Pietro Giuliani Azimut

Intervista

Giuliani (Azimut): cresceremo nel private equity puntando anche sulle aziende sostenibili

Circa 600 milioni di utile e 18,3 miliardi di raccolta. Sono questi i risultati con cui Azimut si appresta ad archiviare il 2024. Un traguardo significativo, che corona dieci anni di crescita secondo un modello unico nel panorama italiano, e che ha portato Azimut a essere una delle principali società indipendenti di asset management del Paese. Il gruppo ha seguito un percorso autonomo e originale, che gli ha permesso di generare 2,4 miliardi di utili negli ultimi 5 anni e di affermarsi in 18 mercati internazionali. Espansione che proseguirà in altri due Paesi esteri rispettivamente in Asia e in Africa. Nel continente africano Azimut rafforzerà la sua presenza dopo il successo in Egitto, dove la società conta oltre 300 mila clienti, più del numero registrato in Italia. E le novità per il futuro non mancano, a partire dal progetto della nuova banca digitale, che si basa sullo spin-off di metà della rete di consulenti in Italia, operazione che ha suscitato l’interesse di FSI, e che ci si aspetta si concluda entro fine anno, con un valore dell’operazione compreso fra 1,8 e 2,2 miliardi di euro al lordo dell’effetto fiscale. I proventi dall’operazione andranno a rafforzare anche l’attività di investment banking e private equity su cui Azimut sta puntando sempre di più. Anche con l’obiettivo di supportare nella crescita quelle PMI che rappresentano il fiore all’occhiello dell’Italia. E di cui Azimut rappresenta un esempio di successo. Proprio a Pietro Giuliani, fondatore, presidente e artefice della crescita del gruppo, ESGnews ha chiesto un’opinione su quali possono essere i riflessi sul panorama della sostenibilità di quanto sta accadendo negli Stati Uniti.

Le defezioni dagli impegni sul clima dei grandi gestori americani e la cancellazione dei programmi di diversity da parte di aziende come Meta, in linea la visione della nuova presidenza di Trump, segnano il “de profundis” delle politiche ESG?

Assolutamente no. Non bisogna farsi trarre in errore da alcune dichiarazioni, che hanno più un sapore politico rispetto a un vero cambiamento di rotta su questioni importanti come quella sul clima, i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti. Gli americani, come sempre, tendono a esagerare con dichiarazioni a effetto e arrivando ad estremizzare le posizioni: erano partiti forse con ambizioni troppo elevate all’inizio su certi temi e adesso fanno clamorosi passi indietro. Io penso che alla fine troveranno un equilibrio che permetta di continuare a crescere senza trasformare il mondo in un luogo invivibile.
Altri eccessi sono note di colore, che spesso hanno a che vedere più con temi di equilibri politici piuttosto che con la realtà.

E voi non siete partiti prestissimo con la sostenibilità. Personalmente ci crede? E’ una questione di mitigazione dei rischi o altro?

Da sempre abbiamo gestori molto convinti sulle tematiche di sostenibilità. Abbiamo un comitato per la sostenibilità e il responsabile è Giorgio Medda, uno degli amministratori delegati del gruppo.

Il nostro obiettivo e tratto distintivo è la ricerca del profitto per il cliente, che non deve per forza essere ottenuto tramite investimenti che danneggino l’ambiente o che non rispettino imperativi morali, ma in ogni caso in nostro punto di riferimento è il profitto del cliente. Non a caso in questi oltre 30 anni di attività siamo riusciti a dare un rendimento superiore del 34% rispetto all’indice Fideuram. In media i nostri clienti hanno guadagnato l’1% in più rispetto a quanto offerto dalla concorrenza.

Quindi per noi è importante rispettare il mandato professionale con i nostri clienti relativo a fare fruttare al meglio i loro investimenti. Ma il nostro senso di responsabilità nei confronti delle persone è più ampio, per questo abbiamo creato anche una Fondazione che ci permette di portare avanti i nostri valori e con la quale abbiamo erogato 16 milioni per la lotta alla povertà negli ultimi 13 anni.

Uno dei suoi mantra è “noi vendiamo performance”. Come si può valorizzare il discorso ESG nei confronti della clientela?

Sicuramente è utile parlare con i clienti per spiegare le implicazioni degli investimenti e il contesto. I nostri fondi già investivano, prima che si esplicitassero i concetti della sostenibilità, in società che potevano crescere nel lungo periodo. Avevamo già questo approccio. Detto questo non sono per l’esclusione aprioristica di settori in modo totalitario. Penso, per esempio, a quello molto sotto i riflettori in questo momento, come quello della difesa.

Tra i vostri investitori avete grandi istituzionali, quali fondi sovrani e family office, che spesso presentano criteri stringenti sotto il profilo ESG.
Siete in grado di soddisfarli?

Certamente noi abbiamo tra i nostri clienti ben quattro tra i maggiori fondi sovrani al mondo. Sono clienti a cui bisogna dedicare tempo e attenzione, com’è comprensibile per investitori che ci hanno affidato cifre che si avvicinano al miliardo di euro.

Uno dei comparti su cui state maggiormente puntando è quello del private equity. La sostenibilità rappresenta una opportunità di investimento per voi?

Sì, non solo abbiamo un fondo specializzato in investimenti nella transizione, ma abbiamo anche effettuato investimenti in aziende innovative focalizzate sulla decarbonizzazione. E’ il caso per esempio di Up2you una start up greentech e B Corp certificata che permette alle aziende di calcolare, monitorare e ridurre il proprio impatto ambientale per la quale abbiamo guidato un investimento seed da 3,5 milioni.