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Indagine sulla rendicontazione di sostenibilità

PRI, rendicontazione ESG in ascesa ma non ovunque

L’introduzione di requisiti di rendicontazione ESG si sta diffondendo sempre di più, anche su temi specifici, ma non in tutte le giurisdizioni, e l’approccio sul reporting sta passando sempre di più da un approccio “tell me” a un approccio “show me”: gli operatori finanziari, cioè, sono sempre più chiamate a fornire indicazioni chiare sui risultati concreti e i KPI delle loro strategie ESG. Tuttavia, manca ancora un consenso globale sulla rendicontazione ESG degli investimenti. Le indicazioni arrivano da un’analisi globale sulla rendicontazione ESG svolta dal PRI (Principles for Responsible Investing), la rete di investitori sostenuta dalle Nazioni Unite impegnata nell’implementazione di principi che contribuiscano a rendere il sistema finanziario più sostenibile.

In dettaglio, il PRI ha condotto un’analisi del panorama globale della rendicontazione ESG per gli investitori e delle principali tendenze che guidano il reporting in questo campo, al fine valutare il modo migliore per garantire l’accountability delle pratiche di investimento responsabile a livello globale. L’analisi ha riguardato un totale di 120 strumenti di rendicontazione ESG, suddivisi in cinque iniziative di rendicontazione globale e nove giurisdizioni chiave: Australia, Canada, Cina, Unione Europea, Francia, Hong Kong, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti.

La rendicontazione ESG da parte degli investitori continua ad evolversi. Come per la rendicontazione ESG delle imprese, è in corso un dibattito sul fatto che la rendicontazione da parte degli investitori debba concentrarsi sull’impatto delle questioni ESG sul rischio di investimento e sui rendimenti finanziari o se debba essere estesa all’impatto degli investimenti nel mondo reale. Secondo il PRI, la possibilità che si crei un mosaico di diversi requisiti di rendicontazione ESG, sia obbligatori che volontari, è preoccupante per gli investitori, soprattutto per quelli che operano in più giurisdizioni o che si affidano alla rendicontazione di gestori di investimenti in giurisdizioni diverse. Soprattutto considerando i costi, gli oneri e le sfide pratiche che gli investitori devono affrontare per soddisfare i requisiti di reporting di sostenibilità.

Da oltre un decennio le aziende sono chiamate a una maggiore trasparenza su come gestiscono le questioni ESG nelle loro attività, ma anche se esiste una serie di requisiti nazionali per la rendicontazione, le iniziative di rendicontazione ESG complete sono state, finora, principalmente volontarie, secondo l’analisi. Una rendicontazione aziendale di alta qualità è tuttavia un prerequisito per una rendicontazione significativa da parte degli investitori in tali aziende. Anzi, alcune giurisdizioni hanno addirittura sfruttato i progressi compiuti nel campo della rendicontazione ESG aziendale per giustificare requisiti di rendicontazione ESG più stringenti per gli investitori (PRI cara il caso dell’UE), mentre altre (ad esempio, la Cina) hanno introdotto requisiti di rendicontazione aziendale e per gli investitori allo stesso tempo.

Su questo fronte, l’analisi cita alcuni punti chiave: innanzitutto, il fatto che, se alcuni temi ESG sono rilevanti per le aziende, ne consegue che gli stessi temi siano rilevanti anche per i loro investitori. Poi il fatto che gli obblighi di rendicontazione ESG per gli investitori sono sempre più numerosi, e che si moltiplichino le iniziative di reporting volontario, che possono contenere requisiti generali di rendicontazione (ad esempio, sulle attività di stewardship), nonché requisiti specifici di rendicontazione su questioni quali i progressi verso il Net zero (ad esempio, la Net-Zero Asset Owners Alliance). Infine, il fatto che ci sia anche una pressione da parte degli investitori di fondi, che da un lato derivano dalla proliferazione di prodotti d’investimento etichettati come ESG e dall’altra da una crescente domanda degli investitori di essere maggiormente responsabili di ciò che finanziano.

Diffusione a macchia di leopardo dei requisiti di rendicontazione ESG

Il numero di requisiti di rendicontazione ESG relativi agli investimenti per i proprietari di asset e i gestori di investimenti è in aumento, in parallelo all’aumento delle norme di rendicontazione per le imprese. La maggior parte dei requisiti imposti agli investitori (oltre il 90%) richiede una rendicontazione accessibile al pubblico o direttamente ai sottoscrittori dei prodotti finanziari, per evitare fenomeni di greenwashing.
Il numero di normative sulla rendicontazione ESG degli investimenti, tuttavia, varia significativamente da una giurisdizione all’altra. Le nove giurisdizioni esaminate possono essere raggruppate in questo modo: giurisdizioni ad alta regolamentazione, che includono UE, Francia, Hong Kong e Regno Unito; giurisdizioni a media regolamentazione, che comprendono Australia, Cina e Giappone; infine, giurisdizioni a bassa regolamentazione, che includono Canada e Stati Uniti.

Le giurisdizioni che hanno in gran parte accettato che considerare le questioni ESG come parte del processo decisionale di investimento in coerenza con il dovere fiduciario hanno introdotto l’obbligo di rendicontazione ESG e hanno i requisiti di rendicontazione più ampi. Al contrario, le giurisdizioni in cui si registrano ancora forti resistenze all’idea che l’integrazione delle tematiche ESG sia coerente con il dovere fiduciario si affidano in genere a standard volontari o elaborati da associazioni di settore, che tendono a essere meno onerosi.

Da “tell me ” a “show me”

I requisiti di rendicontazione inizialmente si sono concentrati sulla semplice comunicazione delle politiche e delle attività di stewardship, con particolare attenzione al voto per delega. I requisiti per la divulgazione delle politiche di stewardship, compresa la politica di voto per delega, e dei registri di voto sono comparabili nella maggior parte delle nove giurisdizioni esaminate dall’analisi.
Le giurisdizioni a media regolamentazione, spiega il PRI, adottano in genere un approccio “tell me”, in cui gli investitori sono tenuti a comunicare solo le loro politiche in materia di ESG, i loro obiettivi e la loro strategia di sostenibilità generale assieme alle sue modalità di attuazione, ma non i risultati di tali azioni o gli esiti di sostenibilità degli investimenti. Tuttavia, in ottica di contrasto al greenwashing e in virtù di una domanda di maggiore maggiore chiarezza da parte degli investitori di fondi su come viene investito il loro denaro, gli asset manager sono sempre più spesso tenuti a spiegare come le considerazioni o gli obiettivi ESG si riflettono nelle partecipazioni del fondo o nella sua performance di sostenibilità. Ad esempio, ai sensi dell’SFDR UE, un fondo finalizzato alla riduzione delle emissioni di carbonio deve seguire un benchmark climatico dell’UE o, se non esiste un benchmark adeguato, un benchmark di sostenibilità, fornire una spiegazione dettagliata degli sforzi compiuti per raggiungere l’obiettivo. Si tratta in effetti di un passaggio alla rendicontazione “show me”.

L’ascesa del reporting su questioni specifiche

Le autorità di regolamentazione stanno iniziando a richiedere una rendicontazione sui cambiamenti climatici in linea con le raccomandazioni della Task Force on Climate-Related Financial Disclosures (TCFD). In genere, questo passaggio è inquadrato in una visione ristretta del dovere fiduciario (cioè, quando si ritiene che il dovere fiduciario riguardi solo il raggiungimento del profilo di rischio/rendimento target dei beneficiari), per cui ci si aspetta che la rendicontazione si concentri sulla valutazione e sulla gestione dei rischi e delle opportunità legate al clima.
La Net Zero Asset Managers e la Net-Zero Asset Owner Alliance sono iniziative volontarie che richiedono la seguente rendicontazione da parte dei firmatari: gli asset manager si impegnano a pubblicare le informazioni TCFD e un piano d’azione per il clima, mentre gli asset owner rendono noti i loro obiettivi di riduzione delle emissioni e i progressi compiuti per raggiungerli. Esistono poi alcuni quadri di rendicontazione emergenti su specifiche questioni ESG che probabilmente si affermeranno nei prossimi anni. Come la TCFD, la Taskforce on Nature-related Financial Disclosures, che ha proposto che gli operatori di mercato rendano conto dei rischi e delle opportunità legati alla natura, in modo simile a quanto già richiesto in Francia. Si sta inoltre affermando la tendenza a segnalare il rischio di schiavitù moderna (e di altre violazioni dei diritti umani) negli investimenti e la risposta a tale rischio.

Il consenso globale sul reporting ESG è lontano

Un consenso globale sulla rendicontazione ESG degli investimenti sembra ancora lontano, secondo il PRI. Anche all’interno dell’UE, la giurisdizione più avanzata, esistono differenze nell’attuazione delle direttive comunitarie a livello nazionale, che riflettono una serie di fattori legali, di mercato e politici. Sebbene esistano alcuni requisiti di rendicontazione quasi universali, ad esempio in materia di voto per delega, il divario tra le giurisdizioni a bassa regolamentazione e quelle ad alta regolamentazione sembra aumentare.

in questa ottica, il PRI continua a voler esercitare un ruolo sul reporting, per fornire un contributo utile a guidare il cambiamento nel mercato. “La nostra intenzione è quella di fornire un quadro di rendicontazione universalmente applicabile che sia meglio allineato con i requisiti di rendicontazione delle giurisdizioni e che possa evolvere per soddisfare le future esigenze dei nostri firmatari. Continueremo inoltre a monitorare il panorama della rendicontazione per gli investitori al fine di informare il futuro sviluppo e l’implementazione del nostro quadro di rendicontazione”, si legge nell’analisi.