uno dei Paesi a più rapida crescita al mondo. Dalla tredicesima posizione occupata nel 2000 per dimensione dell’economia, il Paese è, infatti, balzato alla quinta nel 2022 e si prevede raggiungerà la terza già nel 2027. Questa crescita dell'”Elefante” è un’opportunità anche per le imprese italiane che esportano. È quanto osserva l’Ufficio Studi di Sace.
Secondo gli analisti di Sace, quello demografico è certamente uno dei fattori più rilevanti nell’equazione della crescita dell’India, la cui popolazione (1,428 miliardi) ha superato quella cinese nel 2023. In particolare, la forza lavoro è prevista in espansione fino al 2032, mantenendosi comunque al di sopra del 65% della popolazione fino a quasi il 2060.
Evoluzione della popolazione e della forza lavoro in India e Cina (1950-2100)
Il boom demografico e l’aumento dei redditi disponibili continueranno a supportare l’espansione dei consumi domestici, che in India valgono circa il 60% del Pil e che nel 2031 dovrebbero raggiungere un valore di 5.200 miliardi di dollari, più del doppio rispetto ai livelli attuali.
Il momento dell’India appare, inoltre, legittimato dall’attuale processo di frammentazione geoeconomica, accelerato dall’invasione russa dell’Ucraina, e dalla ricerca da parte dei Paesi occidentali di una maggiore diversificazione e affidabilità delle proprie catene di approvvigionamento. In questo contesto, Il Paese ha l’opportunità unica per diventare un mercato di sbocco fondamentale per gli investimenti produttivi dei paesi occidentali.
Se finora le economie del Sudest Asiatico, Vietnam in testa, sono state le principali beneficiarie del processo di diversificazione delle catene di approvvigionamento manifatturiere globali, nel lungo periodo l’India è, infatti, l’unico mercato con un potenziale comparabile a quello della Cina, che potrà, però, essere sfruttato solo attraverso l’impegno continuo a migliorare le infrastrutture del Paese e a formare una ampia classe di lavoratori qualificati.
Sace osserva inoltre che la continua e rapida espansione dell’economia e il previsto aumento della produzione manifatturiera saranno responsabili di un consistente aumento dei consumi energetici dell’India nei prossimi anni, richiedendo importanti investimenti per soddisfare questa crescente domanda.
Queste dinamiche rappresentano, al contempo, sia una sfida che un’importante opportunità per Delhi, che già oggi è la terza geografia al mondo per consumi energetici, a loro volta soddisfatti quasi interamente da combustibili fossili. L’aspetto positivo è che il processo di transizione energetica del Paese è già ben avviato, come segnalato dall’incremento del 130% della capacità installata da fonti rinnovabili dal 2014 al 2023 (oggi pari a circa 180GW, in grado di soddisfare poco meno del 20% dei consumi energetici) e dagli impegni presi in occasione della COP26 di Glasgow nel 2021, quando Modi ha annunciato gli obiettivi del raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2070 e del soddisfacimento del 50% della domanda di energia elettrica da fonti rinnovabili entro il 2030.
Quota di energie rinnovabili sul consumo energetico totale in India (1990-2020)
Le potenzialità dell’India lasciano pensare non solamente a un incremento dei flussi futuri di export italiano verso il Paese, confermando le tendenze già in atto nel 2023 (+11,5% nei primi 8 mesi rispetto allo stesso periodo del 2022) e le nostre previsioni per il 2024 (+4,8%) e per il biennio 2025/26 (+5%), ma anche a una progressiva ricomposizione del paniere di beni esportati.
Andamento dell’export italiano in India (2013-22)
L’aumento della popolazione e dei redditi disponibili favorirà, infatti, le vendite di beni di consumo, come quelli del Made in Italy tradizionale, mentre le prospettive di sviluppo dell’industria manifatturiera quelle di prodotti a elevato contenuto tecnologico, come quelli dei settori della meccanica strumentale e degli apparecchi elettrici. Il processo di transizione energetica dell’India può, inoltre, riservare diverse opportunità per le aziende italiane produttrici di beni ambientali, anche grazie al posizionamento di mercato favorevole dell’Italia, che è il secondo esportatore europeo in questo settore dopo la Germania.
A valle di queste considerazioni, Sace sottolinea però come l’India non sia un mercato dal facile approccio dati l’estensione territoriale del Paese, nonché l’eterogeneità tra i diversi stati in termini di ricchezza, sviluppo infrastrutturale e presenza di cluster manifatturieri, elementi che richiedono la definizione di una strategia di accesso di tipo granulare. Il Pil pro-capite registrato a Delhi (4.637 dollari) è, ad esempio, almeno 5 volte superiore rispetto a quello rilevato nei tre stati più poveri (Bihar, Uttar Pradesh e Jharkhand), mentre i principali poli industriali si concentrano negli stati di Rajasthan, Gujarat, Maharashtra, Karnataka, Haryana, Telengana e Tamil Nadu.
In conclusione, secondo quanto emerge dallo studio di Sace, per le imprese italiane esportatrici di beni di investimento le principali aree di sbocco nel Paese sono quelle caratterizzate dalla presenza di importanti poli manifatturieri. Lo stato di Maharashtra, dove si trova Mumbai, capitale finanziaria dell’India, è sede, ad esempio, di diverse aziende che rappresentano il 35% del valore della produzione nazionale del settore automotive, il 20% di quello farmaceutico e il 17% della chimica. È inoltre uno degli stati più avanzati a livello infrastrutturale, ospitando anche il principale porto per container del Paese (Jawaharlal Nehru Port). Nello stato di Kernataka si trova la città di Bengaluru (meglio conosciuta come Bangalore), spesso definita la Silicon Valley indiana: parliamo del principale hub tecnologico asiatico, dove lavora il 70% dei chip designer indiani e sono prodotti il 60% dei beni appartenenti al settore della meccanica strumentale, il 65% di quelli del settore aerospace e un terzo delle esportazioni di biotecnologie. Spostandosi nella zona centro e nord-occidentale, gli esportatori italiani di meccanica strumentale possono trovare opportunità nel Gujarat, ad esempio, nei settori del processed food (qui viene generato all’incirca il 30% dell’export indiano di cibi lavorati e formaggi), petrolchimico (60% della produzione nazionale), tessile (25%) e infrastrutture (specialmente energetiche e ferroviarie), così come nello stato di Rajasthan, nei settori vetro e ceramica (prima zona industriale di questo tipo in India), FMCGs (Fast Moving Consumer Goods), parti e ricambi per il settore automotive.
Pil pro-capite nominale e cluster industriali degli stati indiani
Questi sono solo alcuni esempi del potenziale dell’India per le aziende italiane, ma sono utili a comprendere che, se da una parte, dimensione ed eterogeneità del mercato rendono l’approccio allo stesso meno immediato, specialmente nelle fasi iniziali di avvicinamento al Paese, dall’altra creano opportunità specifiche e ben definite che potranno essere colte attraverso la definizione di una strategia di accesso di tipo granulare.