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Intervista

Xing Xu (Comgest): “Asia in corsa sulla strada dell’ESG”

Anche in Asia l’interesse per gli investimenti sostenibili è in aumento e con esso la relativa regolamentazione. Per Comgest, società di asset management indipendente dalla presenza internazionale caratterizzata da uno stile di gestione quality growth, l’analisi ESG è un’importante componente per la valutazione complessiva delle caratteristiche qualitative di una società. E tra i vari elementi, environmental, social e governance, è quest’ultima a rivestire maggiore importanza, in quanto presupposto fondamentale per il successo di una strategia ESG efficace. I Paesi asiatici stanno realizzando grandi passi in avanti nell’adozione di modelli di crescita sostenibili per quanto riguarda sia gli aspetti ambientali sia quelli sociali, tuttavia persistono differenze a seconda dell’area geografica considerata e del sistema politico vigente. ESGnews ne ha parlato con Xing Xu, analista ESG Asia ex Japan Comgest.

In che modo la crisi energetica e le tensioni politiche globali (guerra in Ucraina, Taiwan) hanno cambiato la prospettiva degli investimenti ESG in Asia in questo momento?

Non stiamo osservando grandi cambiamenti. Gli investimenti ESG in Asia stanno aumentando e questa è una tendenza macro su cui le tensioni politiche non stanno avendo effetti distorsivi. E, anzi, in Asia vi sono delle imprese nel settore delle energie rinnovabili molto interessanti.

Come sta evolvendo la regolamentazione ESG in Asia? Quali regioni sono meglio posizionate in quest’area?

La regolamentazione ESG sta evolvendo in modo positivo e alcune regioni stanno prendendo ispirazione dalla tassonomia europea, ma si possono riscontrare delle differenze a seconda dell’area geopolitica presa in considerazione. Per esempio, per quanto riguarda la rendicontazione non finanziaria, sulla Borsa di Hong Kong è già obbligatoria per le società quotate e anche a Singapore sono stati introdotti alcuni requisiti di disclosure ESG (riguardanti per lo più imprese appartenenti a settori fortemente carbon intensive). Nella città-stato si stanno inoltre discutendo alcune misure per combattere il greenwashing, soprattutto integrando all’interno delle regolamentazioni che proteggono i consumatori dalle pratiche sleali anche la definizione di cosa è considerato sostenibile e cosa no.

Anche in Giappone sono molto avanti su questo fronte, soprattutto per quanto riguarda la documentazione non finanziaria inerente ai fattori ambientali e sociali, ma vi sono al contempo, invece, diversi problemi riguardanti la governance che temo non possano essere risolti nel breve periodo.

L’adozione di queste pratiche comunque non è omogenea nell’area asiatica: in Cina, per esempio, non è previsto nulla di simile nonostante il Paese si sia impegnato a raggiungere il picco di emissioni di carbonio prima del 2030 per arrivare alla neutralità di carbonio entro il 2060.

Pensa che la Cina raggiungerà i suoi obiettivi di decarbonizzazione?

Nell’ultimo anno c’è stato un calo dell’incremento delle emissioni di CO2 in Cina che è però attribuibile ai frequenti lockdown dovuti alla pandemia di Covid19. Ora, come è accaduto anche in altre economie globali, il tasso emissivo sta di nuovo salendo, ma non di più rispetto ai livelli pre-pandemici.

Non so se le strategie messe in atto permetteranno di raggiungere i target annunciati, ma credo che questa incertezza valga anche per l’Unione Europea. Ciò che possiamo osservare è comunque lo sforzo che si sta facendo nella direzione auspicata, attraverso misure quali l’implementazione della tassonomia verde o i nuovi China Green Bond Principles, pubblicati a luglio 2022, che stabiliscono standard unificati in grado di avvicinare le caratteristiche delle emissioni di green bond cinesi alle pratiche internazionali.

Penso che la questione critica resti l’implementazione di queste pratiche sostenibili. Non so come Pechino agirà in futuro, ma se questo tipo di finanza sostenibile diventerà parte del piano economico, vi saranno alte probabilità per cui la Cina raggiungerà i propri obiettivi nei tempi previsti.

È possibile l’engagement con un’azienda in Cina? Può fornirci qualche esempio?

Si, è possibile. Alcune società sono molto trasparenti, innovative e open-minded e riscontriamo interesse ora sugli aspetti ESG, soprattutto per quanto riguarda la rendicontazione non finanziaria. Ci confrontiamo regolarmente con le imprese in cui investiamo e la sostenibilità è sempre più al centro degli incontri con i team dell’Investor Relations. Alcune società mandando addirittura dei questionari per capire meglio quali sono gli aspetti della strategia che riteniamo più rilevanti.

Per esempio, un argomento molto delicato da trattare riguarda le remunerazioni. L’auspicio è che, implementando l’informativa aziendale sugli aspetti ESG, sarà sempre più facile discutere su determinate informazioni riportate nelle documentazioni. Ma la strada è lunga.

Qualcosa, comunque, si sta smuovendo e alcune grandi multinazionali, come per esempio Alibaba, hanno inviato dei questionari per conoscere l’opinione degli investitori sull’ESG. Ciò per noi può rappresentare una buona occasione per rendere chiara la nostra visione sull’argomento.

Gli aspetti da migliorare riguardano quindi per lo più la governance? A che punto è l’implementazione di standard ambientali e sociali rispetto a una prospettiva internazionale?

Dipende molto dalla tipologia di azienda e dalla regione geografica. Per Comgest tutti i criteri ESG sono importanti e quindi migliorabili, ma ci sono degli aspetti che guardiamo di più rispetto ad altri, quando analizziamo una società, a seconda del settore in cui opera. Per esempio, ci sono aziende che sono più esposte a rischi ambientali come quelle del Food&Beverage, a cui richiediamo maggiore attenzione per quanto riguarda lo spreco alimentare e la gestione delle risorse, e altre che sono più esposte a rischi sociali, soprattutto in Cina, come quelle del settore delle costruzioni, dell’aviazione e della tecnologia, a cui richiediamo standard più stringenti sulle condizioni lavorative dei dipendenti e in generale sulla gestione del capitale umano. Tutte le imprese, però, sono accomunate dalla governance che è alla base del successo di una buona strategia ESG.

Come gestite i rischi politici quali per esempio quelli derivanti per esempio dalle tensioni tra Cina e Taiwan?

Nella nostra analisi ESG includiamo l’analisi dei rischi politici, ma in modo molto limitato perché non facciamo previsioni di mercato. Il modo in cui integriamo questa tipologia di problemi è considerarli all’interno dell’analisi della gestione del rischio allo stesso modo dei rischi di business, identificandoli come “country risk”.