Trent’anni fa il dibattito sul cambiamento climatico era considerato assurdo da molti; quasi nessuno credeva che stesse avendo luogo. Negli ultimi anni molto è cambiato in termini di consapevolezza ed oggi sappiamo con certezza che possiamo solamente rallentare questo fenomeno e non fermarlo. Alle cause naturali si sono aggiunte le azioni dell’uomo che secondo il Comitato Intergovernativo per i Cambiamenti Climatici (IPCC) è il primo responsabile del peggioramento del clima dal periodo post-industriale (1850-1900).
Dopo Berlino (1995, anno della prima Conferenza delle Parti, COP1), Kyoto (1997, COP3) e Parigi (2015, COP21), solo per citare alcuni tra i meeting più significativi, siamo arrivati a novembre 2021. I principali capi di governo mondiali si sono riuniti a Glasgow (COP26) per tracciare il sentiero verso la neutralità di emissioni ad effetto serra. Quello che era partito come un buon proposito da parte di tutti si è presto trasformato in un nulla di fatto.
Nel documento finale, anziché avere un “phase-out” (uscita) dal carbone entro il 2050, ci si è accordati su un “phase-down” (diminuzione) entro tale data. Responsabili di questa modifica in extremis sono state Cina e India, due nazioni che hanno sempre più importanza a livello mondiale e che col loro agire hanno quasi compromesso tutto il lavoro della conferenza. Greta Thunberg ha pronunciato un discorso che passerà probabilmente alla storia come quello del “pianeta bla bla bla”, dove l’attivista svedese ha sottolineato come i leader politici non abbiano fatto altro che parlare, senza però agire di conseguenza.
COP27: dove eravamo rimasti?
Molte cose sono cambiate rispetto ad un anno fa, in primis dopo il 24 febbraio 2022, data d’inizio dell’invasione militare dell’Ucraina. L’Europa ha prontamente reagito compatta a sostegno dell’Ucraina e contemporaneamente ha previsto
diversi pacchetti di sanzioni economiche e finanziarie contro la Russia. Tutto teoricamente perfetto, ma l’Europa forse non aveva previsto tutte le possibili conseguenze che queste sanzioni avrebbero potuto causare all’economia del Vecchio Continente.
Ci siamo ritrovati davanti ad una nuova guerra, dove l’energia è usata come arma e come forma di potente ricatto da parte della Russia. Se dovesse interrompere le forniture di gas, la Russia molto probabilmente causerà la recessione in Europa nel 2023.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale l’Europa perderebbe fino al -6% di PIL nel caso di totale mancanza di forniture di gas russo per un periodo prolungato di tempo.
A settembre 2022, a non aiutare una situazione geopolitica già ampiamente compromessa, si è verificato l’attacco ai gasdotti North Stream 1 e 2 nel Mar Baltico. Non ci sono molti dubbi circa il fatto che non si sia trattato di un incidente, mentre più arduo è stabilire chi abbia effettuato un attacco multiplo che ha provocato la fuoriuscita di 500 milioni di metri cubi di gas e che ha determinato con ogni probabilità la compromissione dell’efficienza dei due gasdotti, a
causa dell’acqua salata che è penetrata in profondità allagando e corrodendo le grandi infrastrutture metalliche.
Se prima la parola energia era spesso associata a parole come “decarbonizzazione” o “Net-Zero”, ecco che il 2022 ha cambiato completamente il paradigma. Quando si parla di energia ora le parole più utilizzate sono “indipendenza” o “differenziazione delle fonti di approvvigionamento”. Ecco allora come gas e nucleare soprattutto, ma anche il carbone, in totale controtendenza rispetto al passato, sono tornate in cima alla lista delle proprietà nazionali
per sopperire alla mancanza di forniture di gas russe.
In questo momento storico per il mondo occidentale garantirsi l’energia necessaria per poter svolgere le attività di base è di gran lunga più importante rispetto al piano di taglio emissioni delineato dagli Accordi di Parigi, che cerca di limitare il riscaldamento medio globale ben al di sotto di 2° gradi Celsius rispetto al periodo preindustriale.
In questo scenario torniamo ai giorni d’oggi a COP27 a Sharm El-Sheikh, in Egitto. Un meeting dichiarato fallimentare ancor prima di iniziare a causa di assenze illustri. Oltre al Presidente russo Putin, assente per ovvi motivi, non si sono presentati neanche il segretario generale del Partito Comunista Xi Jinping (Cina) e il Primo Ministro Modi (India),
proprio loro che erano riusciti a boicottare l’evento precedente. Ecco che allora è difficile sperare nella ricerca di un accordo efficace quando mancano tre delle nazioni che producono più di un terzo di tutta la CO2 mondiale.
Chi emette più CO2
Le emissioni globali di anidride carbonica (CO2) sono state di 36,2 miliardi di tonnellate nel 2017
Nonostante tutto alla conferenza sono comunque stati trattati cinque temi principali cruciali per il futuro del
nostro pianeta:
- Decarbonizzazione: la riduzione delle emissioni è uno dei temi portanti delle COP che si sono susseguite negli anni ed è estremamente rilevante per il raggiungimento degli obiettivi climatici;
- Adattamento climatico: non è mai stato così necessario, dato l’aumento degli impatti disastrosi dei cambiamenti climatici che stanno aumentando di intensità e di frequenza;
- Natura: non è possibile mantenere l’obiettivo dell’aumento della temperatura globale senza intervenire per limitare la deforestazione, senza trasformare i sistemi alimentari e quelli di sfruttamento del suolo e senza proteggere gli ecosistemi oceanici;
- Cibo: le emissioni di gas serra associate all’intera catena alimentare sono circa il 37% di quelle totali. Il settore agroalimentare emette circa 15 miliardi di tonnellate di CO2, la stessa identica quantità di energia del settore elettrico globale. Inoltre, bisogna limitare gli sprechi alimentari in quanto non pensiamo che quello che buttiamo ha comunque richiesto terra, acqua, fertilizzanti, gasolio, tutte risorse che aggravano la crisi ambientale.
- Acqua: di tutta l’acqua disponibile sul pianeta solo lo 0,02% è potabile e disponibile all’uomo. Il cambiamento climatico sta incidendo fortemente sugli eventi estremi connessi all’acqua, come le inondazioni e la siccità.
Inoltre rimane ancora molto annosa la questione del “loss and damage”. I Paesi in via di sviluppo, che oggi inquinano di più, sottolineano come i paesi industrializzati debbano prendersi le proprie responsabilità economiche tramite un risarcimento per l’inquinamento che hanno provocato per raggiungere il loro attuale livello di sviluppo, industrializzazione e benessere. L’ultima richiesta risale a giugno 2022, dove la Coalizione dei 55 paesi più vulnerabili del mondo ha calcolato di aver perso dal 2000 ad oggi almeno 525 miliardi di dollari a causa di eventi climatici estremi. Al momento la maggior parte delle economie avanzate – ad eccezione della Danimarca – si sono opposte all’istituzione di un fondo destinato al risarcimento dei danni.
Intanto l’Organizzazione metereologica mondiale (WMO) non fa sconti a COP27, chiamata ad agire subito e sul serio, pubblicando il rapporto “Stato del clima globale nel 2022” in cui emerge come gli ultimi otto anni siano stati i più caldi di sempre, alimentati da concentrazioni di gas serra in costante aumento e dal calore accumulato. Con effetti visibili: il tasso di innalzamento del livello del mare è raddoppiato dal 1993, aumentato quasi di 10 mm da gennaio 2020. E gli ultimi due anni e mezzo da soli rappresentano il 10% dell’innalzamento complessivo del livello del mare da quando le
misurazioni satellitari sono iniziate (quasi 30 anni fa), con una temperatura media globale nel 2022 attualmente stimata in circa 1,15° gradi Celsius al di sopra della media preindustriale. Le concentrazioni dei principali gas serra, ovvero anidride carbonica, metano e protossido di azoto, hanno infatti nuovamente raggiunto livelli record nel 2021.
Temperatura media globale rispetto alla media del 1850-1900
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha invece lanciato un appello definendo quattro obiettivi chiave: mitigazione, adattamento, finanziamento e collaborazione per affrontare la crisi climatica.
Secondo l’OMS tra il 2030 e il 2050 si prevede che il cambiamento climatico provocherà circa 250.000 morti in più all’anno con costi sulla salute tra i 2 e i 4 miliardi di dollari.
Difficile dire a priori se quanto si è raggiunto a COP27 consentirà di iniziare per davvero un percorso di decarbonizzazione o meno. La cartina di tornasole di questa e di ogni futura COP è quanto le deliberazioni siano accompagnate dall’azione: un’azione che deve essere globale e non può riguardare solo le economie occidentali.
Quello che è chiaro è che siamo solo all’inizio di un lungo percorso, che durerà per i prossimi decenni. Se ci eravamo immaginati un percorso lineare, purtroppo non sarà così. L’importante è che poi alla fine si realizzi quanto tutti ci auguriamo: un mondo sostenibile in grado di sopravvivere a molte generazioni a venire.