Il presidio sulle tematiche ESG delle aziende europee e italiane del settore moda sta crescendo, ma nell’ultimo anno sono aumentati di 5 volte i rifiuti esportati dall’Europa verso i paesi in via di sviluppo e la condizione dei lavoratori a livello globale non migliora. È quanto emerge dalla seconda edizione di Just Fashion Transition 2023, l’Osservatorio permanente sulla transizione sostenibile delle filiere chiave della moda, abbigliamento, calzature e pelletteria di The European House of Ambrosetti presentato da Carlo Cici, Partner & Head of Sustainability Practices di The European House – Ambrosetti, in occasione della prima giornata dei lavori della seconda edizione del Venice Sustainable Fashion Forum (VSFF), il summit promosso da Sistema Moda Italia, The European House – Ambrosetti e Confindustria Veneto Est – Area Metropolitana Venezia Padova Rovigo Treviso.
Il forum, il cui titolo quest’anno è Boosting Transition, si pone come evento di riferimento sulla sostenibilità nell’industria della moda. Per la seconda edizione, 21 partner hanno contribuito all’iniziativa abbracciandone valori e obiettivi e riconoscendo la necessità di avviare un dibattito serio sul tema.
“Anche quest’anno la missione di queste due giornate sarà quella di offrire agli imprenditori e alla classe dirigente italiana e internazionale dell’intera catena del valore del settore Moda&Lusso gli elementi indispensabili per interpretare correttamente e con senso di responsabilità le sfide della sostenibilità” ha dichiarato Flavio Sciuccati, Senior Partner & Director of the Global Fashion Unit, The European House – Ambrosetti, “l’analisi degli scenari attuali e futuri è necessaria per elaborare strategie e azioni di miglioramento su tutti i fattori ESG. Boosting Transition sottolinea il senso di urgenza per il nostro settore che sconta un grave ritardo rispetto ad altri settori più virtuosi. Basti pensare, sul lato della sostenibilità sociale, la rimozione collettiva della tragedia del Rana Plaza di 10 anni fa. Oggi è imperativo per tutti – brand e industria, lusso e fast fashion – lavorare insieme per migliorare questa situazione”.
Quest’anno, inoltre, il VSFF ha un particolare focus sulla catena del valore delle aziende. “Quella circolare è una filiera completamente da reinventare” ha affermato Sergio Tamborini, Presidente di Sistema Moda Italia, “il Venice Sustainable Fashion Forum vuole confermarsi specchio delle novità e delle istanze della filiera della moda su un capitolo fondamentale per il sistema, la svolta sostenibile. La consideriamo un processo irreversibile per riscrivere le sorti della produzione italiana e l’intento di SMI è sottolineare l’urgenza che il tema deve rivestire anche nell’agenda politica”.
Indice
- 1 Moda sostenibile: i risultati del Just Fashion Transition 2023
- 1.1 La pressione normativa Ue sulla moda sarà efficace?
- 1.2 Un capo sostenibile costa il doppio e intanto la spesa media dei consumatori scende
- 1.3 La “fibra sostenibile non esiste”. L’impronta ambientale della moda si riduce grazie alla tecnologia
- 1.4 L’atteggiamento dei consumatori e lo “spreco” delle restituzioni online
- 1.5 Le opportunità del riciclo e del riuso
- 1.6 Le sfide per le aziende nella sostenibilità sociale
- 1.7 Cresce l’impegno delle aziende per la transizione
Moda sostenibile: i risultati del Just Fashion Transition 2023
Lo studio Just Fashion Transition 2023 ha analizzato oltre 2.800 aziende italiane ed europee, valutato le performance ESG di 366 aziende della filiera italiana, effettuato un benchmark delle prestazioni di sostenibilità delle prime 100 aziende europee e condotto una policy intelligence su 32 strumenti normativi che interessano direttamente il futuro del fashion europeo.
“Bisogna liberare e sfruttare appieno il potenziale di cambiamento delle aziende UE promuovendo lo sviluppo, diffusione e adozione su larga scala di tecnologie green lungo tutta la catena di valore della moda, traendo ispirazione dall’esperienza positiva dell’Inflation Reduction Act (IRA) statunitense che riconosce fino al 40% del credito d’imposta alle aziende che investono nel green moltiplicando così almeno 5 volte gli investimenti in rinnovabili in un solo anno” ha spiegato Cici.
La pressione normativa Ue sulla moda sarà efficace?
La Commissione Europea ha lanciato nel 2022 la “EU Textile Strategy”, una massiccia iniziativa mirata a stabilire un quadro di riferimento e una visione comuni per la transizione del settore tessile, che ha incontrato diversi ostacoli durante la sua gestazione. Su 14 principali azioni legislative presentate, sembra che solo il 51% abbia riscosso consenso, e si riscontrano forti ritardi nelle approvazioni, connessi alle difficoltà incontrate durante i triloghi o all’influenza esercitata da gruppi di pressione.
C’è un tema di efficacia. Un’analisi preliminare d’impatto sulla nuova proposta di Regolamento sull’Ecodesign effettuata su specifiche categorie di prodotto non è incoraggiante: l’applicazione dei principi alle magliette 100% cotone comporterebbe solo un taglio di circa 3,51 milioni di tonnellate CO2eq pari allo 0,3% dell’impronta annuale di carbonio europea.
La strategia EU include anche una nuova Direttiva per contrastare gli impatti negativi connessi alla spedizione dei rifiuti in Paesi terzi. Oggi, il fashion si distingue come il settore con il maggior volume di rifiuti esportati verso Paesi non-OCSE (93,5% del totale), un valore che è quintuplicato tra il 2000 e il 2019, raggiungendo 1,7 milioni di tonnellate. La proposta europea però implica una profonda e complessa riforma per razionalizzare e rafforzare il sistema doganale europeo.
Un capo sostenibile costa il doppio e intanto la spesa media dei consumatori scende
Il costo di produzione complessivo per una maglietta tradizionale in cotone ammonta a circa $3,87. Il capo viene poi rivenduto al consumatore ad un prezzo di circa 2 volte superiore (fino a $8). Casi studio mostrano invece che produrre una maglietta in cotone etico da commercio equo e solidale possa costare fino a $8,72 con un prezzo al dettaglio di circa $36 – quattro volte superiore al costo di produzione.
La “fibra sostenibile non esiste”. L’impronta ambientale della moda si riduce grazie alla tecnologia
Circa il 70% delle fibre utilizzate per confezionare abiti e tessuti da arredamento sono sintetiche (es. poliestere e nylon). Mentre le fibre naturali sono comunemente percepite come più “rispettose dell’ambiente” in quanto rinnovabili e biodegradabili, i dati testimoniano che, in alcuni casi, possono esercitare impatti ambientali maggiori rispetto alle alternative sintetiche o artificiali. Il cotone ne è un esempio.
Nel 2020, i Paesi UE-27 hanno importato oltre 8,7 milioni di tonnellate di materiale tessile e hanno prodotto 6,9 milioni di tonnellate di prodotti tessili finiti. Le attività riconducibili a produzioni tessili hanno prodotto emissioni per 121 milioni di tonnellate di CO2eq, usando 175 milioni di tonnellate di materie prime vergini, consumando 24.000 milioni di m3 di acqua e occupando 180.000 km2 di terreno – circa 400 m2 per persona.
Eppure, a fronte di questi dati, secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente l’impronta ambientale del tessile tra il 2017 e il 2020 riporta che impatto ambientale unitario dei prodotti tessili domestici è diminuito in media del 46,3% in soli 4 anni.
Sempre tra il 2017 e il 2020, lo sviluppo tecnologico nel settore moda è avanzato del 23,3% principalmente trainato dall’incremento di brevetti depositati.
L’atteggiamento dei consumatori e lo “spreco” delle restituzioni online
Il 58% dei consumatori globali afferma che avere un impatto sulla sostenibilità della moda sia personalmente importante, ma le persone di ogni età acquistano raramente abbigliamento sostenibile nei negozi abituali.
In più, circa il 30% degli acquisti online viene restituito, e che il 70% di questi resi è il risultato di un “cambio di idea”, senza rendersi conto delle ripercussioni: come per esempio il conferimento in discarica di un’ingente quantità di capi “indesiderati”. Una parte considerevole finisce in Africa, dove più del 50% dei vestiti usati diventa immediatamente rifiuto.
Le opportunità del riciclo e del riuso
Le stime sui rifiuti tessili prodotti annualmente in Europa variano dai 5,2 milioni di tonnellate ai 7,5 milioni di tonnellate – pari a circa 26 miliardi di capi di abbigliamento con una crescita del 20% prevista al 2030. Più del 60% dei prodotti tessili gettati sono composti da fibre sintetiche come il poliestere. In media, su 35 articoli tessili buttati ogni anno da un cittadino europeo, 3 vengono riciclati e meno di 1 viene riutilizzato nel mercato domestico.
L’industria europea del riciclo di materiali tessili vale più di $4,6 miliardi, pari al 29,6% del valore complessivo a livello globale, ed è in grado di gestire più del 32% dei rifiuti tessili generati annualmente nel continente (circa 700.000 tonnellate). In questo contesto, considerata la crescente concentrazione di capi sintetici sul mercato europeo, il riciclo rappresenta una soluzione sempre più promettente.
Il riuso, a sua volta, consente di evitare fino al 97% delle emissioni di CO2 e di ridurre del 99% il consumo di acqua rispetto al riciclo chimico. Il mercato del lusso di seconda mano, che nel 2018 valeva $24 miliardi, sembra essere cresciuto rapidamente, con un aumento del 28% nel 2022.
A 10 anni di distanza dal disastro del crollo al Rana Plaza, in Bangladesh, solo 1,5 milioni di lavoratori sui 75 milioni che compongono il settore globale (< 2%) riceve un salario adeguato e dispone di contratti di assunzione formali, orari di lavoro stabili o protezioni stabilite in base al diritto del lavoro.
Cresce l’impegno delle aziende per la transizione
Tra il 2021 e il 2022, il numero di aziende europee della moda che presidiano la sostenibilità è aumentato del 17%: 71 tra le 100 più grandi si sono già attrezzate per gestire la transizione ma la migliore tra queste soddisfa solo il 70% dei requisiti di maturità dei presidi ESG.
Evidenziare una forte correlazione tra presidio e accelerazione delle performance è ancora complesso, ma le aziende con una governance ESG strutturata e remunerazioni collegate vantano presidi superiori in media del 36% rispetto ai propri concorrenti, mentre le aziende che hanno rendicontato le proprie emissioni in modo regolare negli ultimi 4 anni hanno ottenuto una riduzione del 37% delle emissioni di scopo 1 e 2.
Lo studio si conclude con un elenco di 8 proposte per una transizione giusta della moda globale, poste al centro del dibattito del Forum.