La proposta di etichettatura dei fondi lanciata dall’ESMA (European Securities and Markets Authority) continua a suscitare perplessità. Anche il SMSG (Securities Market and Stakeholder Group), gruppo di consulenza a cui si appoggia la stessa ESMA per le questioni più tecniche che riguardano le sue politiche in via di sviluppo, si è detto scettico su alcuni punti della proposta lanciata a novembre dall’autorità che attribuisce il criterio della soglia numerica per i fondi che utilizzano i termini ESG. Nei giorni scorsi anche l’EFAMA (European Fund and Asset Management Association) aveva sollevato qualche dubbio sulla proposta.
Il nodo della questione è la cosiddetta percentuale minima di investimenti richiesta per supportare un nome di fondo legato all’ESG. Nella consultazione lanciata dall’ESMA, infatti, l’associazione propone di individuare una soglia pari all’80% del patrimonio del fondo investito in titoli ESG per poter utilizzare il termine ESG riferito a tale fondo. Se invece la quota degli asset del singolo prodotto investiti in titoli che rispettano criteri sostenibili è pari al 50% potrà essere definito “sostenibile” o utilizzare altri termini legati alla sostenibilità.
L’SMSG ritiene che sia di per sé positivo che l’ESMA inviti gli attori finanziari a riflettere sul nome dei prodotti perché non devono essere fuorvianti. Tuttavia, il gruppo consultivo non è convinto sull’approccio basato su soglie quantitative proposto. Data la confusione che c’è ancora sui concetti di base, secondo l’SMSG potrebbe essere fonte di confusione per gli investitori aggiungere una seconda soglia relativa all’investimento sostenibile. Pertanto, il gruppo suggerisce di adottare in un primo momento un approccio qualitativo e, una volta chiarito il quadro generale, uno quantitativo.
Un altro punto su cui l’SMSG non è d’accordo con l’ESMA è quello della proposta di applicare le esclusioni di benchmark allineate a Parigi (Paris Aligned Benchmark) a tutti gli investimenti di fondi denominati ESG. Il disaccordo, spiega il gruppo nel documento, nasce dal fatto che non tutti i fondi sostenibili perseguono un obiettivo allineato a Parigi. Nella risposta alla consultazione, l’SMSG solleva anche la questione che il documento di consultazione non tenga nella giusta considerazione le strategie esistenti, né colleghi la proposta agli sforzi basati su regole esistenti inclusi in alcuni quadri nazionali.
In conclusione, secondo i membri dell’SMSG l’approccio proposto dall’ESMA si basa troppo su una visione “statica” dei fondi ESG. Così facendo, si rischia che un portafoglio che investe in un settore che necessita di una transizione su scala ad alto impatto (come quello energetico, ad esempio) possa non essere conforme, mentre un portafoglio investito in settori più neutri potrebbe risultare adeguato pur rivestendo un ruolo molto minore rispetto al raggiungimento degli obiettivi del Green Deal europeo.