Intervista

“L’impatto zero non esiste”, il libro della Balzan sulla misurazione della sostenibilità

La sostenibilità è ormai divenuto un tema imprescindibile per la gestione delle organizzazioni, sia pubbliche sia private. Se affrontato nelle corrette modalità, e con efficaci strumenti di misurazione, la sostenibilità può rivelarsi un ottima scelta anche dal punto di vista economico, dando la possibilità di aumentare il valore delle aziende ben posizionate anche sui criteri ESG (Environmental, Social e Governance). Ma con quali strumenti si misura e si dimostra la sostenibilità? Sono le domande a cui Ada Rosa Balzan risponde nel libro “L’impatto zero non esiste”.

Il volume si propone come una bussola utile per orientarsi nel complesso mondo della misurazione ESG della sostenibilità, partendo dall’assunto che l’impatto zero non esista e che a ogni nostra scelta corrisponda un impatto, non solo sull’ambiente, ma anche sulle persone. Per questo Balzan analizza e indaga su tutti gli aspetti della sostenibilità dimostrando un nesso di causalità tra il rispetto dei criteri ESG e le buone performance economiche delle aziende. Una narrazione corroborata ospitando testimonianze di organizzazioni che raccontano il proprio percorso di sostenibilità.

ESGnews ha intervistato l’autrice, Ada Rosa Balzan, per approfondire il suo punto di vista su questi temi. 

“L’impatto zero” non esiste è il titolo del suo libro. Può spiegarci meglio il concetto?

È un concetto tanto semplice quanto sfuggevole, perché molto spesso vediamo delle pubblicità che dichiarano che quel prodotto o servizio è a “impatto zero”. Impatto zero scientificamente non esiste, ogni cosa produce un impatto, sull’ambiente ma anche su aspetti sociali e di governance di una azienda. Chi legge questa intervista riceve un “impatto” di tipo sociale, di aggiornamento delle proprie conoscenze su questo tema, e probabilmente qualcuno di loro ne parlerà in azienda e potrà nascere una valutazione interna che modificherà col tempo anche la governance della azienda stessa.

Il titolo vuole trasmettere nell’immediato la consapevolezza e coscienza che ogni nostra azione ha conseguenze, che dobbiamo conoscere per essere in grado di minimizzare quelle negative, ridurle il più possibile e invece incrementare quelle positive. Non si parla solo di ambiente, anzi nel libro si evidenzia come pesino di più le tematiche sociali e di governance. Si parte da un concetto chiave, sono le attività antropiche che impattano sull’ambiente, per questo dobbiamo partire da noi.

Quali sono, a suo avviso, le strategie vincenti per comunicare e misurare la sostenibilità?

In primis fare sostenibilità, poi comunicarla. Sembra una precisazione scontata, ma molto spesso si sottovaluta il fatto che se non si hanno evidenze serie, basate su dati di ciò che l’azienda fa sulla sostenibilità si rischia anche involontariamente di incorrere in casi di green o social washing

A gennaio 2021 la Commissione europea ha pubblicato un report dei siti web che promuovevano prodotti e servizi pubblicizzati come “green”. Il risultato è stato che la metà di essi era basato su affermazioni vaghe e generiche e non fornivano dati e informazioni che dimostrassero la fondatezza di quanto affermato.

La prima sentenza italiana su un caso di greenwashing dello scorso anno evidenzia che diciture come “scelta naturale”, “amica dell’ambiente”, sono pubblicità ingannevole se non basate su dati oggettivi.

Nell’ordinanza, il Tribunale di Gorizia cita l’articolo 12 del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, secondo cui “la comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili”.

Quindi la strategia vincente è prima fare, utilizzare solo strumenti e metodologie con solide basi scientifiche, e poi comunicare utilizzando i dati emersi a supporto di quanto si sta affermando.

Può spiegarci nel dettaglio le quattro “C” che devono accompagnare l’azienda nel processo di sostenibilità di cui parla nel libro?

Capire, costruire, concretizzare e comunicare è l’approccio più corretto per fare il percorso di sostenibilità in azienda. Nasce dai miei venticinque anni di esperienza e dallo sviluppo anche di strumenti di supporto e semplificazione per le aziende per intraprendere il proprio percorso di sostenibilità.

Nel “capire” spiego i concetti chiave della sostenibilità, cosa significano alcune parole, sigle, di uso comune ma che spesso non sappiamo esattamente a cosa fanno riferimento (ESG, SDGs per esempio).

Nel “costruire”, invece, entro nel dettaglio dei principali strumenti che si possono utilizzare, cosa sono, perché utilizzarli e i vantaggi che portano.

Nel “concretizzare”, come specifico proprio all’inizio del capitolo stesso, rispondo alla domanda che spesso gli imprenditori mi fanno: “come posso rendere la mia azienda sostenibile?” È fondamentale partire sempre da un check up per capire dove l’azienda si posiziona su questi temi, per questo abbiamo creato SI Rating (l’algoritmo made in Italy che calcola la sostenibilità delle imprese) che consente all’impresa di avere un’analisi dettagliata delle sue performance di sostenibilità e indicazioni concrete di come migliorarle.

In ultimo, solo dopo aver compiuto azioni concrete, “comunicare” la sostenibilità. Come scrivo in questo capitolo “la correttezza e la trasparenza delle informazioni che date su questi temi generano la fiducia e la credibilità verso la vostra azienda e i vostri prodotti. Se mancano queste premesse non fate comunicazione usando la sostenibilità”.

Crede che la lotta al greenwashing attuale sia efficace? Quali miglioramenti suggerisce a riguardo?

Credo che i consumatori siano più attenti e verifichino più spesso di quanto non accadesse prima se la promessa che gli viene fatta è vera o è solo un claim pubblicitario. Soprattutto i giovani, non sono solo nativi digitali ma anche nativi sostenibili, rispetto alla mia generazione sono più informati e più critici su questi temi e vanno a fondo su quanto gli si dice.

I miglioramenti che suggerisco? Ribadisco quanto detto sopra, prima fare poi comunicare. Ma fare seriamente, avendo dei dati da spendere che si basino su metodi e strumenti scientifici internazionalmente riconosciuti. C’è in gioco il rapporto di fiducia con i propri stakeholder e quando si rompe quello è veramente difficile da recuperare ed il costo è nettamente superiore a quello di aver fatto bene e con serietà il proprio percorso di sostenibilità.