Un anno fa, in piena fase di rialzo dei tassi e con l’inflazione apparentemente fuori controllo, una delle profezie più in voga tra gli esperti di mercato era la fine dell’epoca d’oro dei titoli tecnologici. Con la fine dell’epoca della liquidità super-scontata, si diceva, si sarebbe conclusa anche la stagione delle mega-valutazioni delle aziende growth, tra cui troviamo i grandi colossi americani come Apple e Alphabet. I multipli strabilianti, si pensava, non sarebbero stati più giustificabili e la promessa di continuare a generare crescita sarebbe diventata più difficile da mantenere. Con sorpresa di molti, invece, oggi ci troviamo a fare i conti con un nuovo boom del Nasdaq100, un listino che negli ultimi anni ha raggiunto un livello di attrazione gravitazionale tale da riuscire a portarsi sulle spalle da solo le fortune di tutti gli investitori azionari globali.
La frenesia scatenata dalla crescente popolarità dell’intelligenza artificiale generativa e delle sue applicazioni, come ChatGPT, ci ha ricordato che siamo alle porte di una nuova rivoluzione industriale. Smentendo chi, solo fino a pochi mesi fa, sosteneva che l’avvento dell’AI fosse lontano o che l’automazione avrebbe riguardato solo le mansioni più ripetitive.
Oggi si respira un clima di euforia collettiva e tutti gli investitori si stanno affannando per non perdere il “treno del futuro”, saltando sul primo vagone che si trovano davanti, sperando sia quello buono.
Valutazioni da fare Nvidia
L’azienda simbolo di questa fase è Nvidia, l’ultima arrivata nel club della megacorp da oltre mille miliardi di dollari di capitalizzazione. L’azienda produce microchip e fino a qualche anno fa era nota ai più per le schede video installate in moltissimi computer. Queste componenti hardware sono oggi necessarie per i supercomputer che supportano le tecnologie legate all’intelligenza artificiale.
L’azienda aveva già visto crescere a dismisura il prezzo delle proprie azioni negli ultimi anni (anche in occasione del boom delle criptovalute) e secondo molti analisti era il simbolo delle valutazioni fuori mercato che caratterizzano il settore tecnologico. Tuttavia, dopo la revisione al rialzo delle aspettative per i ricavi nel terzo trimestre a 11 miliardi (+64% sui numeri record dello scorso anno), la capitalizzazione è esplosa, facendola diventare la sesta società quotata più grande al mondo.
Di intelligenza artificiale si parla da molti anni. Secondo il report “AI in action: where is the smart money going? ” pubblicato a maggio da Deutsche Bank, si contano oltre 175 mila depositi di brevetti di AI pubblicati dal 2012 al 2022 tra i 193 membri dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale. Nonostante ciò, l’attuale “febbre” per l’AI sembra dovuta, soprattutto, all’aumento della capacità di calcolo, che ha normalizzato l’utilizzo delle tecnologie su ampia scala.
Gli azionisti di Nvidia non sono gli unici che hanno beneficiato della situazione. Negli ultimi anni le ricerche e gli investimenti sull’intelligenza artificiale si sono moltiplicati e molte grandi aziende provano oggi ad accreditarsi agli occhi degli investitori come le vincitrici nella corsa all’AI. Emblematico il caso di Alphabet Inc., la casa madre di Google, che si è impegnata in una massiccia campagna di comunicazione per pubblicizzare le numerose applicazioni dell’AI all’interno dei suoi servizi e, come risultato, ha sovraperformato il mercato senza che nemmeno ci fosse evidenza di un riscontro positivo sugli utili.
Un fuoco di paglia?
Il rally dei mercati ha colto molti di sorpresa e si presta a varie interpretazioni. La lettura positiva, dalla quale come investitori possiamo trarre una lezione, è che l’innovazione tecnologica rappresenta un fattore di sorpresa positiva sui mercati e può essere talmente decisiva da ribaltare anche le valutazioni fondamentali. Ovviamente c’è una seconda lettura più critica, secondo cui le spalle di questo rally non siano così larghe e si correrebbe il rischio di una nuova bolla, simile a quella delle dot-com.
Intanto sul mercato sembra tornata la concentrazione intorno alle grandi aziende tech che ha caratterizzato gli ultimi dieci anni, a conferma di come le aziende dell’indice FANG+ (Facebook, Amazon, Nvidia, Netflix, Alphabet), grazie alla loro capacità operativa e alle ingenti risorse, siano ancora considerate dei porti sicuri, con buona pace di chi ne aveva sentenziato troppo presto il declino.
Da inizio anno a fine maggio, il Wilshire 5000, ovvero l’indice statunitense più comprensivo, ha fatto registrare un ritorno dell’8,8%, di cui l’’8,4% può essere attribuito alle 10 azioni più grandi per market cap. Il sintomo più visibile è l’aumento del “costo” delle azioni tech americane, che ora hanno un rapporto prezzo/utili molto più alto rispetto all’S&P 500 (quasi in linea con i picchi del 2021, quando i tassi erano ai minimi e le tech stocks dominavano la narrativa dei mercati nel mondo post-pandemia). Nel breve termine, dunque, esiste sicuramente il rischio di una normalizzazione, ma sarebbe un grave errore derubricare questo trend come una tendenza passeggera.
L’AI è qui per restare?
Se si guarda a diverse analisi di lungo periodo, i numeri dell’intelligenza artificiale fanno sicuramente gola. Secondo il report “The economic potential of generative AI: The next productivity frontier” pubblicato a giugno da McKinsey & Company, l’intelligenza artificiale generativa, la tecnologia propria di ChatGPT, sarà alla base di una nuova rivoluzione della produttività. Lo studio ha preso in considerazione 63 casi d’uso dell’intelligenza artificiale generativa (dal servizio al cliente, al marketing aziendale) e ha stimato che l’aumento di produttività potrà creare un valore tra i 2,6 e i 4,4 trilioni di dollari all’anno(più del Pil dell’Italia anche nella proiezione più conservativa).
Secondo l’analisi di mercato pubblicata da Precedence Research, che osserva i trend dal 2022 al 2032, il giro d’affari del settore dell’intelligenza artificiale crescerà del 19% all’anno da qui al 2032. Più ottimista Fortune Insight che nel suo report “Artificial Intelligence Market Size to Surpass USD 2,025.12 billion by 2030, exhibiting a CAGR of 21.6%”, ipotizza una crescita annuale di addirittura il 21,6% da qui al 2030. Insomma, sembra che l’intelligenza artificiale sia destinata a generare un livello di crescita che farebbe gola a qualsiasi investitore.
Certo, non bisogna sottovalutare i potenziali effetti negativi che una rivoluzione del genere potrebbe scatenare sull’economia globale e sul mercato del lavoro. Quante persone perderanno il proprio posto di lavoro? La forza lavoro sarà in grado di riconvertirsi? Ci sarà un effetto deflazionistico? E chi pagherà il conto? Tutte queste domande dovranno, prima o poi, trovare anche una risposta di tipo legislativo.
In attesa di scoprire cosa succederà, possiamo dare per assodato il fatto che l’intelligenza artificiale continuerà a dominare il mondo del lavoro da qui in avanti. Meno chiaro è l’elenco delle aziende che beneficeranno di questa svolta, tenendo a mente che la storia delle grandi rivoluzioni industriali è sempre costellata da aziende che nascono, si gonfiano, scoppiano e vengono dimenticate. Insomma, potremmo vedere scoppiare molte meteore prima di scoprire le Google e le Amazon della quarta rivoluzione industriale (ammesso che ce ne saranno). E questo non è un rischio da poco in un mercato dove le valutazioni P/E di alcune aziende specializzate raggiungono cifre esorbitanti con rapporti oltre 30/40 punti, contro una media del settore tech intorno ai 25.
In ogni caso, dati i rischi e la difficoltà di prevedere chi saranno i vincitori con certezza, continuiamo a raccomandare un approccio diversificato e selettivo. L’onda dell’AI è appena arrivata e la partita, come spesso accade negli investimenti, si vincerà nel lungo termine. Ma giocarla, al momento, sembra comunque la mossa più intelligente da fare.