Geopolitica

Russia-Ucraina, fuga dagli asset russi

Non saranno solo le considerazioni sulla sostenibilità – un concetto, sottolineano gli esperti, certamente non compatibile con l’iniziativa bellica – ma soprattutto quelle di natura economica e geopolitica a spingere la fuga dei fondi dagli asset russi.

Già a fine agosto 2021, l’agenzia di rating tedesca Scope Ratings affermava che la tassa sul carbonio che era stata appena proposta dall’UE, il più grande partner commerciale della Russia, avrebbe potuto potenzialmente avere un impatto considerevole sul bilancio della Russia, che si basa pesantemente sulle esportazioni di petrolio e gas.

Secondo Scope Ratings, inoltre, le debolezze strutturali dell’economia e la mancanza di politiche climatiche conformi agli standard internazionali avrebbero pesato fortemente sulla salute dell’economia russa. La Russia è infatti il quarto produttore di carbonio al mondo (con il 4,7% delle emissioni globali di CO2, quasi il doppio in termini pro capite della media dell’UE) e questo pone certamente il paese in una posizione di svantaggio sul piano ESG rispetto alle questioni ambientali. 

Oggi, con l’inasprirsi del conflitto tra Russia e Ucraina, in particolare nella regione del Donbass, gli equilibri geopolitici ed economici vengono stravolti ulteriormente. 

Londra, in seguito al riconoscimento del presidente Putin dell’indipendenza del Donbass e dell’invio di truppe in Ucraina, ha annunciato lo stop della vendita dei titoli di Stato russi. “Siamo stati molto chiari sul fatto che limiteremo l’accesso ai mercati britannici”, ha commentato il ministro degli Esteri britannico Liz Truss. Lo stop alla vendita dei titoli di Stato russi era già stato messo in atto da Washington nel 2014, quando la Russia aveva annesso la Crimea.  

Dal canto suo, la borsa di Mosca ha sospeso le contrattazioni in tutti i mercati, subito dopo l’annuncio di Putin sull’operazione militare ai danni dell’Ucraina. Il MOEX, indice azionario di riferimento russo, è in calo di quasi il 30% rispetto al picco raggiunto ad ottobre, registrando il suo risultato peggiore dall’annessione della Crimea. Gran parte degli investitori ha deciso inoltre di vendere il debito pubblico russo e ucraino, spingendo in alto i rendimenti delle obbligazioni e facendo scendere i prezzi. 

Da ieri, inoltre, Stati Uniti ed Europa hanno comunicato l’imposizione di sanzioni finanziarie al Cremlino, la cui entità è ancora in divenire e da definirsi: tra queste, anche il ban agli investimenti in titoli di stato russi. Il presidente USA Joe Biden ha deciso infatti di vietare alle istituzioni americane di investire in debito russo. “Stiamo tagliando fuori il governo russo dai finanziamenti occidentali“, ha dichiarato il numero uno della Casa Bianca. Questo significa che gli investitori non potranno acquistare ogni titoli di stato russi emessi dopo il 1° marzo.  Ora bisognerà vedere se i bond russi rischiano di essere tolti dagli indici: una dinamica che comporterebbe vendite massicce a livello globale. E che secondo quanto dichiarato al FT da Viktor Szabo, portfolio manager di Abrdn, è “abbastanza probabile”.