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Studio Standard Ethics

Le grandi aziende italiane tra le migliori per parità di genere in UE

Italia e Francia sono i Paesi europei con più aziende allineate al principio di parità di genere a livello apicale e l’Italia è best in class per la presenza di donne che ricoprono il ruolo di Ceo o presidente. Lo rivela lo Studio Comparativo sulla Parità di Genere pubblicato da Standard Ethics, un documento integrale che raccoglie e compara i risultati di ricerche condotte sulle 20 maggiori quotate delle prime cinque economie europee (Spagna, UK, Francia, Germania e Italia), per un totale di 100 aziende. L’analisi osserva tre fattori, cioè la composizione quantitativa del consiglio di amministrazione in relazione ai generi rappresentati, la pubblicazione di una politica specifica per la parità di genere, e l’allineamento alle indicazioni internazionali della politica dedicata all’uguaglianza di genere.

Dallo studio emerge che il 29% delle 100 aziende raggiunge la parità di genere nel consiglio di amministrazione, I Paesi che contano un maggior numero di aziende allineate con il principio di parità di genere a livello apicale sono Francia (55%) e Italia (45%), seguono Regno Unito e Spagna (20%), Germania (5%). Il 16% conta una figura di genere femminile in posizioni di vertice (Ceo/presidente). L’Italia è il paese più virtuoso in questo (35%), seguita da Regno Unito e Spagna (15%), Germania (10%) e Francia (5%). La maggior parte delle aziende non ha ancora adottato una specifica policy che impegni l’azienda verso la parità di genere – solo Italia e Spagna contano un’azienda con una Gender Equality Policy incorporata nei processi di governance. Le imprese che pur non avendo una politica specifica trattano comunque il tema nella loro Diversity&Inclusion Policy sono il 29% del campione. Guidano la classifica Germania e Francia (40%), seguono Spagna (30%), Italia (25%) e Regno Unito (10%).

Il caso italiano, che ha visto un approfondimento esteso alle maggiori 40 società per dimensione, è uno dei più virtuosi sia in riferimento alla parità di genere nel CdA sia in riferimento alle figure di genere femminile in posizione apicale. Sicuramente, ha inciso favorevolmente la legislazione nazionale che ha contribuito a promuovere la presenza del genere meno rappresentato nei CdA. Tuttavia, sono possibili ulteriori margini di miglioramento in conformità alle indicazioni internazionali promosse da ONU, OCSE e UE.

Un’ultima osservazione nasce proprio dal caso italiano, dove Standard Ethics rileva una maggiore propensione dei consigli di amministrazione con parità di genere a nominare figure femminili nelle funzioni monocratiche apicali (amministratori delegati o presidenti). Standard Ethics si augura di approfondire questa possibile correlazione in studi futuri e con campioni più significativi, in modo da fornire elementi statistici a sostegno di nuove misure legislative in materia.