Italia, Germania, Portogallo e Regno Unito sono Paesi “ad alto rischio” per la violazione di diritti del lavoro lungo la catena di fornitura, in termini di lavoro forzato, lavoro minorile, divari salariali e libertà di associazione, e risultano quindi non compliance a criteri ESG. A sostenerlo è Elevate, azienda attiva nel settore dei servizi per la supply chain, che nel suo rapporto Supply Chain ESG Risk Ratings ha rilevato che i mercati di approvvigionamento occidentali si sono allontanati dalla loro classificazione di rischio “basso”, e il lavoro forzato è stato identificato come uno dei massimi fattori di rischio. La principale causa dell’aumento di frequenza delle violazioni legate al lavoro forzato è l’incremento del ricorso a lavoratori stranieri immigrati, particolarmente vulnerabili e a rischio di rimanere intrappolati in accordi di lavoro forzato.
Le sfide che si pongono per i dirigenti di azienda sono molteplici e garantire catene di fornitura sostenibili e resilienti sembra essere diventato più complesso. Secondo l’aggiornamento 2023 di Elevate, infatti, attualmente quasi la metà di tutti i mercati di produzione è classificata come ad alto rischio. La designazione di rischio elevato indica che un Paese ha un’alta probabilità di incorrere in eventi di rischio che violano i quadri di governance ESG, compresi quelli sostenuti dalla legge locale e internazionale.
Livello di rischio ESG delle catene di fornitura globali
Indice
I Paesi occidentali non sono più a basso rischio
L’Occidente, a lungo considerato un porto sicuro per i suoi migliori standard di produzione, è ad alto rischio. Elevate ha rilevato una diminuzione nel rating complessivo di Stati Uniti e Canada, che tra un’edizione e l’altra del rapporto sono passati da medio ad alto rischio. Anche in Europa occidentale, però, sebbene regga la classificazione di medio rischio per il rating complessivo sulla catena di approvvigionamento, le violazioni ESG associate a lavoro forzato, lavoro minorile, libertà di associazione e divari salariali, sono decisamente aumentate. E l’Italia è tra i Paesi peggiori, cioè ad alto rischio.
Particolarmente preoccupanti sono stati i cali che Elevate ha registrato nei dati delle forme più gravi di rischio ESG: esposizione ai rischi associati ai lavoratori migranti e trattamenti disumani sul posto di lavoro.
Lavoro forzato
Tra le nazioni dell’Europa occidentale che registrano un alto grado di esposizione alle pratiche di lavoro forzato vi sono Italia, Regno Unito, Spagna e Portogallo. I settori maggiormente colpiti, secondo Elevate, sono l’agricoltura, l’edilizia e il lavoro domestico. Questi Paesi sono spesso punti di ingresso per migranti e rifugiati provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente, che sono altamente vulnerabili allo sfruttamento a causa del loro status irregolare e del limitato accesso alla protezione sociale e legale.
Il lavoro forzato non è una piaga sociale facile da estirpare. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), infatti, il numero di persone in regime di lavoro forzato è in continua crescita ed è aumentato almeno di 2,7 milioni dal 2016 al 2021.
Indice di lavoro forzato in Europa occidentale
Lavoro minorile
Altrettanto preoccupanti rispetto alla diffusione del lavoro forzato sono i rischi attuali associati all’uso del lavoro minorile all’interno delle catene di fornitura occidentali, un rischio a lungo ritenuto fuori dalla portata delle nazioni sviluppate. La valutazione di Elevate tiene conto dei casi di impiego di bambini di età inferiore ai 15 anni o in violazione delle leggi locali sull’età minima, riscontrando una situazione di alto rischio in Paesi come Stati Uniti e Canada. L’Italia, in questo caso, non si colloca tra i peggiori, ma è comunque considerata una nazione a medio rischio per il lavoro minorile.
Rischio di lavoro minorile a livello globale
Divari salariali
Anche in giurisdizioni con quadri normativi solidi, come nel caso della California, Elevate ha riscontrato un alto livello di divario salariale. Dall’indagine, infatti, è emerso che pochi Paesi sviluppati sono a basso rischio per quanto riguarda l’esposizione ai divari salariali, e l’Italia, con un rischio medio, non fa eccezione.
Grado di divari salariali a livello globale
Trattamenti disumani in aumento
Le criticità legate ai trattamenti disumani sono ampiamente diffuse tra i Paesi sviluppati, soprattutto negli Stati Uniti dove quattro Stati, tra cui New York e California, si sono classificati ad alto rischio. Altri mercati di produzione occidentali a cui Elevate ha assegnato una valutazione di rischio elevato sono il Portogallo e la Spagna. L’Italia è considerata, invece, a medio rischio.
Secondo Elevate, l’aumento della diffusione del trattamento disumano in occidente è legato alla rapida crescita del commercio elettronico, che ha portato a un incremento della domanda di magazzinieri e addetti alle consegne, che spesso lavorano in condizioni precarie e con scarsa sicurezza del posto di lavoro, sottoposti a obiettivi di produttività irrealistici, eccessiva sorveglianza e mancanza di pause adeguate. Inoltre, la pandemia ha messo in luce le carenze sistemiche delle normative in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in quanto i lavoratori di vari settori sono stati costretti a lavorare in condizioni non sicure, spesso senza adeguati dispositivi di protezione o accesso all’assistenza sanitaria.
Trattamenti disumani nel mondo
Diminuzione della trasparenza dei fornitori in un contesto di maggiori controlli
Un approccio basato sul rischio alla due diligence ESG della catena di fornitura e un programma di audit rigoroso sono fondamentali per gestire le catene di fornitura nei Paesi a più alto rischio, siano essi occidentali o meno. Ma spesso a complicare la capacità degli strumenti di mitigazione del rischio di valutare efficacemente le prestazioni dei fornitori è la misura in cui gli standard di audit riflettono in modo trasparente le pratiche della catena di fornitura. La trasparenza degli audit – definita come la possibilità per i revisori di accedere alle informazioni durante i processi di valutazione del rischio – non è ancora tornata ai livelli pre-pandemia, nonostante i miglioramenti apportati negli ultimi mesi.
Se l’accesso alle informazioni è un problema decisamente critico nella maggior parte dei mercati produttivi delle economie in via di sviluppo (in Cina solo il 38% di tutti gli audit effettuati nella seconda metà del 2022 rappresentava in modo accurato le condizioni delle fabbriche), anche i Paesi sviluppati, tra cui l’Italia, sono stati investiti da un calo dei livelli di trasparenza a causa della diffusione del fenomeno che Elevate definisce l’”inganno degli audit”. Si tratta di una situazione in cui i fornitori nascondono intenzionalmente informazioni o forniscono dati falsificati ai revisori, al fine di nascondere le pratiche scorrette. E la pandemia ha complicato il quadro, dato che l’accesso fisico ai siti di produzione per effettuare il controllo era più limitato. Sebbene la pandemia si sia attenuata e la trasparenza sia migliorata grazie al ritorno delle tecniche di valutazione tradizionali, secondo Elevate i livelli di trasparenza non sono ripresi a sufficienza per invertire il declino verificatosi durante la pandemia.
Tassi di trasparenza nelle principali regioni di approvvigionamento