Una due diligence su tre pilastri (asset manager, strategia e portafoglio) che ha passato al setaccio 7.700 tra fondi e ETF, più di 83.000 ISIN per oltre 350 società di gestione per un patrimonio totale di 10 trilioni di euro. Un report annuale diffuso a inizio anno (ESG Barometer) con cui MainStreet Partners identifica le principali tendenze del mercato del risparmio gestito e dà un nome ai 10 gestori con il punteggio più alto sul pilastro relativo all’Asset Manager. Uno screening di mercato che avviene con una metodologia che si è evoluta nel corso di 16 anni e non si limita a valutare le credenziali ESG del portafogli di investimenti ma anche le strategie dei singoli fondi e delle società di gestione nel loro complesso. Sono questi alcuni degli elementi che caratterizzano la carta di identità di MainStreet Partners, consulente ESG degli investitori di primo livello che fornisce uno sportello unico per le esigenze di sostenibilità a livello di portafoglio, nata nel 2008 come società dedicata agli investimenti d’impatto e sostenibili.
Ludovico Buffo, ESG product specialist di MainStreet Partners, descrive a ESGnews il processo di valutazione della sostenibilità degli asset manager e le criticità nella gestione del flusso informativo dei dati relativi alla sostenibilità che hanno richiesto a tutti gli asset managers negli ultimi 12/24 mesi ingenti investimenti finanziari e di capitale umano. E evidenzia anche l’aumento di rischio greenwashing che potrebbe derivare dall’incremento del numero di fondi ex articolo 8, a fronte di un calo dei fondi ex articolo 6, evidenziato dal database MainStreet Partners: nel 2023 il 24% di tutti i fondi ex articolo 8 non ha soddisfatto i criteri minimi della società.
La vostra azienda è specializzata nella valutazione della sostenibilità degli asset manager. Quali sono gli elementi che prendete in considerazione per la costruzione dei vostri rating? Qual è la vostra definizione di prodotto sostenibile?
Ci siamo specializzati in investimenti ESG e sostenibili nel lontano 2008, e ad oggi siamo gli unici sul mercato ad effettuare una vera e propria due diligence qualitativa, degli asset manager e di migliaia di fondi, focalizzata sulla sostenibilità ed evitare il rischio di greenwashing. La due diligence è strutturata su tre pilastri: asset manager, strategia e portafoglio. In particolare, l’analisi relativa all’asset manager mira a valutare la credibilità del gestore in termini di sostenibilità e le risorse che esso dedica alle funzioni legate alla sostenibilità. La credibilità viene valutata esaminando, tra gli altri aspetti, la reputazione dell’Asset Manager, il suo impegno in ambito di sostenibilità, la governance e la struttura di engagement, mentre l’analisi delle risorse tiene conto dell’esperienza del team ESG nel campo della sostenibilità e delle relative responsabilità.
Oltre a misurare la credibilità dell’asset manager, viene fatta un’analisi approfondita della strategia in oggetto e viene valutata anche l’aderenza regolamentare alla SFDR. Il risultato di questa valutazione è espresso attraverso un rating su una scala da 1 (minimo) a 5 (massimo). Se il fondo ottiene un rating pari o superiore a 3 viene considerato con un basso rischio greenwashing e una performance positiva dal punto di vista della sostenibilità. Questo approccio garantisce che non solo il portafoglio stesso, ma anche l’asset manager che lo gestisce, vengano attentamente valutati per garantire un investimento realmente sostenibile.
Il vostro compito è misurare quali risultati i prodotti finanziari riescono a raggiungere in campo ambientale, sociale e di buon governo. Qual è il quadro che emerge?
MainStreet Partners effettua un’analisi annuale sul mondo dei fondi liquidi che si chiama “ESG Barometer”, dove identifichiamo le tendenze nel mercato europeo dei fondi, i principali operatori patrimoniali e attribuiamo le performance di sostenibilità dei fondi sulla base della metodologia olistica proprietaria basata su tre pilastri. L’edizione 2024 è basata su oltre 7.700 tra fondi e ETF, più di 83.000 ISIN per oltre 350 società di gestione per un patrimonio totale di 10 trilioni di Euro.
Negli ultimi tre anni abbiamo riscontrato una relazione inversa tra il numero di strategie articolo 6 e articolo 8. All’interno del nostro database abbiamo registrato un aumento del 20% su base annua del numero di fondi ex articolo 8, a fronte di un calo del 24% su base annua del numero di fondi ex articolo 6. Chiaro segnale di dove l’industria del risparmio gestito sta andando.
Ma con l’aumento del numero di fondi ex articolo 8 è cresciuta anche la presenza di coloro che potrebbero essere accusati di greenwashing. Nel 2022, il 21% di tutti i fondi ex articolo 8 non soddisfaceva i criteri minimi di MainStreet Partners; un valore che è aumentato fino a raggiungere il 24% alla fine del 2023.
Quale peso date alle policy e quale ai risultati nella definizione di un rating?
Durante il nostro processo di due diligence, prestiamo particolare attenzione sia alle politiche adottate che ai risultati ottenuti, poiché riteniamo che entrambi siano indispensabili. Non basta guardare alle intenzioni del gestore ma è fondamentale valutare anche i risultati. Per cui esaminiamo le varie politiche ESG sui prodotti gestiti, ma insieme agli impatti ottenuti complessivamente dal gestore. Per quanto riguarda il singolo fondo invece, l’analisi della documentazione fornita dal gestore rappresenta il primo passo della nostra valutazione, e ci aiuta soprattutto a comprendere il livello di trasparenza e l’allineamento alle linee guida del regolatore in materia di sostenibilità. Dopo aver esaminato le politiche, ci aspettiamo di trovare risultati extra finanziari chiari e in linea con il focus del fondo e gli obiettivi stabiliti nei documenti precontrattuali. Inoltre, integriamo i risultati ottenuti dagli European ESG Template (EET) nella nostra due diligence, per valutare le dichiarazioni dei gestori in merito alla sostenibilità.
I gestori ESG stanno incontrando recentemente alcuni ostacoli, per esempio negli Usa. Vede un arretramento dell’impegno?
Sebbene ci siano stati dei leggeri arretramenti sull’argomento, ESG rimane sempre una delle priorità principali degli asset manager e degli investitori istituzionali. Il 2023 è stato un anno sfidante per gli asset manager su molti fronti, non ultimo quello di dover tenere il passo con il contesto normativo in continua evoluzione che ruota attorno agli investimenti sostenibili. Nel 2024 continueremo ad anticipare le esigenze degli investitori per aiutarli a soddisfare i loro obblighi normativi, ma anche per identificare ed evitare il greenwashing. Certamente alcuni gestori americani con importanti mandati negli Stati Uniti stanno facendo un passo indietro, almeno formale, su alcuni obiettivi legati alle emissioni dei portafogli, anche per non perdere business in stati come Texas e Florida.
La vostra analisi prende in considerazione il processo di investimento. Come deve essere impostato per ottenere buoni risultati?
L’integrazione dei criteri di sostenibilità nel processo di investimento è un elemento fondamentale della nostra metodologia di analisi olistica applicata ai fondi. Un processo d’investimento che aggiunge valore in termini di sostenibilità deve essere basato su esclusioni per attività e comportamenti controversi rigorose e ben definite, che supportano un rating ESG utilizzato per un approccio best in class o di integrazione. Inoltre, come vengono considerati i PAI (Principal Adverse Impact) e potenzialmente alcune metriche d’impatto durante il processo di selezione, con obiettivi extra-finanziari a livello di portafoglio, rappresenta sicuramente un valore aggiunto che differenzia un prodotto con un’ottima integrazione ESG da uno con un’integrazione basilare.
Come si può misurare il miglioramento della quantità di emissioni di un portafoglio, vista la tipica rotazione dei fondi che investono in aziende quotate?
È possibile raggiungere una decarbonizzazione efficace di un portafoglio attraverso due strategie principali: ottimizzando le posizioni sottostanti investendo in aziende più efficienti in termini di emissioni all’interno dello stesso settore o investendo in aziende con una chiara traiettoria di riduzione delle emissioni entro il 2050.
MainStreet Partners ha sviluppato un database proprietario che consente ai gestori di portafoglio di decarbonizzare in modo efficace, analizzando le emissioni delle società rispetto all’intero universo e al settore di appartenenza. Questo è fondamentale per applicare la prima strategia e mantenere un’allocazione in linea con il benchmark a livello settoriale.
Per riuscire a gestire il flusso informativo dei dati relativi alla sostenibilità sono necessari notevoli investimenti. Quanto hanno investito in media gli asset manager e dove hanno focalizzato le risorse?
Non è semplice determinare una cifra media spesa dagli asset manager, soprattutto perché la somma investita dipende strettamente dalle dimensioni dei gestori. Mentre le grandi case di gestione si sono concentrate sulla creazione di una piattaforma interna per il trattamento delle informazioni sulla sostenibilità, sia elaborate internamente che ricevute da fornitori esterni, accessibili a tutti i team di gestione in tempo reale, le piccole boutique, se non specializzate sul tema, hanno preferito tendenzialmente affidarsi direttamente a fornitori esterni che, nella maggior parte dei casi, sono in grado di fornire dati già elaborati e aggregati più facili da utilizzare. Nell’ultimo anno, l’attenzione principale dell’industria si è sicuramente concentrata sugli indicatori PAI, specialmente su quelli che non erano stati ancora ampiamente utilizzati dal mercato, nel tentativo di garantire una metodologia di calcolo sottostante affidabile e dati consistenti. In generale, però, possiamo affermare che tutti gli asset managers negli ultimi 12/24 mesi hanno affrontato ingenti investimenti finanziari e di capitale umano.
Da quante persone deve essere formato un team di sostenibilità affinché sia credibile? E quali attività dovrebbero svolgere?
Non esiste una dimensione specifica per definire un team di sostenibilità “credibile”, ma le risorse allocate alla sostenibilità dovrebbero essere adeguate alla dimensione del gestore. Non ci aspettiamo che una piccola boutique abbia un ampio team interno dedicato all’analisi ESG, ma riteniamo importante che almeno una persona sia dedicata o designata come punto di riferimento (un ESG Champion) per le questioni legate alla sostenibilità ed i gestori stessi abbiano buoni livelli di conoscenza. Al contrario, ci aspettiamo che un grande Asset Manager abbia un team interno ESG con il compito di garantire l’integrazione solida degli aspetti ESG, sviluppando magari un proprio punteggio ESG o almeno conducendo un’analisi approfondita sui dati forniti dai provider esterni. Questa distinzione è dovuta anche al fatto che i grandi asset manager presentano un numero maggiormente vario di strategie e quindi necessitano di integrazioni ESG/di sostenibilità molto diverse.
Un recente studio ha evidenziato come la maggior parte delle società quotate gestisca ancora i dati su spreadsheet. Come sono messi gli asset manager e quali soluzioni informatiche sono più in voga?
Anche nell’industria degli asset manager, l’uso di spreadsheet su Excel è ancora diffuso e ampiamente praticato. Le soluzioni alternative includono principalmente sistemi creati su misura, e sviluppati dalle grandi case di gestione. Inoltre, i data providers ESG hanno creato piattaforme utilizzabili da parte degli asset managers molto ricche di informazioni anche se non sempre semplici da usare.
Nel caso di un ETF come si valuta la sostenibilità? Basta scegliere un buon indice di riferimento o ci sono altri elementi da valutare?
La valutazione della sostenibilità di una strategia passiva non dovrebbe discostarsi molto da quella di un fondo attivo. Per un’analisi accurata, riteniamo che un approccio a tre pilastri (asset manager, strategia e portafoglio) sia il più adeguato; naturalmente, la rilevanza dei vari sotto-pilastri dell’analisi deve essere adattata alla tipologia del prodotto. Ad esempio, il numero di risorse dedicate a un ETF non può essere paragonato a quelle coinvolte nella gestione di un prodotto attivo. Per quanto riguarda l’analisi della “Strategia”, la metodologia dell’indice di riferimento svolge sicuramente un ruolo chiave, insieme ad altri aspetti a cui prestiamo particolare attenzione per i prodotti passivi, come la frequenza di ribilanciamento dell’indice, il track record del gestore sui prodotti passivi e il suo approccio all’engagement. Naturalmente, questi sono solo alcuni degli aspetti considerati all’interno della nostra scorecard proprietaria, basata su più di 80 fattori.
Ma, insomma, i gestori non sono certo tutti sullo stesso piano come impegno ESG, quali sono gli asset manager più indietro in questo campo?
Nel nostro ultimo report annuale “ESG Barometer”, abbiamo identificato i 10 gestori con il punteggio più alto sul pilastro relativo all’Asset Manager. Non sorprende che tutti questi gestori siano situati in Europa occidentale, con tre di essi con sede a Parigi; infatti, gli standard ESG a livello societario sono spesso più elevati in Europa, soprattutto in Francia, oltre che storicamente la Francia ha già avuto regolamentazioni ESG nell’ambito degli investimenti. Vi invito a leggere l’intero report poiché contiene numerosi spunti interessanti.
Come ci si potrebbe aspettare, sull’altro estremo del nostro database troviamo principalmente asset manager americani che ancora considerano solamente la componente relativa alla “Governance” o integrano la valutazione ESG principalmente come strumento per la gestione del rischio. Questa riluttanza dei gestori nell’integrare criteri di sostenibilità negli Stati Uniti è sicuramente derivata dalla posizione controversa assunta da alcuni Stati che hanno varato legislazioni anti-ESG poiché ritengono che le metriche ESG possano rappresentare una minaccia per l’economia americana.